Antonio Fiori, su “Olimpia”

Luigia Sorrentino

RECENSIONE DI ANTONIO FIORI

Sopralluoghi spirituali, necessari e ineludibili, affinché possa compiersi il disegno salvifico del riconoscimento di sé, viaggio deciso altrove, senza alcuna certezza ma pieno di speranze. Ed è un riconoscimento che travalica il tempo: il volto si profila/ il volto che siamo stati è istintivo/ incarnato nel rito che si consuma qui/ nella consolazione siamo venuti/ mutarono i suoi occhi quando chiese/ la vita eterna/ la sua giovinezza si spense divenne una cicala/ poi solo una voce, un soffio/ divenne.

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La poeta compie un viaggio ascensionale (siamo sempre più vicini al cielo) e ha voce in prevalenza plurale, poiché, se é una vita intera quella da riattraversare, l’io si dilata, incontra gli altri, e l’altro che eravamo diventa plurale: è il noi di ‘siamo’ e ‘siamo stati’: – siamo tornati per scomparire/ intorbidare il fondo – Le poesie si aggregano prima attorno ai luoghi: l’antro, l’atrio, il giardino, il lago. Poi attorno ai temi del divino, del canto e della rappresentazione.

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Talvolta si incontra qualcosa di reale, ed è come un regalo – il sole vero il sole si piantò/ in qualche istante di vita – altre volte lo sguardo non riesce a cogliere la visione – non sempre fu possibile scorgerti/ nelle braccia del sorgere. Ma giunti al cospetto del divino – vestita di nebbia l’essenza eterna/ incontrò il nostro apparire – c’è una porta da attraversare: sulle rovine del nostro essere/ rimbombava solo la domanda è quella la porta? Ed ecco irrompere il mito: fuori del tempo, nel viaggio a ritroso nella vita, tutti i nascituri sono già nel ventre della capostipite, che …tutti/ portava nel suo grembo.

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Nel canto dei Cori la notte arcaica è piena di stupore e di accadimenti primordiali: la morte della prima creatura, la nascita della luce, la scoperta del dolore. Il racconto poetico prosegue sempre più oracolare, enigmatico. È un susseguirsi di visioni, è il viaggio dell’anima dopo l’abbandono della carne: sono io che vengo vicino a te/ nel tuo ultimo tempo.

Ma adesso, chi sta parlando e a chi? Nessi e simboli diventano difficili da decifrare, anche se poi la città di Olimpia, con le sue stratificazioni e le sue lamentazioni, affiora e dà concretezza a tutta l’opera, che rilegge anche i suoi monumenti e la sua storia millenaria (centrale è ‘Il confine’, dopo l’ultimo Coro, le altre note su Olimpia sono ‘La città’, a p.21 e ‘La città nuova’, a p.99).

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Dettato chiaro ritorna con ‘Gli insorti’: nel nome di colui che venne/ la carne si avventò su di noi/ l’uno nell’altro ci stringemmo…chiede l’umano il movimento/ la notte adolescente canta/ il cuore orfano del nulla; e con ‘La deformazione’: Sempre di più, il morire…svanisce la memoria di ciò che siamo…Ritorniamo arcaici, al servizio di ciò che siamo stati.

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Poi ‘Il sonno’, dove si incontra l’immagine sfigurata/ della giovinezza e la consapevolezza del fatto che di padre in padre siamo stati/ quella tua età sparsa nella casa.

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Questa raccolta poetica si chiude con versi di rara bellezza e ritrovata fiducia: giovane monte in mezzo all’ignoto/ ti ho trovato addormentato/ con l’orecchio alla terra,/ così trascorri il tempo che ti parla// saluta la bellezza/ tu sei nato, sei importante/ tu sarai un grande uomo, una donna/ grande sarai, tu deciderai l’azione/ il ringiovanimento dei popoli,/ sarai fratello e sorella,/ primavera, che sciama nel vigneto.

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Non manca infine uno stringente insegnamento su la lode della rosa e una pacata visione della nuova città di Olimpia, da cui “arrivava il canto dell’umano a cui nessuno resiste”.

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Preziose per la lettura si sono rivelate sia la Prefazione di Milo De Angelis che la Postfazione di Mario Benedetti, che hanno consentito uno sguardo più profondo dentro questa bella poesia, inattesa e misteriosa, di Luigia Sorrentino.

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Luigia Sorrentino Olimpia Interlinea, 2013, 2019 e.14,00 Prefazione di Milo De Angelis Postfazione di Mario Benedetti

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