NOTA DI ELEONORA RIMOLO
In Portogallo i movimenti culturali europei si innestano con diversi anni di ritardo rispetto ai paesi in cui questi si originano: ciò accade anche con il surrealismo, movimento che in Portogallo attecchisce nel secondo dopoguerra (nel 1947) per necessità storica – numerose sono infatti le analogie con il primo dopoguerra francese, basti pensare al senso di insofferenza e di rigetto dei valori borghesi imposti, ma altrettante sono le novità di questo movimento, che assume tratti assolutamente inediti.
Purtroppo, il surrealismo portoghese non può esprimersi in una attività collettiva, di gruppo, ma si realizza a livello individuale a causa dell’assoluta mancanza di libertà dei singoli nonché della mancanza di un valido entroterra freudiano utile a sostenere le teorie letterarie surrealiste.
Il fascino del surrealismo portoghese sul Tabucchi narratore è connesso allo studio critico di Tabucchi sul movimento, che nel 1971 per Einaudi curò il volume La parola interdetta. Poeti surrealisti portoghesi.
Nell’introduzione al volume, il curatore sostiene che il sistema poetico surrealista portoghese si fonda sostanzialmente su quattro elementi: l’angoscia, lo scherno, l’immagine e l’impegno. Sono sentimenti che non si addicono ad una Avanguardia tout court, poiché la disillusione, il senso di resa e l’amarezza qui sostituiscono la forza sferzante e critica del surrealismo francese. Questo atteggiamento dipende dalla situazione politica portoghese di quegli anni: la caduta del fascismo italo-tedesco non ha prodotto la caduta del salazarismo, anzi ha permesso a quest’ultimo di rafforzarsi in via definitiva.
La poesia è impotente di fronte alle violente repressioni e alla costante vigilanza del regime, e non può che rifugiarsi in un sistema letterario pregno di ambiguità e di allusioni, di simboli che nascondono il nudo significato per poter sopravvivere, galleggiando in un oceano di compromessi con il regime – che lascia gli intellettuali “liberi” di esprimersi con doppi sensi, giochi di parole e critiche indirette e per questo li schiaccia definitivamente sotto il peso dei sensi di colpa e con la consapevolezza di essere la “cattiva coscienza” di quella borghesia tanto detestata ma profondamente incarnata, responsabile dello sfacelo del Paese.
Quali armi possiede dunque questo movimento, in apparenza così privo di forza, di baldanza?
I poeti surrealisti portoghesi sono lucidi, coscienti del dramma della condizione umana, e non possono che trovare rifugio nelle illusioni della speranza, nelle affermazioni talvolta coraggiose anche se “nascoste”, nel voler rivendicare l’autosufficienza del dire poetico rispetto alla nuda politica.
Il poeta surrealista portoghese per eccellenza è, per Tabucchi, Alexandre O’Neill: le parole-chiave della sua poesia sono intrinsecamente connesse a quelle dell’universo letterario tabucchiano. Angoscia e paura, largamente utilizzate dal poeta portoghese in maniera quasi ossessiva, vengono suscitate dal senso di inadeguatezza e di disfunzionalità del reale e incarnate da oggetti, cose, visi, animali che appaiono come mostri antropomorfi o come fantasmi (in cui gli esseri umani talvolta si trasformano), e che hanno la funzione di demistificare la realtà e di svelare le irregolarità del quotidiano.
Sempre al limite tra metafora e allusione, i poeti surrealisti portoghesi per difendersi dall’angoscia creano una barriera evanescente ma in un certo senso efficace di immagini mostruose ed enigmatiche, che si interpongono tra il Sé e l’Altro, percepito come fonte di preoccupazione e di imprevedibilità. Quel che resta da fare, dunque, è attestare la poesia come “viatico” e osare con le parole, combattere con queste ultime, in bilico tra scherno e sofferenza, per risvegliare una libertà forzatamente sopita e tentare di decifrare le rovine di cui si è circondati in un coraggioso atto di resistenza, che in un “gioco del rovescio” corrisponde contemporaneamente ad una volontà di distacco e di autosufficienza della poesia e del poeta che attraverso un linguaggio in piena rottura con gerarchie e tradizione rifugge dal conformismo e dall’asservimento al potere.
Tre testi di Alexandre O’Neill. Traduzione di Antonio Tabucchi
Seguiamo la cernia
Seguiamo la cernia, amica mia!
Scendiamo nel fondo del desiderio
Dietro a molto di più che la fantasia
E accettiamo perfino un bacio dalla cernia,
se non con amore, almeno con allegria…
In ciascuno di noi nuota la cernia,
quasi sempre mentita e dimenticata
in acqua silenziosa di passato
nuota la cernia: tradito
pesce represso…
Sì, seguiamo la cernia, prima che salga,
morta, a boccheggiare a fior d’acqua,
a fior d’occhi,
quando, rinnegata la cernia tutta la vita,
non siamo altro che solitudine e dolore…
Canzone
Che esca l’ultima stella
dall’avarizia della notte
e la speranza venga a bruciare
venga a bruciare nel nostro petto
E anche i fiumi escano
dalla pazienza della terra
È nel mare che l’avventura
ha le sponde che merita
E escano tutti i soli
imputriditi nel cielo
di quelli che non vollero vedere
– ma che escano in ginocchio
E che dalle mani escano gesti
di trasformazione pura
Fra il reale e il sogno
saremo noi la vertigine
Il tempo sudicio
Ci sono giorni che odio
Come insulti cui non posso rispondere
Senza il pericolo di una intimità crudele
Con la mano che lancia il pus
Che lavora al servizio dell’infezione
Sono giorni che non avrebbero mai dovuto uscire
Dal cattivo tempo fisso
Che ci sfida dalla parete
Giorni che ci insultano che ci buttano
I sassi della paura i vetri della menzogna
Le monetine dell’umiliazione
Giorni o finestre sopra lo stagno
Che si specchia nel cielo
Giorni del giorno-per-giorno
Treni che portano il sonno a brontolare verso il lavoro
Il sonno centenario
Malvestito malnutrito
Verso il lavoro
La martellata in testa
La piccola morte maliziosa
che nella spirale delle sirene
Si nasconde e fischia
Giorni che ho passato nelle fogne dei sogni
Dove il sordido dà la mano al sublime
Dove ho visto quanto è necessario dove ho imparato
Che solo fra gli uomini e per essi
Vale la pena di sognare