Marco Pelliccioli, “L’inganno della superficie”

Marco Pelliccioli

dal capitolo Impronte, controfigure

Le impronte sugli occhiali fanno luce
(la filigrana opaca, dicono di contrabbando)
mentre pulisci con lo spray
lenti senza neppure un graffio

​(il sasso che scivola nel pozzo
​la traccia che risale
e si sparpaglia per la vite
che ora non è più:
non piangere Angiolina
il secchio con lo straccio, l’acqua lapidata
i figli sono tre, di pane non ce n’è…)

*

dal capitolo Crepe

Lontano il silenzio
pietra miliare dello spazio
onda che infrange il perimetro dei corpi:
la voragine apre al cielo vette sconfinate

(dicono poi che le sue dita
non si creparono in un giorno:
l’acqua fredda, i calli
i panni ai lavatoi, lo straccio sulle scale
a frantumare il calcio, il cuore, poi le ossa;
forse anche per quello quando lo rivide
con le sue mani intatte, sepolte per decenni,
lei si commosse ancora
come il primo istante, quando la accarezzò
dopo averle tolto la ciocca sulla fronte)

*

dal capitolo Cantieri

La terra scavata nel verde bagnato
anonimi corpi pilotano gru:
non è più la semina, o il canto dell’aria,
che ingravida a fiotti di luce la terra
ma questa pretesa di spazio abitato
che toglie mistero, ci pone al riparo
sordi, indolenti, affaccendati.

*

dal capitolo Nuovi vocabolari

L’UOMO-GELATINA

L’uomo, alla porta, sbuffa la farina caduta sul grembiule, non conosce “early adopters”, plance, processi di validazione. Non ha pianificato conti in “kappa” o “identikit”. Vuole soltanto vendere il suo pane, ed è perplesso dal piano di rilancio dell’uomo-gelatina, malconcio eppur firmato: pantaloni arrotolati sopra la caviglia, auricolari, lampade alogene nel fiato.

*

dal capitolo Più tardi, o domani, forse vedremo

La domenica sera la zuppa di farro
lo straccio, i panni ammucchiati sull’asse
il vetro appannato, la luna lontana
il bagno caldo sul tavolo pieno
di cianfrusaglie, le chiavi, le cose
che riempiono ignare le ore del giorno.
Occorre pulire la casa per bene
stoviglie incrostate, i panni per terra,
l’immondizia che puzza nei sacchi lì fuori,
ma tu resta ancora un poco con me
qui dove il tempo è sospeso
i doveri lontani,
più tardi, o domani, forse vedremo.

*

dal capitolo L’inganno della superficie

Le sei del mattino non sono mai presto.
Giù nel parcheggio piove difforme, il treno è vicino.
Non stendi le labbra, né cerchi finzioni,
è sporco, lo sai, l’alone sui vetri, conciate le lenti
come le bucce macchiano a volte la nuova tovaglia.
Nel cielo si scontrano tenui fiammate di rosa
alleviano un poco le palpebre stanche.
Si affacciano, bianche, le facce smagrite
dietro al cancello, la clinica a Turro,
le rotte ringhiere le tengono in piedi.
Sfiliamo le mani nel grande cortile.

da: “L’inganno della superficie”, Marco Pelliccioli, La Collana Stampa2009, 2020

Marco Pelliccioli è nato a Seriate (Bergamo) nel 1982 e cresciuto a Brusaporto, piccolo paese della provincia bergamasca. Laureato in lettere moderne e cinema alla Sapienza di Roma, lavora nell’editoria. Ha pubblicato le raccolte di versi: L’inganno della superficie (Stampa2009, 2019), L’orfano (LietoColle-Pordenonelegge, 2016; Premio Colline di Torino), C’è Nunzia in cortile (LietoColle, 2014; Premio Albero Andronico). Del 2015 è il romanzo A due passi dal treno (Edizioni Eclissi), segnalato dal Premio Calvino. Un dandy a teatro. Oscar Wilde e Woody Allen (Ed. MEF) è un saggio del 2008. È incluso nell’antologia Giovane poesia italiana (Pordenonelegge, 2020), tradotta in inglese, francese, spagnolo e tedesco e nell’Antologia di giovani poeti italiani (Vakxikon, 2019), tradotta in greco.
Cura la rassegna La poesia e la fontana al Teatro Fontana di Milano, dedicata a voci emergenti e maestri della poesia contemporanea.

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