Pascoli, “Il gelsomino notturno”

Giovanni Pascoli

E s’aprono i fiori notturni,
nell’ora che penso ai miei cari.
Sono apparse in mezzo ai viburni
le farfalle crepuscolari.

Da un pezzo si tacquero i gridi:
là sola una casa bisbiglia.
Sotto l’ali dormono i nidi,
come gli occhi sotto le ciglia.

Dai calici aperti si esala
l’odore di fragole rosse.
Splende un lume là nella sala.
Nasce l’erba sopra le fosse.

Un’ape tardiva sussurra
trovando già prese le celle.
La Chioccetta per l’aia azzurra
va col suo pigolio di stelle.

Per tutta la notte s’esala
l’odore che passa col vento.
Passa il lume su per la scala;
brilla al primo piano: s’è spento…

È l’alba: si chiudono i petali
un poco gualciti; si cova,
dentro l’urna molle e segreta,
non so che felicità nuova.

 

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Pascoli maledetto

Giovanni Pascoli

RECENSIONE DI ALBERTO FRACCACRETA

Da quando sentiamo parlare di poètes maudits? Da sempre. Ce li immaginiamo bellocci, beoni, perennemente su di giri, con abiti lisi e sfilacciati, barboni, con cappellacci logori, dediti al gioco, sfrontati, passionali, deliranti. Un po’ sgherri e un po’ genialoidi, un po’ teppisti e un po’ incompresi. Non è detto, però, che le cose stiano sempre così. Almeno all’apparenza. Il rigido stereotipo in alcuni casi può impedirci di vedere una realtà più profonda e inattesa. E le sorprese non mancano. Ad esempio, nel nostro paese quale poeta tra tutti può essere definito a ragione “maledetto”? Uno degli scapigliati? O, peggio, dei futuristi? Campana? D’Annunzio? «Vincente — almeno per la parte di biografia che di lui si conosce meglio e su cui ci si sofferma più volentieri, perché avventurosa e trionfante — e interprete dello spirito del suo tempo, D’Annunzio non è il nostro poeta maledetto. Lo è il suo fratello “maggiore e minore”: Giovanni Pascoli». Il bonario e paffuto Pascoli? Incredibile a dirsi. Ma è questa l’intrigante ipotesi di Francesca Sensini, professoressa associata in Italianistica all’Université Côte d’Azur (Nizza), che in Pascoli maledetto propone essenzialmente una documentata rivisitazione del profilo intellettuale ed esistenziale del poeta romagnolo, sino a setacciare gli elementi più minuti della sua biografia per poter leggere in chiaroscuro il dramma interiore, le vorticose tensioni, gli eccessi (censurati dalla sorella Maria), la genealogia e parentela letteraria (con Verlaine in particolare) che lo riconduce agli orizzonti più fulgidi della grande poesia europea.
«Partiamo da qui. Lorenzo Viani, pittore e scrittore viareggino, anarco-socialista, incontra Pascoli per caso quando il poeta aveva quarantotto anni, nel 1903 a Pisa: “Un giorno del 1903, in Pisa, io insieme con un amico addentrato nelle lettere s’entrò ‘dal Garzella’; un’osteria popolare, e ci si sedette a un tavolo: a uno più in là era seduto un bell’uomo dal viso giovevole, camicia floscia, fiocco nero volante, vestito comodo, il quale, mangiando, inseguiva con gli occhi delle chimere. — Quello lì è Pascoli — mi disse piano l’amico”. Partiamo da questo ritratto dell’uomo, bello, disinvolto, seduto in mezzo alla gente e assorto nelle sue fantasie. Il resto è da costruire, decostruendo l’imponente monumento che la critica letteraria ha scolpito e la divulgazione scolastica ha contribuito a consolidare dalle fondamenta, antologizzando, schematizzando, scegliendo il taglio di lettura più praticabile ma non per questo più convincente». Continua a leggere

Una “crepuscolare inquietudine”

Giovanni Pascoli


LA RICERCA DELLA PERDUTA UNITA’ IN PASCOLI

COMMENTO DI FABRIZIO FANTONI

“Il gelsomino notturno” di Giovanni Pascoli – poesia inserita nella raccolta “Canti di Castelvecchio” (1903) – è un esempio significativo della poesia simbolista di Pascoli dominata da un senso di “crepuscolare inquietudine”: la corrispondenza tra vita e morte identificata dall’autore fra gli elementi della Natura.  Ecco che una poesia come “Il gelsomino notturno” rimanda, attraverso immagini naturalistiche,  al mistero del concepimento, ma anche alla perduta unità fra umano e natura: “i petali un poco gualciti“, “l’urna molle e segreta”, la “felicità nuova”, che simbolicamente alludono al mistero della donna percepita dall’autore come Natura in perenne metamorfosi.
Compito del poeta è – come scrive Baudelaire – saper cogliere “echi che a lungo e da lontano / tendono a una profonda, tenebrosa unità.”
Analogamente Pascoli esprime l’idea di unità umana e profonda nei compiti che affida al poeta nel suo famoso testo intitolato “Il fanciullino” in cui si legge: “I segni della sua presenza e gli atti della sua vita sono semplici e umili.
Egli è quello che ha paura al buio, perché al buio vede o crede di vedere; Continua a leggere

