Omaggio a Alberto Nessi

La pubblicazione di questa Antologia in omaggio a Alberto Nessi,  raccoglie gli scritti di molti scrittori e amici di Alberto in occasione dei suoi 80 anni. Il  progetto è a cura della casa della Letteratura per la Svizzera italiana.

Pubblichiamo l’introduzione e a seguire, un estratto dal libro: l’intervista di Maria Grazia Rabiolo a Alberto Nessi  gentilmente messa a disposizione da RSI Rete Due.

 

RAMPE DI LANCIO DOGANIERI NUVOLE

Omaggio ad Alberto Nessi per i suoi 80 anni

Casa della Letteratura per la Svizzera italiana
Margherita Albisetti (Direttrice)
e Fabiano Alborghetti (Presidente)

Stazione

Partire la mattina presto
quando ai treni freschi di segreti
sulla scarpata fanno la guardia equiseti
rugiadosi, dalle reti metalliche
si sporgono a guardare riccioli
di vilucchio, partire da queste allodole
stramazzate tra fasci binari
rampe di lancio doganieri nuvole

(Alberto Nessi, in Un sabato senza dolore)

Da dove si comincia a cercare le parole per salutare e festeggiare Alberto Nessi? Le possibilità potrebbero essere molte, e per ognuno personali. Appartengono a un universo vagamente identificabile se appoggiato ai luoghi che Alberto abita ed ha abitato: Bruzella ora; Chiasso, Friburgo o Mendrisio. Eppure c’è un luogo ben più vasto e caleidoscopico, uno spazio formato da margini, confini, occhi, voci. È forse il più esatto ma non ha una posizione geografica precisa, né ha un nome. Non esiste perché coabita sovrapponendo alle molte vite che Alberto ha ascoltato e vissuto ed al contempo esiste perché diventato poesia o prosa. Forse lo spazio abitato che tanto risuona è nella lettura: ognuno di noi può figurare attraverso la sua scrittura un viso o un ricordo, un angolo, una bottega, un vagone ferroviario, l’odore di un tiglio, l’occhieggiare dell’erba lucciola o il canto di un merlo. Ognuno vede il grembo antico di una selva, i vasti scambi ferroviari di Chiasso, il segno remoto oppure recente di un gesto gentile. Alberto Nessi ha sulle spalle quasi cinquant’anni di scrittura: esordisce in volume nel 1969 con I giorni feriali in un panorama culturale impantanato ancora nelle avanguardie che hanno reso afona la letteratura. La scrittura di Alberto va controcorrente: non è solo chiara, limpida, ma da subito si indirizza a un impegno sociale che resterà la sua cifra delicata e umanissima per tutti gli scritti a seguire. Un impegno non solo verso i “secondi”, l’umanità che ha gli occhi bassi ma la schiena diritta, ma anche verso i margini, le zone esterne ai nuclei urbani, le esistenze rasoterra, che siano queste di uomini oppure della natura. Il resto è storia: alla poesia affianca la prosa; nel tempo scrive per quotidiani, riviste; i suoi libri vengono magistralmente tradotti e nella traduzione ecco un secondo risvolto di Alberto Nessi, lui che con tanta cura trasporterà autori di lingua francese verso l’italiano. Amante delle contaminazioni, quando è poeta talvolta si sente più prosatore e viceversa ma sempre persegue, citando Orazio, la direzione di trasformare il notum in novum. Grande filo legante, resta però la sua coerenza stilistica che Alberto applica sia all’osservare che allo scrivere come verrà anche ricordato nella Laudatio del Gran Premio Svizzero di Letteratura che gli viene conferito nel 2016. In questo novembre 2020 Alberto Nessi compie 80 anni: si fraintende a voler pensare che -citando la Signorina Felicita di Gozzano- “a quest’ora scende la sera”. Accade invece il contrario: lo testimoniano non solo le migliaia di lettori -in più lingue- che Alberto continua a nutrire di storie e versi che molti citano a memoria; la testimonianza ulteriore è data dall’affetto di amici, colleghi scrittori e poeti, traduttori, editori o entità culturali che hanno offerto un testo per questo libro-omaggio non troppo formale: la grande maggioranza inediti, altri emessi per altre forme ma mai stampati. Non ultimo, il segno di Luca Mengoni, che per questa pubblicazione ha regalato alcune sue opere perché siano riprodotte. Per ognuno i testi di Alberto Nessi sono stati di volta in volta rampe di lancio, per scoprire la bellezza della poesia (e per alcuni per la prima volta); oppure doganieri per il controllo misurato della lingua e dello stile; o infine nuvole, per la capacità di aprire al sogno e alla vastità che il testo scritto può solo suggerire ma che è compito di ognuno accogliere e respirare.

