NOTA DI LETTURA DI FABRIZIO FANTONI
Raro e prezioso ci appare questo componimento di Thomas Stearns Eliot “Canto di Simeone” nella superba traduzione di Eugenio Montale.
Il testo prende le mosse dalla figura biblica di Simeone – uomo giusto e timorato di Dio che attendeva la consolazione di Israele – trasfigurandolo nella dimensione archetipica dell’essere umano che resiste con speranza alle avversità della vita.
Straordinario l’incipit del componimento contrassegnato dall’uso del correlativo oggettivo – “Signore, i giacinti romani fioriscono nei vasi” – che allude all’occupazione militare della Terra Santa da parte dei Romani.
Nei versi di Eliot, Simeone non è il sacerdote ispirato da Dio, ma un semplice uomo anziano che nella sua invocazione confessa la sua fragilità e i suoi timori per il futuro dei suoi congiunti: “Chi penserà al mio tetto, dove vivranno i figli dei miei figli/ quando arriverà il giorno del dolore?”
In questi giorni di clausura e di incertezza per tutti, la figura di Simeone tratteggiata da Eliot ed il suo grido di speranza lanciato verso il cielo ci appare come la forma più civile e densa di resistenza al caos.
Siamo noi Simeone, siamo noi ad invocare la pace “ prima che giunga l’ora di un materno dolore”.
Canto di Simeone
Signore, i giacinti romani fioriscono nei vasi
e il sole d’inverno rade i colli nevicati:
l’ostinata stagione si diffonde…
La mia vita leggera attende il vento di morte
come piuma sul dorso della mano.
La polvere nel sole e il ricordo negli angoli
attendono il vento che corre freddo alla terra deserta.
Accordaci la pace.
Molti anni camminai tra queste mura,
serbai fede e digiuno, provvedetti
ai poveri, ebbi e resi onori ed agi.
Nessuno fu respinto alla mia porta.
Chi penserà al mio tetto, dove vivranno i figli dei miei figli,
quando arriverà il giorno del dolore?
Prenderanno il sentiero delle capre, la tana delle volpi
fuggendo i volti ignoti e le spade straniere.
Prima che tempo sia di corde verghe e lamenti
dacci la pace tua.
Prima che sia la sosta nei monti desolati,
prima che giunga l’ora di un materno dolore,
in quest’età di nascita e di morte
possa il Figliuolo, il Verbo non pronunciante ancora e impronunciato
dar la consolazione d’Israele
a un uomo che ha ottant’anni e che non ha domani.
Secondo la promessa
soffrirà chi Ti loda a ogni generazione,
tra gloria e scherno, luce sopra luce,
e la scala dei santi ascenderà.
Non martirio per me -estasi di pensiero e di preghiera-
nè la visione estrema.
Concedimi la pace.
(Ed una spada passerà il tuo cuore,
anche il tuo cuore).
Sono stanco della mia vita e di quella di chi verrà.
Muoio della mia morte e di quella di chi poi morrà.
Fa’ che il tuo servo partendo
veda la tua salvezza.
(Traduzione di Eugenio Montale)
A Song for Simeon
Lord, the Roman hyacinths are blooming in bowls and
The winter sun creeps by the snow hills;
The stubborn season has made stand.
My life is light, waiting for the death wind,
Like a feather on the back of my hand.
Dust in sunlight and memory in corners
Wait for the wind that chills towards the dead land.
Grant us thy peace.
I have walked many years in this city,
Kept faith and fast, provided for the poor,
Have taken and given honour and ease.
There went never any rejected from my door.
Who shall remember my house, where shall live my children’s children
When the time of sorrow is come?
They will take to the goat’s path, and the fox’s home,
Fleeing from the foreign faces and the foreign swords.
Before the time of cords and scourges and lamentation
Grant us thy peace.
Before the stations of the mountain of desolation,
Before the certain hour of maternal sorrow,
Now at this birth season of decease,
Let the Infant, the still unspeaking and unspoken Word,
Grant Israel’s consolation
To one who has eighty years and no to-morrow.
According to thy word,
They shall praise Thee and suffer in every generation
With glory and derision,
Light upon light, mounting the saints’ stair.
Not for me the martyrdom, the ecstasy of thought and prayer,
Not for me the ultimate vision.
Grant me thy peace.
(And a sword shall pierce thy heart,
Thine also).
I am tired with my own life and the lives of those after me,
I am dying in my own death and the deaths of those after me.
Let thy servant depart,
Having seen thy salvation.