Addio a Adam Zagajewski

Adam Zagajewski

Lutto nel mondo della cultura. E’ scomparso il 21 marzo 2021 nella Giornata Mondiale della Poesia il grande poeta polacco, Adam Zagajewski,  Aveva 76 anni. Una triste ricorrenza in una giornata di gioia per la poesia. Questo evento casuale, accidentale, lo rende ancora più immortale e afferma la potenza della sua presenza.

Nato a Leopoli (Ucraina) nel 1945, Adam Zagajewski è uno dei maggiori poeti polacchi del Novecento. Non so cosa sia accaduto a Adam in questo orribile tempo del Covid, in questa data simbolica in tutto il mondo. Nell’intervista che leggerete Adam racconta che per lui era simbolica “la data del 27 gennaio, il giorno in cui Auschwitz è stata liberata dall’armata rossa, data che poi è diventata Il giorno della Memoria. Il 27 gennaio però è anche il compleanno di Mozart e questi due fatti sono la somma di tutte le stranezze del mondo nel quale viviamo.”

C’è da dire che la scomparsa di un poeta, a qualsiasi età avvenga, è sempre un evento strano, prematuro. L’averci lasciato proprio in questa giornata, sembra confermare che essere poeta è davvero un destino. Portarsi sulle spalle il destino dell’uomo non è una cosa da niente… E questo Adam lo sapeva benissimo…

L’ultimo contatto con Adam lo avevamo avuto a ottobre 2019, in occasione del Premio Poesia civile città di Vercelli a lui conferito per la sua opera di scrittore e poeta. In quell’occasione venne presentata una selezione dei suoi versi a cura di Valentina Parisi: “Prova a cantare con il mondo storpiato” (Interlinea, 2019).  L’intervista, l’ultima, che realizzai con Adam è uscita su questo blog il 10 ottobre 2019. Potete rileggerla qui.

Credo di poter affermare con certezza che quella fu l’ultima volta che Adam visitò l’Italia. Soltanto quattro mesi dopo, il 22 febbraio 2020, si cominciò a parlare della pandemia da Covid-19.

Ma facciamo un passo indietro.

Incontrai per la prima volta Adam il 17 marzo 2011. Poi ci rivedemmo ancora, anche a Pordenonelegge. In quegli anni lo scrittore e poeta polacco, candidato al Nobel per la Letteratura (premio che poi non ha vinto benché fosse unanimamente riconosciuto con Wislawa Szymborska, uno dei maggiori poeti polacchi del nostro tempo), era a Roma per celebrare Joseph Brodsky, con una squadra di scrittori e poeti, fra i quali il caraibico Derek Walcott, premio Nobel 1992. L’avvenimento ebbe luogo in due momenti diversi: la sera del 17 marzo alla John Cabot University e la sera del 18 marzo all’American Academy.
Per il Tributo a Brodsky (Nobel 1987) il 18 marzo salirono sul podio dell’Aula Magna dell’Academy , illustri ospiti: Roberto Calasso, Boris Khersony, Mary Jo Salter, Mark Strand, Derek Walcott e Adam Zagajewski. Io ero lì, seduta fra il pubblico. Scattai diverse foto…Non persi l’occasione per fare la mia prima intervista televisiva a Adam Zagaiewski per RaiNews24 che oggi vi ripropongo integralmente scritta.

Zagajewski aveva solo pochi mesi quando la sua famiglia fu deportata in Polonia, paese del quale era originaria. Nel 1981, a causa delle leggi marziali polacche fu costretto all’esilio e si rifugiò in Francia, a Parigi.

Nel 2002 Zagajewski era ritornato a vivere in Polonia per poi assestare la sua vita abitando in Polonia, a Cracovia, e negli Stati Uniti, a Chicago, per insegnare all’Università.
Adam, era conosciuto in tutto il mondo per la sua poesia sull’ “11 settembre”. In quel momento però, la sua opera di poesia non era ancora uscita integralmente in Italia. Io avevo letto la sua autobiografia “Tradimento”, nella traduzione di Valentina Parisi, (Adelphi 2007) e ne ero rimasta molto colpita, e proprio da quel libro cominciò la nostra conversazione.

