Mi trascina verso il peso delle cose
questa scimmia che ho sulla schiena.
È un lembo di niente
il suo parlare indistinto,
una spina,
il mormorio del traffico.
“o re, il peso si fa spirito,
siamo una costellazione.”
Così nel tenue turbamento della nebbia di Monza
– incanto, incauto, vivo per scommessa
la vita è una sala d’aspetto
e ho perso il momento.
***
Contrappeso della mia solitudine
i miei incubi d’autostrada.
il desiderio di dimenticarti,
domani
di non dimenticarti.
Sei l’intimità della mia dissociazione,
così scivoli dietro di me come la notte
che mi adagia un nastro sulle palpebre
e lo tira da dietro.
***
A DARIO BELLEZZA, POETA
Mi hai letto una sera
come favola della buonanotte
tutti i tuoi dubbi di strano distacco,
di autocommiserazione.
Sei per me il desiderio di un passante,
l‘attesa snervante in una copisteria.
Sei le ciglia perfette di un corpo non tuo
vestito di sbagli, di amanti drogati.
Stinge di vita questa tua insistenza,
sorge ostinata questa tua finzione
egocentrica figlia
della fermata successiva.
– vorrei solo cullassi anche la mia
disperazione.
***
Ti lascio da sola questa sera,
niente ti assomiglia più di un precipizio –
mi piacerebbe esitare,
decidere che Lazzaro risorga come donna.
Ci vuole davvero troppo tempo perché m’importi
troppo perché i sogni di occhiali rotti
si facciano attesa dell’attesa
e racconto di dolore che dura
come effimera eclissi.
– yours is the only face I recognize,
sto sanguinando in mezzo alla strada –
perché si toccano le nostre ombre, perché
mi sono tagliato il palmo con l’abbandono.
Lazzaro cerca di capire
cosa sia da raggiungere per amarsi così poco.
[sorrido]
Non fare caso a quello che ho scritto.
Un tempo ero capace di bere e di scrivere,
ora non ho più questo talento.
Rende ogni cosa ordinaria
un dannato fiore di loto da ingoiare.
***
ALL’AMU DARYA
Realmente abbiamo perso il nostro posto
senza neanche accorgercene.
La bimba dorme di tiepida vita,
io nell’abbastanza della certezza d’esistere
– nell’inconosciuto sesso.
esprimi te stesso e sarà già un enigma
Legato dalle corde di Itaca,
dalla vita che occorre,
ascolto la mia dipendenza
carezzarmi i capelli,
scioglierne i nodi.
***
Te ne vai
nella routine del tuo male immenso
incustodita.
***
Mancanze proustiane nelle ore inutili
in cui nulla ritorna,
in cui il silenzio inaccessibile
è l’unica cosa di cui t’importa
e le luci della centrale elettrica
sono un vago ricordo di adolescenza.
Ho incontrato due persone che avevano i tuoi occhi.
un bimbo spaventato dal ringhiare di un cane
e la tua foto sul Messaggero.
Non cambia niente se hai smesso di parlarmi,
davvero basta che continui a ritrovarti
in queste sere di pioggia – passate a farmi
a farmi abbandonare.
Stefano Bottero, «POESIE DI IERI» Oèdipus, 2019
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Stefano Bottero è nato a Roma nel 1994. Si è laureato in lettere, studia filologia moderna. Allievo di Biancamaria Frabotta, scrive di critica letteraria.