Alessandro Ceni, tre poesie

Alessandro Ceni

Persona sul crinale recinto

I peli del cardo quando volano
ai termini dei campi
chini sul capo addormentato
sfigurato dai sensi dell’asta abbandonata
alle reti
di prode lacune balatri d’uccelli
di litoranee selve d’arbori e d’agri argini
acuminati di gialle fruste
di fossi sannuti e balze e pruni e gelsi
dove declivano le ultime erte
fino a diroccarsi in abisso
la cancellata chiude l’ingresso della cava
la gente dalla rupe
il profilo steccato dell’orlo lì
il terreno è tutto dilavato
si muove e non puoi dirlo
sopra rare fronde
pigliati nelle frasche
per dune
forre stagni
dove lumina la chiostra degli scomparsi
l’eterna e sconfortata luna
la pianta emersa nel buio d’una notte
in diagonale col muro
i pappi muoiono con immote pupe al fianco
oltre i ferri puntuti della fibbia

***

Autocombustione

Mai in loro presenza.
Bensì dalla distanza, abbracciali,
quando sei invisibile e lontano, tutti,
affetti e amici.
Ma mai in loro presenza.
Lascia che il fiume sciolta in te la zavorra della speranza
si volga a controllare gli scalmi
e discenda le numerose anse del suo andare, che moltiplichi,
sgomiti, macini sassi stesi ed erbe insane: cose, tutte,
facilmente immaginabili: il fiume trasporta
banali cose: lo scomparso dato per scomparso, il
frammento del figlio rotto, la prestanza del drudo
e l’ignominia della sonda, l’incrollabile pornografia
della salvezza inalberata e il registratore
con incorporato il fantasma che assonaglia
catene da neve fuori scena o goccia a goccia
come collirio o flebo si esprime: rumori e insistenza.
Stringili al cappio del tuo infelice pensiero,
alla gomena del capestro della tua mente e,
allentato il solitario argano, impiccali,
sequenza per sequenza, nell’inutile cassero del tuo angusto cuore,
affinché come vibratili fiaccole dentro una caverna
o agitate ricerche sopra le rughe del mare o
grida controvento tra il vento nel frumento
restino avvedutamente inconsapevoli e più saggi
così privati del tuo nascosto amore.

***

La merla o altre parole del padre

Io scendo dove nidifica l’uccello
al morto infinito
alla prima conifera
che dava un canto fermo.

Sempre è il sole qui sempre è l’estate
la terra dei lumi
dico cose che non avrei mai saputo.

Non proseguire più
nello scrivere di me
prima del tovagliolo
umido sulla bocca
e dei miei occhi
che volavano per tutta la stanza.

Ho trasvolato e ritrasvolato
entro una siepe minima
si sono spezzate le foglie
intrecciati i crini
un posto immortale
di cui io parlo nella finzione di mio figlio.

Da: “77”, autoantologia di Alessandro Ceni, Edizioni Helicon, 2018

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Alessandro Ceni (Firenze, 1957). I fiumi d’acqua viva (in “Poesia Uno”, Guanda, 1980); Il viaggio inaudito (Tosadori, 1981); I fiumi (Marcos y Marcos, 1985 e 1990); La natura delle cose (Jaca Book, 1991); Il pieno e il vuoto (antologia, Marcos y Marcos, 1995); Tra il vento e l’acqua (autoantologia e riflessioni, Edizioni della Meridiana, 2001); Mattoni per l’altare del fuoco (Jaca Book, 2002); La ricostruzione della casa (poesie scelte 1976-2006, Effigie, 2012); Parlare chiuso, tuttelepoesie(Puntoacapo, 2012), Combattimento ininterrotto, (Effigie, 2015) .poeta, poesia

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