(Luigia Sorrentino)

 

Intervista a Adam Zagajewski
di Luigia Sorrentino
American Academy in Rome 
17 marzo 2011

L.S. Nella sua autobiografia,“Tradimento”, lei scrive: “La vita è tradimento. Chiunque possegga un’anima immortale, e abbia ricevuto la vita, è un traditore.” Sembra proprio che per lei sia impossibile venire al mondo fuori della condizione del ‘tradire’ e ‘dell’essere traditi’. Perché la vita è tradimento?

A.Z. “Credo che ognuno di noi ambisca a un innato desiderio di perfezione. La vita che conduciamo ci dimostra invece che non è mai perfetta come l’idea che abbiamo di essa. Per me questi due livelli, la ricerca della perfezione, e l’imperfezione, sono interessanti. Da una parte la nostra vita interiore, che forse non è perfetta, ma è ‘ideale’, e dall’altra, il quotidiano, la realtà che viviamo, che ci corrompe e ci impedisce di seguire i nostri ideali. Quelli che scrivono letteratura, e più in generale quelli che si occupano di arte, sono consapevoli di questa discrepanza tra la vita interiore e la vita economica o familiare. E’ un tradimento, non il peggiore, ma comunque un tradimento.”

L. S. Lei scrive: “Il mondo interiore, il regno assoluto della poesia, ha la caratteristica di essere inesprimibile.” E allora, che cosa succede se quel mondo interiore e inesprimibile, aspira invece, soprattutto a esprimersi? Nel libro lei risponde così: “Usa uno stratagemma. Finge di interessarsi e di interessarsi molto alla realtà esterna.” Con tale affermazione fa crollare l’idea che abbiamo dei poeti: spesso fotografati come esseri fragili, insicuri, poco realistici, sognatori… Dunque il poeta usa uno stratagemma per esprimersi?

A.Z. Questo frammento ha un tono ironico. Non credo totalmente a quello che ho detto. Mi sembra di poter affermare che a volte i poeti o i romanzieri credano che quello che abbiano da dire è difficile da esprimere, e quindi quando succede qualcosa nel mondo reale, nel libro si trasforma in una catastrofe o in un’ elegia. Non sempre lo scrittore è coinvolto in prima persona in quello che scrive e allora si usano questi stratagemmi: utilizzare degli eventi che siano intellegibili, empirici, fisici, concreti, degli eventi che siano totalmente tuoi.

L.S. Lei, Adam, in questo libro, ci parla dell’ineffabile ‘cinismo’ della poesia e della paura che ha la poesia di svelare il proprio ‘segreto’. Poi scrive che la poesia ha un cuore freddo. Ci dice che il reale capirà improvvisamente di essere stato soltanto un pozzo inesauribile di metafore e scomparirà. E la poesia resterà sola al mondo, muta, vuota, triste e incomunicabile.
Adam, spiega ai nostri lettori perché la poesia ha un cuore freddo?

A.Z. Credo che nella poesia ci siano due aspetti. Il primo è il cuore di pietra. Quando, ad esempio, si scrive un elogio funebre, quando qualcuno che ami, muore. Il cuore non rimane insensibile e sente concretamente l’affetto e la tristezza, ma, allo stesso tempo, se un poeta vuole scrivere una buona poesia, deve pensare anche alle caratteristiche tecniche e trovare delle buone metafore. Non basta dire: ‘Come sono triste!’ Quella è una cattiva poesia. Bisogna trovare un modo per trasmettere il messaggio e l’approccio formale è freddo. Quindi, da un lato, c’è l’aspetto emotivo dato da un sentimento o da una sensazione, e poi c’è l’ ‘interesse tecnico’ molto freddo. La domanda che il poeta si pone è: “Come posso esprimermi, come posso dire una tale cosa in modo che anche gli altri la comprendano?”

