Thierry Metz, “Dire tutto alle case”

Thierry Metz

 da POESIE
(1978-1987)

Je traînais dans des losanges
Avec tous les alphabets de la terre
Dans mes poches
Et j’écrivais sur les murs
Sur les portes cochères
Je collais de grosses lettres haletantes
Comme des crapauds
Des chiffres couleur d’épi
Claquant la pierre de leurs talons
J’avais un mal fou à tout dire aux maisons
Un mal de chien à les sortir de leur glaise.

 

Vagavo tra losanghe
Con tutti gli alfabeti della terra
Nelle tasche
E scrivevo sui muri
Sui portoni
Incollavo grandi lettere alitanti
Come rospi
Cifre color spiga
Che suonavano la pietra con i tacchi
Immane la fatica di dire tutto alle case
Lo sforzo di estrarle dall’argilla.

(1984)

*

da POESIE 
(1989-1997)

Écrire un poème
c’est comme être seul
dans une rue si étroite
qu’on ne pourrait
croiser que son ombre.

Scrivere una poesia
è come essere solo
in una via tanto stretta
da non potere incrociare
che la propria ombra.

(1995)

da LA RECLUSIONE 
(1996)

 

Je ne cherche
par un homme
ou par une rose
qu’à rejoindre ce que je n’atteindrai jamais,
je n’ai que quelques mots
pour y parvenir et quelques journées,
petits territoires
heures cernées, creusées
mais sans pouvoir ignorer le centre imprévu
jamais au centre.

*

Cerco
tramite un uomo
o una rosa
di raggiungere solo ciò che non otterrò mai,
non ho che poche parole
per riuscirvi e qualche giornata,
piccoli territori
ore accerchiate, scavate
ma senza poter ignorare il centro imprevisto
mai al centro.

*

Lire d’abord
passer d’une proximité à l’autre,
ne se retrouver dans la langage
que pour être ici
avec ses ailleurs – peut être
et partir avec ses ailleurs,
peut-être n’étant pas le point de rencontre
de ce qui peut-être est nous
sans nous
que nous ne rencontrons jamais
ailleurs qu’ici.

*

Anzitutto leggere
passare da una prossimità all’altra,
ritrovarsi nel linguaggio
solo per essere qui
con i propri altrove – forse
e con tali altrove partire,
forse non essendo il punto d’incontro
di ciò che forse è noi
senza di noi
che non incontriamo mai
altrove da qui.

*

Il n’y a peut-être pas lieu
de parler de ce qu’on pourrait dire
mais on ne peut entrer en silence
autrement.
Mais rien n’éloigne de l’autre
ni rien ne la rapproche.
Il y a seulement ce qui est chemin.

Même étant arrivés
nous sommes toujours loin.

*

Non c’è forse modo
di parlare di ciò che potremmo dire
ma non si può entrare in silenzio
altrimenti.
Ma niente allontana l’un l’altro
niente avvicina.
Solo ciò che è in cammino.

Anche arrivati
restiamo distanti.

Thierry Metz, Dire tutto alle case, Traduzione e cura di Mia Lecomte, Interno poesia, 2021

_______

Thierry Metz, nato a Parigi nel 1956, autodidatta, campione di sollevamento pesi, dopo il servizio militare, a ventun anni si sposa e si trasferisce nei dintorni di Agen, nel dipartimento di Lot-et-Garonne. Qui lavora come manovale e operaio a giornata e comincia a scrivere, incoraggiato dalla moglie e dai tre figli.

Nel 1988 esce la sua prima raccolta; lo stesso anno Vincent, il secondo figlio di otto anni, muore davanti ai suoi occhi travolto da un’auto. Metz crolla da allora in una deriva psichiatrica di depressione e alcolismo che dopo il trasferimento a Bordeaux, nel 1996, e due ricoveri ospedalieri, il 16 aprile 1997 lo porterà al suicidio.

In vita ha pubblicato nove raccolte poetiche, di cui due con l’editore Gallimard, a cui sono finora seguite otto pubblicazioni postume.

I testi qui tradotti da Mia Lecomte – una scelta dalla silloge antologica edita da Pierre Mainard che raccoglie poesie mai uscite in volume – abbracciano un arco temporale che va dal 1978 al 1997.

Precedenti alla prima pubblicazione di Metz e contemporanei all’ultima, permettono così di avere uno sguardo di insieme sul suo percorso poetico. Di seguire l’evoluzione di una poesia limpida e essenziale, costruita “manualmente” giorno dopo giorno, a margine del lavoro nei cantieri, durante i ricoveri psichiatrici, lungo le stazioni della sua luminosa esistenza di dolore: «Scrivere una poesia / è come essere solo / in una via tanto stretta / da non potere incrociare / che la propria ombra».

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