Addio alla poetessa Eavan Boland

Eavan Boland

Eaven Boland, colpita da un ictus,  è morta oggi, 27 aprile 2020 all’età di 75 anni. La notizia ha fatto in poche ore il giro del mondo. Su questo blog proprio il mese scorso avevamo pubblicato ( qui ) la traduzione delle sue poesie a cura di Giorgia Sensi. 


Per ricordare Eavan Boland, 1944-2020

di Giorgia Sensi

Abbiamo appena avuto notizia della morte della poeta irlandese Eavan Boland, una perdita enorme sia per la poesia irlandese sia per la poesia internazionale.

Fin dalle prime poesie giovanili, e ancor più nelle raccolte degli anni Ottanta, In Her Own Image, 1980, Night Feed, 1982, è evidente l’ interesse di Boland per il ruolo della donna nella letteratura e nella società, nel mito e nella storia irlandesi, che diventerà un tema centrale della sua opera, sia poetica sia critica. In queste e nelle raccolte immediatamente successive Eavan Boland affronterà il tema dell’identità femminile, e alla sua idealistica rappresentazione nella tradizione letteraria irlandese, patriarcale e maschilista, opporrà la sua descrizione di generazioni di donne vere il cui contributo alla storia e alla cultura nazionale è stato largamente ignorato; racconterà la complessità della loro vita quotidiana, esprimerà la bellezza delle piccole cose, darà voce a un silenzio durato secoli. Ma per far questo avrà bisogno, prima di tutto, di trovare la propria voce, la propria lingua.
E la troverà, sicuramente, fino a diventare una poeta di primo piano non solo nel panorama della poesia irlandese contemporanea, ma in quello della poesia di lingua inglese in generale.

Vogliamo citare qui un paragrafo tratto da una sua opera in prosa, Object Lessons: the Life of the Woman and the Poet in Our Time, Carcanet 1995. Una sorta di biographia literaria in cui l’autrice descrive la sua esperienza e il suo percorso poetico di giovane poeta donna nell’ambiente e nella tradizione letteraria maschile e patriarcale della Dublino di quegli anni nella faticosa ricerca di una sua voce personale.

“In questo particolare momento mi sembra che le donne abbiano un destino in poesia. Non in quanto donne; non è così semplice. La nostra sofferenza, la nostra partecipazione al silenzio collettivo di per sé non garantiscono – né mai lo faranno – la nostra affermazione come poete. Ma se ci incamminiamo alla luce di quella conoscenza e di quella storia, decise a raccontare la verità umana e poetica, e se evitiamo semplificazione e illusione, in quel caso credo che più di tanti altri noi siamo attrezzate a scoprire le più profonde possibilità e sovversioni all’interno della stessa poesia. Le forme artistiche non sono statiche. E nemmeno sono radicalizzate da esteti e intellettuali. Vengono mutate, trasferite, disgregate in forme più profonde solo dalle sofferenze e illusioni di chi le usa. Secondo questa equazione, le donne dovrebbero infrangere le barriere in poesia proprio come la poesia infrangerà il silenzio delle donne. Nel corso di questo processo è importante non confondere la facile risposta con il lungo percorso”.

Pubblichiamo, per ricordarla e renderle omaggio, la poesia ‘Anna Liffey’, una lunga poesia di grande musicalità, strutturata in movimenti, come una sinfonia, una celebrazione della città di Dublino, del fiume che la attraversa e della figura stessa della poeta che la canta: “Alla fine/ tutto ciò che mi ha pesato e distinto / si perderà in questo: / sono stata una voce”.

La poesia è tratta dall’antologia Tempo e violenza, a cura di Giorgia Sensi e Andrea Sirotti, Le Lettere, 2010.

ANNA LIFFEY

Life, the story goes,
Was the daughter of Carman,
And came to the plain of Kildare.
She loved the flat-lands and the ditches
And the unreachable horizon.
She asked that it be named for her.
The river took its name from the land.
The land took its name from a woman.

A woman in the doorway of a house.
A river in the city of her birth.

There, in the hills above my house,
The river Liffey rises, is a source.
It rises in rush and ling heather and
Black peat and bracken and strengthens
To claim the city it narrated.
Swans. Steep falls. Small towns.
The smudged air and bridges of Dublin.

Dusk is coming.
Rain is moving east from the hills.

If I could see myself
I would see
A woman in a doorway
Wearing the colours that go with red hair.
Although my hair is no longer red.

I praise
The gifts of the river.
Its shiftless and glittering
Re-telling of a city,
Its clarity as it flows,
In the company of runt flowers and herons,
Around a bend at Islandbridge
And under thirteen bridges to the sea.
Its patience at twilight –
Swans nesting by it,
Neon wincing into it.

