di Dario Borso
Ingeborg Bachmann (1926-1973) pubblicò nel giugno 1961 per la casa editrice Suhrkamp la traduzione in tedesco di cinquantatré poesie di Giuseppe Ungaretti, tratte per lo più da L’allegria. Quando il primo giugno 1970 Ungaretti morì, Ingeborg scrisse di getto un ricordo che uscì solo quattordici anni dopo nell’edizione completa delle Opere[1],1, ed è rimasto finora inedito in italiano:
Nel 1961, dopo che avevo tradotto in tedesco la prima antologia delle poesie di Ungaretti, feci conoscenza del grande vecchio. L’incontro io l’avevo evitato il più a lungo possibile, nemmeno a due sue meravigliose lettere avevo risposto, perché temevo che il mio italiano difettoso avrebbe potuto spaventarlo o renderlo diffidente. Comunque avrei dovuto dirmi che nessuno meglio di Ungaretti comprenderebbe che bisogna essere di casa nella lingua propria per poter trasportare un poema da una riva all’altra. Il mio timore davanti al mostro sacro[2] della poesia italiana è svanito in una delle leggendarie risate ungarettiane: non l’ho prima udito parlare, bensì ridere, ridere.
Se dovessi dire oggi o tra anni a persone che non l’hanno conosciuto quale fu il tratto più eminente dell’uomo Ungaretti, per primo direi sempre a occhi chiusi: la sua generosità. Nessuno sapeva donare come Ungaretti, nessuno di più viziare l’altro. Mai sono andata via da lui senza avere un suo dono in mano, una penna verde[3], un libro a lungo desiderato, e andare insieme a mangiare o viaggiare a un congresso significava anche venire continuamente accudita da lui, nulla gli era buono abbastanza per l’altro.
Il dono più grande Ungaretti me l’ha fatto un giorno a Fiumicino[4]. Non so ancor oggi come poté accorgersi che me la passavo male, ma insistette a portarmi di prima mattina dall’albergo all’aeroporto, lì attendere fino al decollo un aereo che sarebbe partito solo la sera, e così perse un giorno intero nel rumore infernale dell’aeroporto, si preoccupò, cercò un posto appartato, fece portare champagne, e con fare misterioso tirò fuori quattro amuleti con i quali da allora sempre viaggio e abito, tra essi uno cinese antico che aveva ricevuto da Jean Paulhan[5] e che perciò non volevo accettare. Ma Ungaretti disse conciliante: “Non ho più bisogno di niente, ho avuto tutto. Ma lei ha bisogno ancora di qualcosa, e tutto questo la proteggerà”[6].
[1] I. Bachmann, Werke, a cura di Ch. Koschel, I. von Weidenbaum, C. Münster, 4 voll., Piper, München-Zürich 1984, IV, pp. 331-332. Continua a leggere