Cinzia Demi, da “La causa dei giorni”

Cinzia Demi, foto di proprietà dell’autrice

bisognerà capire cosa ci porta
a credere nei grani   a farne
sabbia di clessidra tra le mani
a non rompere i cristalli dorati
a tornare là dove siamo nati

nella casa con le pareti bianche
dove ogni cosa ha un nome
che chiamiamo   ogni confine
è un richiamo che rapido svalica
si espande nel mondo

in un sussulto di folate   tra
bacche d’acacia e lino chiaro
nella luce obliqua delle persiane
nel sacramento giurato   sul
simulacro trasparente del mare

bisognerà capire cosa ci resta
della pazzia della festa   del
calore di fiamma che ancora
difende la giovinezza
dei nostri corpi abbracciati

nell’alba   tra i vapori, mentre
sprofonda l’ombra delle sagome
che ci furono accanto   e d’un
tratto la memoria è un male
stordente   l’umanità affonda

nella ragione oscura
i papaveri stentano a fiorire
e un tempo immobile non
spiega   non glorifica   ma non
rinnega   la causa dei giorni

*

Dalla sezione: Nel nome del mare

 aspetti sempre che qualcosa succeda
mentre alzi gli occhi
agli alberi che temono l’autunno
la strada si è fatta più lunga e
quel cartellone ieri non c’era

è una milizia certa quella del tempo
da assoldare nell’esercito mercenario
per le guerre sull’altare di pietra
nella chiesetta – frontiera del Golfo[1]
contro il pallore del mare d’ottobre

pagarlo e lasciarlo libero di fermarsi
un poco   a riposare   senza fretta
provare a bagnarsi le mani
dove scorre la sabbia di ematite
raccogliere una scheggia di bucchero

e costruirci un bicchiere
bere un sorso di maestrale
da quella breccia che ingrossa
l’aria di sale antico e tamerici
magari è così che si cresce

dopo il pane con zucchero e vino
dopo le vendemmie e le rose
quando tutte le cose sfumano
in un sentire lontano   e dici
è così che si cresce   per le croci

da cui siamo fuggiti
per quell’aria soffocante di casa
dove l’orizzonte era solo una linea
magari è così che s’incontrano teatri
con le quinte a colori vivaci

rammendate che non importa quanto
è così che si consumano chilometri
si stringono corpi   si gettano paramenti
argenti s’indossano senza più valore
senza l’ardore che ci fece scuola

e aspettando ancora si torna all’inizio
si alzano gli occhi
agli alberi che sono già primavera
la strada è più corta ora
e di quel cartellone lo scritto è sbiadito

*

Dalla sezione: Materiale non riciclabile

 

noi per la vita
noi per la morte
noi per l’eterno sentire
noi per non capire
noi che fummo e che siamo
l’umanità dolente
di quel dolore forte
che acceca la mente
l’umanità perduta
fottuta dall’ottusa gente

noi che credevamo
noi che non crediamo
noi che speravamo
noi che non speriamo
noi che amavamo
noi che non amiamo

noi che non ci siamo più
senza famiglia   senza virtù
con un sogno che muore
ogni momento
ogni singolo momento
un sogno fermato
in un pugno   in un lamento
nell’acqua che avanza
nel vento che squarcia
nel sole che brucia   ancora di più

*

Dalla sezione: Quel segno che manca (febbraio 2020 – gennaio 2021)

 

   guardo l’orchidea sul tavolo della cucina
ogni tanto lascia andare un fiore
si secca e scende dal ramo
che perde la sua freschezza
si spoglia del suo colore

è ancora bella però   penso
trafitta da quell’ultimo raggio
di luce   tradito dalle pieghe arancio
della tenda   se avesse una sua voce
mi direbbe di questo tempo

mi direbbe che perdo i contorni
dei volti di chi amo   i colori degli
occhi   la linea disegnata dei profili
i gesti delle mani   che le parole sono
fioche e vuote   anche ai cellulari

mi direbbe che è sfumata la veste
del mare   e l’orizzonte non è più
una linea dove poggiare lo sguardo
che la neve non è scesa quest’anno
e l’erba aspetta paziente il ritorno

mi direbbe che i sogni sono incubi
che il pianto che sento è lontano
ma vero   che la notte ha sepolto
i migliori di noi   nella via crucis
dei camion   delle loro luci in cordata

mi direbbe che la vita non l’ho mai capita
che non può accadere soltanto   che il
bicchiere si riempie quando l’acqua scorre
che la tunica non si gioca ai dadi
ma si taglia e si cuce con le mani

e mi direbbe l’orchidea di questa Pasqua
puntuale   affacciata alle nostre finestre
come quella macchia di ginestre di cui
rivedo nel bosco fitto   l’ambizione del bagliore
il chiarore infestante della Resurrezione Continua a leggere