È uno strano compleanno questo: gli anni li compie Alberto eppure il regalo lo abbiamo ricevuto – e continuiamo a riceverlo – noi. Auguri e buona scrittura a te, trovandola (e citandoti) dove l’edera ancora si allaccia al castagno, dove la natura lo prende fra le sue rocce, dove splende per sempre un’altra luce.

Alberto Nessi

MARIA GRAZIA RABIOLO

INTERVISTA
ALBERTO NESSI

Caro Alberto, questo tuo rotondo compleanno è per me un’occasione preziosa per dirti grazie. Grazie, prima di tutto, per le tante parole che hai scritto. E poi per quelle che mi hai detto durante i nostri numerosi incontri (abitare vicini facilita): sulla letteratura, sulla malattia, sul tempo che passa, sul nostro essere al mondo, sull’amore per gli altri. Mai lunghi discorsi, ma concetti precisi, puntuali, illuminanti. È stato sempre così, anche quando ti mettevo tra le mani un microfono e ti chiedevo di parlare dei tuoi libri. Ci è capitato più di una volta, anche davanti al pubblico. Ma c’è un’intervista che più di tutte ricordo con commozione. È quella che abbiamo realizzato da te, in sala da pranzo, alla vigilia della cerimonia di consegna a Berna del Gran Premio svizzero della Letteratura. Ricordi? Era a metà del mese di febbraio del 2016. Non erano ancora arrivati Milo, Cosma e Léon; e non avevi ancora pubblicato Un sabato senza dolore, né Svizzera italiana, né Rime facili per grandi e piccini, dimostrazione evidente di quanto fruttuoso sia sempre il tuo tempo. Poco meno di mezz’ora, per un Laser Incontro andato in onda su Rete Due della RSI il 19 febbraio 2016, poche ore dopo la grande serata bernese.

Alberto Nessi è sempre stato attento a coloro che lo circondano, soprattutto i più deboli, gli emarginati, quelli che non sempre hanno la possibilità di dire la loro. E ha sempre avuto uno sguardo amoroso anche nei confronti della natura, della flora in particolare. Ma si può dire che tutto questo, via via che sono passati gli anni, si è fuso armoniosamente. Si può dunque affermare che il narratore è sempre comunque anche un po’ poeta. Il senso della lirica è presente ovunque. Alberto Nessi, come riesce a conciliare tutto ciò?

Conciliare è un operazione che mi viene spontanea, perché io ho cominciato a scrivere come poeta e però contemporaneamente, e segretamente, scrivevo anche prosa. Ho cominciato a pubblicare poesie con una prima raccolta I giorni feriali, uscita da un editore che adesso è scomparso, parlo delle edizioni Pantarei dirette da Eros Bellinelli e Manfredo Patocchi. Poi finalmente mi sono sbloccato con la prosa e da lì ho portato avanti parallelamente queste due attività, di poeta e di scrittore. Anche se, per la verità, la mia attrazione è stata maggiore per le parole messe in musica, diciamo così, o per le parole armonizzate, meglio, che si concretizzano poi in opere poetiche.

Ci sta dicendo che si sente più poeta che narratore?

Direi che mi sento le due cose, perché quando scrivo poesia spesso mi muovo rasoterra, per così dire, nelsenso che scelgo, o sono scelto, da un filone della poesia europea, e italiana in particolare, che è quella che rade la prosa.
Noi quando parliamo di poesia pensiamo sempre al filone sublime e per il ’900 all’Ermetismo,
però c’è anche un filone diverso, che io vedrei nella poesia di Cesare Pavese, in particolare nella raccolta Lavorare stanca (la prima che negli anni Cinquanta mi colpì molto) e che vedrei anche nella famosa raccolta di Edgar Lee Masters Antologia di
Spoon River
. Questo filone mi ha sempre interessato, quindi, quando scrivo poesia, racconto spesso delle storie, e quando scrivo prosa, accendo qua e là fiammelle di poesia. È un modo di lavorare che contamina i generi letterari, il mio.

