Opere Inedite, Marina Pizzi

Oggi, a Opere Inedite, leggiamo la poesia di Marina Pizzi.
Credo che questa foto esprima tutta la poesia di Marina. Le avevo infatti chiesto di inviarmi una foto che la rappresentasse, che rappresentasse il suo rapporto con la poesia. E questa è la foto che Marina ha scelto e mi ha inviato.
A guardarla, Marina sembra lontana, quasi in secondo piano rispetto a ciò che la circonda. Eppure in quello stesso spazio Marina è immersa, e da quello spazio Marina “parla” del rapporto con la sua poesia. 
Sembra quindi, a chi vi scrive, che il suo ‘io poetico’ si ponga in una sorta di “tana” della parola, una tana che la circonda e l’abbraccia, che la sovrasta, anche, la fa piccola, lontana.
La sua è una voce che – per usare una sua espressione – arriva dalla “galassia del distacco”, e piange “la rotta di non saper la rotta/ né la perfetta eresia del vento.”

(Luigia Sorrentino)

 
da: Il cantiere delle parvenze
2010

1.
la mia sciarpa è un tragitto lontano
uno scalmanato talamo di nebbia
dove è agreste il cielo e logica la tana
di perdere la vita.
rotta anemia della città calva
senza nidi di cuccioli cantanti
né elemosine badanti il veritiero
abbraccio. s’intani il mio straccio
che non vede né attende nulla.
la maestria dell’alba bada a non
gridar di troppo le rondini bambine.
le grotte scialbe come fandonie
dove ristagna il secolo al petrolio
espanso. la fatica senza saliva
delle mie abitudini-arsure su
per l’acredine di attese morenti
nel trotto della pupilla impazzita.
il lutto m’incolla la salsedine addosso
questo proverbio che non serve
a consolare la resina del sangue.

2.
quale sarà il chiodo che mi sonnecchia dentro
che vitalizza l’edera della malasorte
che si diverte con un attizzatoio
verso la zattera che mi malmena
tetra malizia corvo miliziano?
invano l’azione del tubero rinasce
al cielo, qui la penombra perpetua
della slitta chiama l’oasi ad appassire.
quale paese d’asma andrà vicino
al rantolo? perché qui le smanie
delle serve vogliono morire
di un attacco immune, colpo sordo
non imposto randagismo.

3.
falò di stoppie codici di cenere
queste livree già prospere di nulla
elemosine cortesi. così resiste
l’alibi del bilico, la cornucopia placida
del gatto musicale. osteria museale
il tuo sguardo non sotto teca ma
veliero darsena. ho comandato l’astio
di non venire approdo di se stesso, ma
diluvio t’amo modo d’avvento-accento
ludo per sempre. brevetto di comari
la mattina quando s’impara a venire
al mondo sopra faccende di dondoli
senza doli. dove sei tu re minimo
e prezzemolo, ambulacro e molo
per remi divini. aiutami a campa’ con
questi nodi duri fatti di gessi mortuari.

4.
ipotesi di cervi mancarti
sotto lo zero che mi campa
capanna di brevetti andati a male.
la spalla del silenzio è una bestemmia
darsena, una spallata al sudario
che non vuol morire la rendita
del datario. dove non sono vergine
m’incanalo lungo gli stemmi che
non danno affetto. io poveretta
la militare stoffa che fonda ruggini
e cipressi. litigio di remore la stasi
di non concepire più. in vena ho un
amore di distanze intatte meraviglie.
ora m’acquatto e ti dimostro strenne
queste braci di quaderni di civiltà
dismesse.

5.
attorno alla galassia del distacco
piango la rotta di non saper la rotta
né la perfetta eresia del vento.
gerundio di comete l’inutile avvento
quando la rupia è la miseria del certo
lo sciacallo avventa lo sparviero.
la minuzia della rondine commuove
le ventole che aizzano il fuoco
per la felicità comunque.
in breve sullo scempio del ristagno
la malinconia del cerchio non è divina
né pone eclisse una calma darsena.


Marina Pizzi
è nata a Roma, dove vive, il 5 maggio del 1955.
Ha pubblicato diversi libri di poesie: “Il giornale dell’esule” (Crocetti 1986), “Gli angioli patrioti” (ivi 1988), “Acquerugiole” (ivi 1990), “Darsene il respiro” (Fondazione Corrente 1993), “La devozione di stare” (Anterem 1994), “Le arsure” (LietoColle 2004), “L’acciuga della sera i fuochi della tara” (Luca Pensa 2006), “Dallo stesso altrove” (La camera verde, 2008), “L’inchino del predone (Blu di Prussia, 2009), “Il solicello del basto” (Fermenti, 2010).

4 pensieri su “Opere Inedite, Marina Pizzi

  1. La lettura di Marina Pizzi per me è sempre un sobbalzo, un giro vorticoso in cui ti conduce una voce inimmaginabile. C’è una velocità di fondo in questo affastellare che fa lo strappo, l’inconclusione, la verità del sogno, anche la scelta delle parole a me sembra che avviene secondo un’estrazione dal cilindro magico, una sortilegio semantico che conduce sempre alla poesia, cioè a quel posto parallelo che c’è nonostante le diversità dei poeti tra loro. E poi non finirò mai di sorprendermi per quanto la Pizzi riesce a rendere “roccioso” il sogno che accosta alla realtà traversando tra le due cose, un confine credibilissimo. Un caro saluto a Luigia, e Marina. Bello il luogo, bella la poesia che ospita.
    Viviana

  2. MI hanno colpito i versi di Marina; già l’incipit “la mia sciarpa è un tragitto lontano” evoca un percorso forse lungo e difficile dove c’è una meta che l’attende, una destinazione, magari una “tana” pronta ad avvolgerla. Trovo molto bella e intensa la strofa finale, una malinconica musicalità pervade questi versi, un’atmosfera elegiaca di dolente incanto.
    E questa lettura mi stimola a leggere altre sue poesie.
    monica

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *