Il “Punto Alfa” di Luigia Sorrentino: per una lettura di “La nascita, solo la nascita”

Luigia Sorrentino /credits photo Gerardo Sorrentino

di Marco Pavoni 

Vorrei una città che accolga una sola persona e tutte le altre persone”. Così ha scritto alcuni anni fa Luigia Sorrentino nell’ambito della sua pagina Facebook, auspicando una consapevolezza problematica di se stessa e dell’umanità in generale. Perché “problematica”? Forse perché l’autrice è convinta del fatto che, per arrivare a un pieno possesso del Sé più autentico, la sua persona, e il consorzio umano, devono passare attraverso dei dolorosi stadi di purificazione: tali stadi coinvolgono l’autrice che, come gli altri esseri umani impegnati nel cammino lungo il sentiero dell’arte, ha il compito e il dovere di tradurre, in versi letterariamente degni di nota, gli effetti devastanti che la realtà molto spesso produce. Ciò, nell’ambito del libro “La nascita, solo la nascita, è reso evidente nella sezione intitolata “Le onde della terra”: il lettore si trova di fronte a un poemetto liberamente ispirato al terremoto in Irpinia del 23 novembre 1980, che colpì la Campania e la Basilicata. Continua a leggere

Luigia Sorrentino, da “C’è un padre”

La foto di Luigia Sorrentino è di Gerardo Sorrentino

di Carlo Bordini

E’ uscita recentemente l’opera prima di Luigia Sorrentino composta per la maggior parte da poesie giovanili scritte dall’autrice nella seconda metà degli anni Ottanta dal titolo C’è un padre, Manni editore, 2003, pagine 110, € 12.

E’ una poesia orfica, fatta di allusioni, contiguità, empatie, analogie, immagini che spesso danzano e trascolorano continuamente, immagini mutanti, quella che non a caso Milo De Angelis definisce “incanto lucido”.

Le poesie della prima parte si susseguono ritmicamente e danno l’impressione di essere, se non costruite, montate per essere un unicum, (“questo panico è scomposto / dove lo sguardo è escluso / posso dire nessuno domani / avrà tutto /dietro”). Una poesia a volte piena di cantabilità, cantabilità enigmatica (“come il remo che divide l’oceano / accostai l’onda alla bocca / di slancio nel mezzo / tutta sciolta l’anima / voleva inghiottirmi”).

Poesia fatta anche di frammenti, qualcosa come “universi istantanei”, che è il titolo di una sezione del libro, che si susseguono, si completano, si incalzano, e a volte si arrestano in una suggestione pensosa. (“c’è sempre c’è / un chiaro tratto, / separatamente, da qui all’eterno”). E ancora: “il ventre è concluso // le bocche enormi sono pronte // dentro entrerà col suo /cappuccio di ombre / un attimo”.

Dalla sezione “Terra come il nero” la poesia si distende, i ritmi si fanno più lenti, i colori più cinerei, come nella prima poesia della sezione citata. Le immagini suggeriscono una poesia a volte più riflessiva, la ricerca di un’identità: “e sono assolutamente io / quel tipo / esile o pericolosamente / bizzarro al primo vento / incerta estasi / restami pure dicevo”.

Con la lunga poesia “Lacrima Christi”, dedicata al padre, e la sezione “I ricordi” e le successive, si apre idealmente una seconda parte del libro, una poesia più esplicitamente narrativa, più piana, più comunicativa, in cui la commozione si fa descrizione e narrazione. Una poesia che anticipa una terza parte di poesie recenti, non presenti nel libro, e ancora inedite, (“so che non vi è vita né percezione / in questo stato di demenza / il tempo lasciato in qualche scarpa / con la morte sempre in agguato / la morte che guardo / e mi fa male / ad ogni sillaba / e gli uccelli qui sono protetti / e la guerra si svolge altrove”), che danno l’idea di un percorso che si va distendendo e arricchendo in una maggiore complessità, o possiamo dire piuttosto in un più pressante bisogno di musicalità, in cui si accentua il carattere simbolico delle immagini e in cui si intravede il vissuto, e in cui la capacità descrittiva del reale va accentuandosi. Continua a leggere