Derek Walcott, da “Mappa di un nuovo mondo”

Derek Walcott

A wind is ruffling the tawny pelt
Of Africa. Kikuyu, quick as flies,
Batten upon the bloodstreams of the veldt.
Corposes are scattered through a paradise.
Only the worm, colonel of carrion, cries:
«Waste no conpassion on these separate dead!».
Statistics justify and scholars seize
The salients of colonial policy.
What is that to the white child hacked in bed?
To savages, expendable as Jews?

Threshed out by beaters, the long rushes break
In a white dust of ibises whose cries
Have wheeled since civilization’s dawn
From the parched river or beast-teeming plain.
The violence of best on beast is read
As natural law, but upright man
Seeks his divinity by inflicting pain.
Delirious as these worried beasts, his wars
Dance to the tightened carcass of a drum,
While he calls courage still that native dread
Of the white peace contracted by the dead.

Again brutish necessity wipes its hands
Upon the napkin of a dirty cause, again
A waste of our compassion, as with Spain,
The gorilla wrestles with the superman.
I who am poisoned with the blood of both,
Where shall I turn, divided to the vein?
I who have cursed
The drunken officer of British rule, how choose
Between this Africa and the English tongue I love?
Betray them both, or give back what they give?
How can I face such slaughter and be cool?
How can I turn from Africa and live?

Derek Walcott

Un vento scompiglia la fulva pelliccia
Dell’Africa. Kikuyu, veloci come mosche,
Si saziano ai fiumi di sangue del veld.
Cadaveri giacciono sparsi in un paradiso.
Solo il verme colonnello del carcame, grida:
«Non sprecate compassione su questi morti separati!».
Le statistiche giustificano e gli studiosi colgono
I fondamenti della politica coloniale.
Che senso ha questo per il bimbo bianco squartato
nel suo letto?
Per selvaggi sacrificabili come Ebrei? Continua a leggere

Mappa del nuovo mondo

Derek Walcott

DEREK WALCOTT, L’ODISSEA IN UN MONDO NUOVO

commento di Bianca Sorrentino

 

Di fronte al vento che spazza le coste caraibiche, due mani nodose tengono ferma la mappa del nuovo mondo e ispirandosi ai simboli delle Indie occidentali plasmano il modello classico secondo un immaginario rinnovato e fertile. Derek Walcott è sapiente custode dell’eredità europea, ma non per questo tradisce il legame con la sua terra, anzi si serve della poesia per esprimere le contraddizioni che segnano un’identità di confine: dalla solitudine di un’isola, egli canta la comunità degli arcipelaghi; dalle atmosfere assolate e indolenti del Mar dei Caraibi, egli raccoglie la tradizione vibrante dell’Egeo e, tra un mare e l’altro, si fa interprete dell’attesa del poeta, che filtra la nebbia dei secoli e ben oltre le lacrime della pioggia accorda la sua arpa.

Arcipelaghi

Alla fine di questa frase, comincerà la pioggia.
All’orlo della pioggia, una vela.

Lenta la vela perderà di vista le isole;
in una foschia se ne andrà la fede nei porti
di un’intera razza.

La guerra dei dieci anni è finita.
La chioma di Elena, una nuvola grigia.
Troia, un bianco accumulo di cenere
vicino al gocciolar del mare.

Il gocciolio si tende come le corde di un’arpa.
Un uomo con occhi annuvolati raccoglie la pioggia
e pizzica il primo verso dell’Odissea. Continua a leggere