L.S. A proposito del male, lei dice che “è impossibile cogliere l’essenza del male”. Perché l’uomo non è mai riuscito a distinguere, a riconoscere, l’essenza del male?

A.Z. Mi piacerebbe sapere perché l’uomo non riconosce l’essenza del male. Ci sono molte teorie ma sono tutte incomplete. La migliore forse è quella che parla del peccato originale, ma non è una spiegazione è solo un’affermazione. In fin dei conti non sappiamo come comportarci. Ogni volta che l’individuo cerca di costruire un sistema sociale migliore, delle città che rendano una vita serena, il male non sparisce. Questo mi fa sentire sempre più impotente. Non so cosa fare. La verità è che l’uomo non sa cos’è il male.

L.S. A proposito di Karl Marx, lei scrive: “Marx aveva un suo modo di trattare la sofferenza: la inseriva in una prospettiva scientifica, per questo dormiva sonni tranquilli. E sonni altrettanto tranquilli poterono e possono dormire tanti marxisti del pianeta Terra e dei satelliti circostanti.

L.S. Chi sono i marxisti oggi? A chi pensava quando ha scritto queste parole? Chi sono quelli che inseriscono la sofferenza in una prospettiva scientifica e dormono – continuano a dormire – sonni tranquilli?

A.Z. Non so chi siano i marxisti oggi. Quando arrivò Hitler e il nazismo, molti marxisti affermarono che tutto era successo a causa della lotta di classe. Ma non è andata davvero così perché non è possibile spiegare il nazismo attraverso le categorie marxiste. Non so se oggi ci siano ancora persone convinte che si possa spiegare il mondo solo con la lotta di classe e con l’abolizione della proprietà privata. Ci sono dei posti al mondo, come l’America latina, alcuni paesi molto poveri, dove il sogno marxista convince ancora, ma quelli che hanno vissuto l’esperienza del comunismo, che era il compimento della dottrina marxista, sanno che Marx non ha risolto i grandi enigmi del mondo.

L.S. Questo libro-saggio opera per figure di pensiero, perché induce continuamente a una riflessione… e per poterlo apprezzare bisogna leggerlo più di una volta. Sembra un libro scritto da un filosofo, ma lei è poeta e anche filosofo?

A.Z. Non sono un filosofo, non riesco a pensare in modo astratto. Ci provo, ma credo che il pensiero abbia bisogno d’immagini. Io sono un poeta che pensa. Non sono in grado di immaginarmi delle categorie filosofiche, ho sempre bisogno di un’immagine concreta, di un volto, di un essere umano, del tempo, dell’ambientazione. Il filosofo dimentica le cose concrete. Non voglio essere un filosofo, ma a volte sono geloso e mi chiedo perché non riesco a pensare in modo astratto.

L.S. Mi sembra però che lei metta all’interno della poesia figure di pensiero. Intendo dire che anche i suoi versi sono frutto del pensiero.
E’ corretto dire che la sua poesia è anche una riflessione filosofica?

A.Z. Non credo che le mie poesie presentino riflessioni filosofiche. Forse sono costruite intorno a un interrogativo filosofico, ma nessun filosofo accetterebbe le mie poesie come un saggio filosofico. Io sono più interessato alle immagini, mi piace creare un’atmosfera, una metafora. I filosofi amano creare immagini astratte, io no. Forse in me ci sono alcune caratteristiche del filosofo, ma propendo molto più per la poesia.

L.S. Però lei si laurea proprio in filosofia, e allora, come arriva alla poesia? E perché sceglie proprio la poesia?

A.Z. Quando ho studiato filosofia ero molto giovane. Non finivo mai i testi che dovevo leggere. Iniziavo con tutte le buone intenzioni e leggevo Kant o Cartesio, ma non riuscivo a finire i libri, la mia fantasia mi portava altrove. A margine delle pagine scrivevo delle poesie, oppure usavo quello che leggevo nei libri di filosofia come ispirazione, ma non ero fatto per la filosofia. Alla fine mi sono laureato, ma da ragazzi non è difficile farlo, però sapevo che il mio futuro non ero la filosofia. Ero troppo rivolto verso la realtà, verso un momento di estasi piuttosto che verso fredde elucubrazioni.”

