Giovanni Agnoloni, “Berretti Erasmus”

Giovanni Agnoloni

NOTA DI LETTURA DI GIORGIO GALLI 

 

Una delle cose più difficili al mondo è arrivare a coincidere con la propria vocazione. Berretti Erasmus. Peregrinazioni di un ex studente nel Nord Europa (Fusta Editore, 2020) è il racconto di come Giovanni Agnoloni ci sia riuscito.

Bisogna per prima cosa chiarire che il titolo è fuorviante: il libro non ha a che fare – se non in parte – con il noto programma di scambio tra le università europee: è piuttosto il racconto di come si forma la mentalità del viaggiatore e di come questa venga a fondersi con la vocazione di scrittore. Un racconto che non esclude – anzi, include a piene mani – momenti di leggerezza in spirito studentesco, ma che guarda a qualcosa di più. Lo percepiamo fin dalle prime pagine, con l’attenzione che lo scrittore rivolge alle periferie delle città che visita. Quest’attenzione però non ha nulla di sociologico: sembra piuttosto un dato esistenziale, e mano a mano che si procede nel libro – che lo scrittore diventa sempre più centrato in sé – la distinzione fra centro e periferia viene a sparire. D’altra parte, il soggiorno in Polonia non ispira ad Agnoloni riflessioni sul sovranismo nascente, né l’Irlanda appare ai suoi occhi quella delle case Magdalene. E non è cecità da parte di Agnoloni, ma il volersi concentrare sulla dimensione esistenziale del viaggio, sull’essere europeo e cittadino del mondo nell’esperienza specifica di un individuo.

È il primo libro in cui Agnoloni si presenta col suo nome. Un memoir, se proprio dobbiamo classificarlo in un genere. Scritto con una prosa da commedia diversissima rispetto alla precedente produzione dell’autore, e che tuttavia incrocia la tragedia: quella di un incidente stradale che si porta via la donna destinata a diventare sua moglie. Un fatto che contribuisce a rafforzare in lui la vocazione solitaria del viaggiatore e dello scrittore. Un fatto raccontato quasi di sfuggita, con discrezione. Sembra che egli abbia voluto usare toni leggeri per girare attorno a questa grande e determinante tragedia, per esorcizzarla aggirandone l’orrore. Il lettore non può che provare gratitudine per tanta discrezione, per la scelta di un simile pudore. Ci si sente grati ad Agnoloni anche per la franchezza con cui si mette in gioco, con le sue debolezze umane, la sua quotidianità eccezionale ma anche molto normale, la sua empatia con lo spirito dei luoghi che visita.

Continua a leggere