
Opera di Enzo Cucchi copyright ph. Fabrizio Fantoni
Le opere di Enzo Cucchi e Massimo Luccioli
nel nuovo spazio espositivo di Simone Aleandri
Testo e fotografie
di
Fabrizio Fantoni
Lungo diciassette metri, con un soffitto che sfiora i sei metri d’altezza e una fila di finestre che punteggia la parete sinistra, da cui filtra una luce soffusa capace di accarezzare le geometrie dell’antico pavimento: così si presenta – con la solennità di una cattedrale laica – il nuovo spazio espositivo di Simone Aleandri, inaugurato recentemente nel cuore pulsante di Roma, a pochi passi dal Campidoglio.
È in questa cornice austera e luminosa che Aleandri prosegue il suo percorso ventennale di ricerca e promozione artistica: un lavoro attento e rigoroso, volto a far emergere percorsi spesso trascurati dalla storiografia ufficiale. In questo contesto, ogni opera esposta sembra ricevere e restituire l’energia dell’ambiente circostante – trasformando lo spazio espositivo in un luogo di contemplazione e rivelazione – candidando la nuova galleria a diventare uno dei punti di riferimento più importanti per l’arte contemporanea e il primo Novecento nella capitale.
Al centro della galleria si staglia “Paese mio” di Enzo Cucchi, scultura che domina la scena come un cuore pulsante, radicato in memorie ancestrali e visioni liriche. Cucchi offre qui non solo una forma, ma una voce silenziosa: l’opera vibra come un canto sospeso, capace di evocare il senso di appartenenza, spaesamento e desiderio che abitano il paesaggio interiore dell’uomo.
Realizzata in bucchero, nel fuoco sapiente di Massimo Luccioli, l’opera di Enzo Cucchi si presenta come una colata vulcanica in lenta solidificazione, capace di generare forme inaspettate. Al centro della composizione, su un paesaggio di case appena suggerite, si erge solenne la figura umana, asse verticale che taglia longitudinalmente l’intera opera. Come un meridiano del tempo, questa presenza attraversa le ere geologiche e restituisce, dal suo volto lacerato – simile a un antico elmo stilizzato – la memoria di ciò che siamo stati, attraverso la disposizione di teschi sulla nera superficie.
Incisa su piani di spessore quasi impercettibile, la scultura evoca il rilievo basso e vibrante della tradizione donatelliana, stabilendo un dialogo intenso con la luce. Quest’ultima, accarezzando la materia scura, ne esalta i volumi e ne trasforma costantemente la percezione. Lo spettatore è immerso in una metamorfosi visiva continua, dove ciò che appare muta costantemente sotto il gioco dei contrasti.
È proprio in questo incontro tra l’oscurità e la luce che il linguaggio artistico di Cucchi si fa poesia in virtù di una verticalità del pensiero e di una tensione espressiva del segno che raramente trovano pari nel panorama dell’arte contemporanea.
“nella cintura d’acqua
fluttuava immenso l’indistinto
inattuato attaccava la nebbia
melmosa, non era ancora luce ma
notte continua, durava
in quello spazio la non luce
si volse la notte si volse
bisognosa a noi che aprimmo
lo sguardo alla forma sollevata
solo questo gesto che vede
qualcosa si schiarisce
illumina e avvicina
nell’istante posato
negli occhi che egli chiude”

Opera di Enzo Cucchi copyright ph. Fabrizio Fantoni
I versi di Luigia Sorrentino – tratti dal Coro III di “Iperione, la caduta” sezione della raccolta “Olimpia” (Interlinea 2013 – Rist. 20198) – si rivelano il commento più adeguato all’opera di Cucchi. La sua scultura si colloca sul confine estremo dell’indistinto — quella frontiera tra essere e non essere più — dove la materia oscura lotta con la luce, dando forma per un attimo a figure che subito si ritraggono nell’ombra da cui sono nate.
E’ l’indistinto dell’alba, quando la luce non ha ancora vinto le tenebre e tutto è indefinito; è l’indistinto originario, in cui il mondo è ancora sospeso nella possibilità. Ed è proprio tale indefinitezza che conferisce assolutezza al linguaggio di Cucchi, sottraendolo a ogni oggettività, rendendolo puro accadere poetico.
L’opera di Enzo Cucchi è come la fiamma tremolante di una candela: rischiara le ombre senza dissolverle, custodendo intatto lo spirito di una notte arcaica – luogo di veglia, di studio e di sogno. È in questo spazio sospeso che l’uomo può spingersi oltre, distaccarsi dal reale, dilatare i confini dello spazio e del tempo, fino a raggiungere quella soglia sottile in cui si risveglia una coscienza nuova, capace di attraversare le ombre profonde dell’inconscio.
Scrive Mario Finazzi: “Le forme immaginate, affiorate, illuminate solo il tempo di tracciarle, hanno viaggiato dal nero delle profondità biologiche e psicologiche dell’artista al nero opaco del bucchero, forse, si potrebbe dire, riportate al buio, e il riportare al buio quelle immagini ha lo strano calore di un nostos, di un ritorno a casa”(il testo è tratto dal catalogo “Prendere al buio per riportare al buio” edizioni Aleandri Arte Moderna 2025)

Opera di Enzo Cucchi copyright ph. Fabrizio Fantoni
L’opera di Enzo Cucchi entra in risonanza profonda con le ceramiche di Massimo Luccioli, anch’esse esposte presso la galleria Simone Aleandri Arte Moderna.
Tre conche primordiali in bucchero, in cui la materia – trasformata dall’alchimia del fuoco – assume la consistenza di una pietra nera, quasi lavica, che si frantuma in mille frammenti. Su questi, l’artifex imprime il segno del proprio passaggio, lasciando una traccia indelebile della sua presenza.

Opera di Massimo Luccioli copyright ph. Fabrizio Fantoni
Le opere di Luccioli sembrano emergere da un tempo verticale e insondabile, archetipico. Forme ancestrali che condensano la memoria profonda dell’umanità, e che, come le sculture di Cucchi, instaurano un dialogo intenso con la luce. Una luce che non illumina, ma viene assorbita, scomparendo nell’intima gravità di una materia arcaica. Continua a leggere