L.S. Secondo lei c’è una relazione tra il pensiero (proprio del filosofo) e l’ispirazione (propria del poeta, dell’artista?)

A.Z. Credo siano due cose diverse. Non so quali siano gli elementi del pensiero filosofico perché io non le ho, ma quando si leggono i filosofi contemporanei come Heidegger, sembra di leggere delle macchine, è tutto così freddo, manca l’estasi della scrittura. Nella poesia c’è sempre la combinazione del caldo e del freddo. L’ispirazione è una cosa data, non la si controlla, arriva come un dono. I filosofi, invece, sono proprietari del loro pensiero, mentre i poeti non sono padroni di quello che fanno.

L.S. In tutta la sua opera è presente il tema del viaggio, nasce a Leopoli, in Ucraina, ma poi va a vivere a Parigi per insegnare all’università di Chicago. Nella sua opera è presente il tema del viaggio, da un lato, e dell’estraneità, dall’altro. Quasi che lei, per tutta la vita, avesse cercato una terza patria. L’ha trovata, infine, la sua patria?

A.Z. Quando ero bambino la mia famiglia ha lasciato la città di Leopoli, che prima ha fatto parte dell’Unione sovietica e ora si trova in Ucraina. Mi sono trovato ad essere un migrante giovanissimo, avevo solo quattro mesi. A lungo ho avuto la sensazione, e a volte ce l’ho ancora, che tutti i posti dove ho vissuto non fossero del tutto miei. Cracovia, ad esempio, è una città bellissima e la amo, ma non è del tutto mia. Fortunatamente questo cambiamento mi interessa, non mi sto lamentando, badi bene. Ho vissuto venti anni a Parigi e molti anni negli Stati Uniti ed è stata sempre un’avventura. Tuttavia per me questo resta un filone da esplorare ed è sempre presente nelle mie opere. La ricerca della madre patria… Lei mi ha chiesto se ne ho trovata una terza e in certo senso sì, l’ho trovata attraverso la lettura e la scrittura, ma si desidera sempre qualcosa di più ‘sentimentale’. Inoltre la scrittura va e viene, non si scrive tutti i giorni.

L.S. Ha detto un grande poeta, Ceslaw Miłosz, (Premio Nobel 1980) che a scrivere versi non è l’abilità della mano, ma «il cielo, a noi caro ancorché scuro, / qual videro i genitori e i genitori dei genitori / e i genitori di quei genitori / nel tempo che fu».
Qual è il suo cielo?

A.Z. Il mio cielo è nella scrittura e in questi momenti di estasi. Non succede tutti i giorni, è un evento raro, ma improvvisamente i pensieri accelerano e vivi più intensamente. Non si tratta solo della scrittura. A volte si va in un museo e si ha l’impressione che la vita sia migliore, più calda. Questi momenti sono ‘il mio cielo’, questo non significa che io respinga tutto il resto. Amo molto anche fare lunghe passeggiate e ascoltare gli uccelli, ho più di un paradiso.

L.S. Ma la sua storia di uomo e di poeta, non è comune…ce la racconta?

A.Z. Sono nato qualche settimana dopo la fine della Seconda guerra mondiale, tra le rovine della guerra se vogliamo. Sono cresciuto nella Slesia polacca, molto vicino ad Auschwitz. Nonostante tutto ricordo un’infanzia serena, ma fin da piccolo sono stato esposto a fatti che ancora oggi non capisco. Da una parte c’era la sofferenza e il lutto di Auschwitz e da ragazzo ho letto molto a riguardo, e dall’altra c’era la gioia della vita normale, i libri, la musica.
Per me è simbolica la data del 27 gennaio, il giorno in cui Auschwitz è stata liberata dall’armata rossa, data che poi è diventata Il giorno della Memoria. Il 27 gennaio però è anche il compleanno di Mozart e questi due fatti sono la somma di tutte le stranezze del mondo nel quale viviamo. Ricordiamo Auschwitz e quella tragedia, ma ascoltiamo anche Mozart che ha composto musiche molto gioiose. Certo, ci sono anche delle note di tristezza nel Requiem, ma Mozart è principalmente gioia e il fatto che il 27 gennaio racchiuda sia Auschwitz sia Mozart per me è un grande dilemma dell’esistenza. Piangiamo ancora le vittime della Shoah, ma riusciamo anche ad essere gioiosi ed estatici. Per me scrivere poesie è la mia risposta a questo scontro. Abbiamo bisogno di entrambe le cose, la gioia estrema e la tristezza estrema.