La zona poetica di Giovanni Pascoli

di Fabio Izzo

ll poeta che più di tutti interpreta le contraddizioni dello sviluppo del capitalismo è Giovanni Pascoli, il primo letterato italiano a limitare, in maniera implicita, gli argomenti poetici. La sua distinzione vuole che l’anima dell’arte sia universalmente sviluppata e che questo sviluppo sia raggiungibile evitando il contatto diretto con la produzione industriale. D’altro canto i futuristi si dedicano al feticcio macchina e al mondo industriale abbandonando l’uomo e i suoi sentimenti, schierandosi con l’imperialismo e in spregio a qualsiasi dialogo con il passato dichiarano morta l’arte tradizionale. Nato in Romagna lì dove le industrie del Nord cominciano a fare spazio all’agricoltura del centro su dell’epoca, zona in cui le ribellioni contadini si appropriavano dei valori dell’anarchia.
Pascoli vuole restituire all’uomo la carica eroica che è andata perduta dopo il Risorgimento.

Pascoli divulga in campo letterario quello che di solito è discusso nelle riviste politiche dell’epoca, cioè lo sfruttamento del capitale straniero sull’industria italiana L’Italia, nella sua visione, è tutta proletaria e di conseguenza borghesi e operai devono allearsi contro lo sfruttamento europeo, imporsi al rispetto internazionale, migliorare le proprie condizioni. Se tutto ciò è generalmente contestualizzabile nello spirito dell’epoca, soprassedendo sulla propensione colonialista, vediamo che quello che è davvero originale nel poeta è la ricerca di una forma artistica e addirittura estetica in grado di riprodurre queste idee senza il ricorso alla forzatura politica. Pascoli intuisce l’oppressione dell’uomo, limitato dall’avanzante industrializzazione, e il suo temperamento gli impedisce di ignorare la questione. Il suo limite è quello di vedere le classi italiane unite , così la sua sincerità poetica lo porta a evitare la finzione dei grandi temi. Pascoli è diviso tra la sua intuizione dell’uomo che tende a liberarsi e svilupparsi e la convinzione che la società industriale sia l’ostacolo più grande.

Pascoli scioglie i suoi dilemmi isolando dal complesso della realtà gli elementi che a suo parere rendano immune l’essere umano dai mali del capitalismo. Inizia così una ricerca dedicata a una realtà dove gli uomini abbiano comune possibilità d’esprimersi. Eguaglianza e pieno sviluppo industriale coincidono, secondo il poeta infatti un nucleo sentimentale uguale è in tutti noi, basta saperlo ritrovare, acquistando coscienze e mettendoci in comunicazione alla pari con gli altri superando quindi le vessazioni imposte dal capitalismo. Se si accatta globalmente la società capitalista si perde il dono della poesia. Questa area sentimentale è una zona poetica che definisce l’uomo sviluppato. Stiamo ovviamente parlando del “fanciullino” che esiste e resiste negli individui, nelle società ingiuste dove l’uomo è oppresso , aliena e limitato, non ascoltato.

L’obiettivo del Pascoli non è sociale, ma estetico, l’arte serve a svegliare il fanciullino, non esiste arte che non implichi la necessità individuale di esprimersi al di là delle limitazioni imposte dalla società borghese capitalista. L’artista moderno è obbligato a scegliere i propri temi in seguito a una serie di rinunce, i grandi temi sociali lasciano posto all’intimismo. Continua a leggere

Padri 2: “Il tema del padre nella poesia italiana del Novecento”

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A Milano, al Laboratorio Formentini, giovedì dalle ore 19:30 alle ore 20 secondo appuntamento: “Il tema paterno nella poesia italiana del Novecento”.

A cura di Milo De Angelis.

Letture di Viviana Nicodemo

Giovanni Pascoli, Umberto Saba, Camillo Sbarbaro,  Salvatore Quasimodo, Leonardo Sinisgalli, Alfonso Gatto,  Pier Paolo Pasolini, Franco Loi, Cesare Viviani,  Roberto Mussapi, Maria Pia Quintavalla, Mario Benedetti, Alberto Bertoni, Giuseppe Genna.

Casa della Poesia di Milano – Via Formentini,10

 

Premio Castello di Villalta a Maurizio Cucchi


maurizio-cucchi-1-jpg-img-dettaglioMaurizio Cucchi
con “Malaspina” (Mondadori, 2013) ha vinto la Seconda Edizione del Premio Castello di Villalta.
Domenica 9 novembre 2014 alle ore 18.00 si terrà la premiazione, nelle sale del castello a Villalta di Fagagna.
Ospite d’onore la poetessa Patrizia Valduga  che terrà un reading di poesie di Giovanni Pascoli, Andrea Zanzotto e Giovanni Raboni. Continua a leggere

Seamus Heaney a Bologna

Oggi martedì 3 aprile 2012 alle 11:30 il Premio Nobel per la Letteratura e poeta Seamus Heaney (nella foto) ricorda in una conferenza all’Università di Bologna il poeta Giovanni Pascoli. Il grande poeta irlandese interviene al convegno in corso (dal 2 al 4 aprile) per ricordare l’opera e il pensiero del grande poeta italiano del quale quest’anno ricorre il Centenario dalla morte (Bologna, 1912). A distanza di un secolo si percepisce l’importanza della sua poesia per la cultura italiana: Pascoli infatti “ha fatto” gli italiani. Il convegno è promosso dall’Università di Bologna. Continua a leggere