Nella sua bibliografia c’è un libro secondo me particolarmente importante. È uscito nel 2010. Si intitola Ladro di minuzie, è un’antologia delle sue poesie, con una parte di inediti, scelta proprio da lei. Questo significa che ha rivisitato tutta la sua produzione – operazione anche abbastanza difficile, impegnativa, qualche volta anche un po’ dolorosa – e ha scelto solo alcune pagine di tutte le sue raccolte. Io inizierei dal titolo, perché è un titolo che ci fa capire come lavora Alberto Nessi.

Io lavoro sulle piccole cose quotidiane. Infatti Ladro di minuzie è il titolo di una poesia, di tipo narrativo, che faceva parte di Blu cobalto con cenere, il titolo precedente all’antologia. È la storia di una persona che si aggira in una zona periferica, di Chiasso in
questo caso, e si guarda in giro. Questo è il ladro di minuzie, non sono io, è il mio personaggio. Nel quale però io mi identifico. Queste storie raccontate in prima persona nascondono aspetti della mia persona. Per la verità, il mio esordio, negli anni Sessanta, non era ancora così. Io ero legato alla poesia del Novecento: il primo libro di poesia che ho letto e che avevo scoperto in una libreria di Como, si intitola Lirica del Novecento. Quel libro lo acquistai per conto mio, senza che nessun insegnante o amico me l’avesse consigliato, perché ero rimasto come abbagliato da quella copertina gialla che vedevo nella vetrina. La lirica del Novecento… mi prendeva molto. E in quelle pagine scoprii delle poesie che mi affascinarono, grandi poeti del Novecento… Si può dire che cominciò da lì la mia passione per la poesia. Quindi, nei primi testi che ho scritto e pubblicato si possono trovare tracce di questa poesia italiana del Novecento. Poi, continuando a scrivere, il mio stile ha preso anche altre direzioni. C’è una sezione di inediti in questa raccolta che rivela molto di Alberto Nessi: il destinatario è esplicitato… a volte sono le figlie, a volte è la moglie Raffaella. C’è poi la parte dedicata alla madre, già edita per altro. Così come, sul fronte narrativo, ci sono non pochepagine dedicate al padre. È la conferma che l’ambiente famigliare è sempre presente in un modo o nell’altro nei pensieri e nel modo di scrivere di Alberto Nessi.

L’ambiente famigliare è sempre presente, ma nella prima parte della mia produzione si trovano anche evidenti tracce di impegno politico molto forte, esplicitato poi in un tipo di narrazione radicata nella zona in cui vivo, con delle immagini che evocano una volontà di cambiare le cose, perché non mi piacciono così come sono, e che rispondono un po’ al gusto del momento. Al gusto del momento, rispetto a come ero in quegli anni, e al gusto del momento, in quanto la letteratura era diversa da quella che è oggi. Quindi io ero influenzato dal mio modo di essere un adolescente un po’ “selvatico”, e, siccome leggevo parecchio, anche da quel che si scriveva, in Italia specialmente, ma non solo (anche Brecht mi piaceva). Poi, cammin facendo, il mio stile è cambiato, si è trasformato e, forse, si è interiorizzato. Quindi, la parte che riguarda la mia famiglia, essendomi poi sposato ed avendo avuto due figlie, ha avuto una certa prevalenza nella mia produzione. Comunque – è importante sottolinearlo – in tutta la mia produzione poetica sono presenti entrambi i filoni.

Ritorniamo indietro nel tempo, al 1984, quell’anno viene pubblicato nelle Edizioni Dadò un libro che ancora oggi viene venduto con successo, si intitola Terra matta. Sono tre racconti lunghi che riguardano personaggi che ha incontrato o ha conosciuto attraverso descrizioni di altri, e che comunque costituiscono tre storie emblematiche di quella che è stata la storia passata del Mendrisiotto. Un libro importante che ha fatto capire subito che Alberto Nessi è uno scrittore impegnato, attento all’aspetto sociale dell’esistenza e che, attraverso la sua scrittura, ha permesso a questi personaggi di ritornare in vita.