L.S.. La sua voce poetica è sommessa. Parla dallo sfondo di immense devastazioni contaminate dalla crudeltà della Seconda guerra Mondiale e della Shoah. E’ stato detto, anche, che la sua poesia si ispira alla musica e alla pittura… E’ stato detto che lei comunica e dialoga con poeti, filosofi, musicisti e parla loro confidenzialmente. Molte le sue poesie dedicate a questi artisti. C’è un suo libro, non ancora tradotto in Italia, che ha per titolo “La difesa dell’ardore”. Che cosa vuol dire, difendere l’ardore?

A.Z. All’inizio di questa conversazione abbiamo parlato del cuore freddo della poesia. Secondo me la poesia ha bisogno di durezza, di distacco, ma anche di ardore. Ha bisogno di ‘entusiasmo’, una parola meravigliosa che in greco significa ‘avere dio dentro di sé’. La parola ‘entusiasmo’ deriva da dio, il valore della parola, però, è stato dimenticato. Noi conosciamo il significato della parola ‘entusiasmo’, la usiamo, ad esempio, nel calcio, quando il Real Madrid gioca contro l’Arsenal… Ma io penso che l’entusiasmo sia qualcosa di più elevato. E’ necessario difendere i pensieri più elevati, non credo che siano sotto minaccia, non credo che siano destinati a scomparire, ma penso comunque che debbano essere difesi.

L.S. Mi viene ora di paragonare la sua poesia a quella di Eliot che diceva che la “forma ardente del mondo” è la bellezza, la sapienza, l’ironia, ma anche l’auto-ironia. Eliot diceva, anche: «La poesia, se autentica, è un movimento di conoscenza, spesso piena di affetto.»
E’ questo che lei fa con la poesia? Trasforma l’ispirazione, «in una torcia fiammeggiante che passa di mano in mano» dallo scrittore al lettore?

R. “Adoro ciò che ha detto e non potrei essere più d’accordo. Ha espresso questo pensiero con parole meravigliose questa ‘torcia’, questa ‘fiamma’ dell’entusiasmo e dell’ispirazione.
Credo che il buon lettore di poesia o di libri sia importante quanto lo scrittore. E’ meraviglioso che ci siano ancora grandi lettori che hanno questa capacità di rispondere alla poesia, all’arte, alla buona prosa.
La differenza tra chi crea e chi riceve è molto più breve rispetto a quello che pensiamo. E’ un momento, un passaggio di ‘trasmissione del fuoco’. E’ necessario trasmettere questo fuoco.”

L.S. Ecco dunque la domanda che Zagajewski pone con decisione, ma insieme con levità, e che io pongo a Zagajewski con decisione e levità: ‘l’ispirazione è gioia o malinconia?’

L.S. Probabilmente ormai avrà capito che per me tutto ha un duplice aspetto. Non è una scelta. C’è un’enorme differenza tra malinconia e depressione. La malinconia è uno stato di serena tristezza in cui si accetta il mondo così com’è e si accetta lo scorrere del tempo che porta via con sé la giovinezza e parte della vita. La malinconia non è depressione. La depressione è terribile, porta via qualsiasi cosa. Dalla malinconia può esplodere la gioia, dalla depressione no. E’ possibile essere malinconici, ma questo non esclude la possibilità di provare un sentimento di gioia.

(Traduzione di Desirèe Berlangieri e di Letizia Tesorini)

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