Sono stato impegnato in modo naturale. Io vengo da una famiglia umile, mia madre era operaia di fabbrica, mio padre un piccolo impiegato che poi quando morì, per varie vicende, non ebbe neanche diritto alla pensione. Questa origine famigliare mi ha influenzato come scrittore e, quando finalmente mi sono sbloccato con la narrativa, poiché credevo di non potercela fare come narratore…

Vuol farci capire che la poesia è più facile?

No, no, non dico questo. In quegli anni (sempre gli anni Sessanta) leggevo i classici della narrativa europea e i testi degli autori della Neoavanguardia. Mi avevano mandato un po’ in crisi. Non sarei mai riuscito a scrivere come Joyce o come Céline e allora, mi dicevo, forse riuscirò solo a scrivere poesia, anche se scrivere poesia non è più facile. L’ho già detto, non riuscivo a sbloccarmi con la prosa. Poi, finalmente, capii che potevo farlo se mi guardavo in giro nel luogo dove abitavo, fra le persone che conoscevo: anche nel nostro paese si racchiudono tante storie. Noi siamo universali – diceva qualcuno – se riusciamo a parlare del nostro paese. È una posizione naturalmente discutibile, ma io credo che sia vero. Possiamo essere provinciali se parliamo di cose lontane che non conosciamo.

L’importante è poi concretizzare questa attenzione, questo interesse, questo inseguimento
appassionato della realtà in uno stile che possa avere un’efficacia letteraria.

Qui eravamo nel 1984, avevamo appunto avuto modo in quel momento di capire com’era la Banda del Mattirolo o sentire e seguire le vicende delle sigaraie e poi di entrare a contatto diretto con lo scalpellino di Arzo di nome Togn. Dopo di che è uscito Tutti discendono, ancora una volta un titolo che fa riflettere. Tutti discendono sarebbe il capolinea: si arriva a Chiasso e si scende. Questo è quello che viene anche annunciato adesso sul treno. Ma non vuol dire soltanto questo. Vuol dire anche che tutti abbiamo un albero genealogico alle spalle, che tutti apparteniamo ad un luogo, e che tutti, comunque, siamo condannati in qualche misura a fare i conti con la nostra vita che a un certo punto termina.

Sì, quest’ambiguità mi ha sempre interessato. È contenuta anche in altri titoli, Rabbia di vento, Il colore della malva. Titoli che ho rubato, se si vuole usare una metafora, a labbra popolari. Io penso che anche la gente semplice possa contribuire a fare letteratura, almeno, io lavoro così, lavoro con loro… Dovrei firmare i miei libri con le persone che mi hanno prestato queste espressioni. E a questo proposito credo che non ci sia testo che
meglio renda evidente questo pensiero di Milò, uscito nel 2014, sempre da Casagrande. Sono 18 racconti, il primo è proprio quello che ha dato il titolo alla raccolta.
Milò è una figura nota della Resistenza in Valle d’Aosta. Come dire che storie come queste non devono mai essere dimenticate.

Sono affascinato da queste figure… Emile Lexert, operaio della Cogne che spontaneamente, nel ’43, lascia la Svizzera e va in montagna e diventa partigiano, poi capobanda e per finire viene ucciso dai fascisti. Sono colpito da queste persone generose, che credono nei valori etici, lottano contro la dittatura. Sono persone libere. Oggi viviamo in una società senza più tanti ideali, mi sembra. E quindi, io che ho avuto una vita così… modesta… come insegnante e come scrittore, e non ho mai vissuto grandi imprese, sono affascinato da questi personaggi, e ne scrivo. Anche nel penultimo libro che ho pubblicato, che si intitola La prossima settimana, forse, il protagonista è un personaggio di umili origini che si afferma nella vita politica portoghese lottando per l’emancipazione dei lavoratori di quel paese.

Nei miei libri vivono anche altre persone semplici, animate però da questa forza, da questa
volontà di lottare e di ribellarsi alle ingiustizie.

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