Maker of
Places, remembrances,
Narrate such fragments for me:

One body. One spirit.
One place. One name.
The city where I was born.
The river that runs through it.
The nation which eludes me.

Fractions of a life
It has taken me a lifetime
To claim.

I came here in a cold winter.

I had no children. No country.
I did not know the name for my own life.

My country took hold of me.
My children were born.

I walked out in a summer dusk
To call them in.

One name. Then the other one.
The beautiful vowels sounding out home.

Make of a nation what you will
Make of the past
What you can –

There is now
A woman in a doorway.

It has taken me
All my strength to do this.

Becoming a figure in a poem.

Usurping a name and a theme.

A river is not a woman.
Although the names it finds,
The history it makes
And suffers –
The Viking blades beside it,
The muskets of the Redcoats,
The flames of the Four Courts
Blazing into it
Are a sign.
Any more than
A woman is a river,
Although the course it takes,
Through swans courting and distraught willows,

Its patience
Which is also its powerlessness,
From Callary to Islandbridge,
And from source to mouth,
Is another one.
And in my late forties
Past believing
Love will heal
What language fails to know
And needs to say –
What the body means
I take this sign
And I make this mark:
A woman in the doorway of her house.
A river in the city of her birth.
The truth of a suffered life.
The mouth of it.

The seabirds come in from the coast.
The city wisdom is they bring rain.
I watch them from my doorway.
I see them as arguments of origin –
Leaving a harsh force on the horizon
Only to find it
Slanting and falling elsewhere.

Which water –
The one they leave or the one they pronounce –
Remembers the other?

I am sure
The body of an ageing woman
Is a memory
And to find a language for it
Is as hard
As weeping and requiring
These birds to cry out as if they could
Recognise their element
Remembered and diminished in
A single tear.

An ageing woman
Finds no shelter in language.
She finds instead
Single words she once loved
Such as ‘summer’ and ‘yellow’
And ‘sexual’ and ‘ready’
Have suddenly become dwellings
For someone else –
Rooms and a roof under which someone else
Is welcome, not her, Tell me,
Anna Liffey,
Spirit of water,
Spirit of place,
How is it on this
Rainy autumn night
As the Irish sea takes
The names you made, the names
You bestowed, and gives you back
Only wordlessness?

Autumn rain is
Scattering and dripping
From car-ports
And clipped hedges.
The gutters are full.

When I came here
I had neither
Children nor country.
The trees were arms.
The hills were dreams,

I was free
To imagine a spirit
In the blues and greens,
The hills and fogs
Of a small city.

My children were born.
My country took hold of me.
A vision in a brick house.
Is it only love
That makes a place?

I feel it change.
My children are
Growing up, getting older.
My country holds on
To its own pain.

I turn off
The harsh yellow
Porch light and
Stand in the hall.
Where is home now?

Follow the rain
Out to the Dublin hills.
Let it become the river.
Let the spirit of place be
A lost soul again.

In the end
It will not matter
That I was a woman. I am sure of it.
The body is a source. Nothing more.
There is a time for it. There is a certainty
About the way it seeks its own dissolution.
Consider rivers.
They are always en route to
Their own nothingness. From the first moment
They are going home. And so
When language cannot do it for us,
Cannot make us know love will not diminish us,
There are these phrases
Of the ocean
To console us.

Particular and unafraid of their completion.
In the end
Everything that burdened and distinguished me
Will be lost in this:
I was a voice.

ANNA LIFFEY

Life, racconta la leggenda,
era la figlia di Carman,
e giunse alla piana di Kildare.
Si innamorò delle pianure e dei fossi
e dell’orizzonte irraggiungibile.
Chiese che prendesse il suo nome.
Il fiume prese il nome dalla terra.
La terra prese il nome da una donna.

Una donna sull’uscio di una casa.
Un fiume nella sua città natale.

Là, sulle colline sopra la mia casa,
nasce il fiume Liffey, è una sorgente,
nasce tra giunchi ed erica e
torba nera e felci e s’ingrossa
per reclamare la città che ha narrato.
Cigni. Ripide cascate. Piccole città.
L’aria brumosa e i ponti di Dublino.

Scende il crepuscolo.
La pioggia dalle colline si muove verso est.

Se potessi vedermi
vedrei
una donna su un uscio
addosso i colori che stanno bene coi capelli rossi.
anche se i miei capelli non sono più rossi.

Io celebro
i doni del fiume.
Il suo narrare continuo
immutabile e scintillante di una città,
la limpidezza del suo corso,
in compagnia di piccoli fiori e aironi,
lungo un’ansa a Islandbridge
e sotto tredici ponti fino al mare.
La sua pazienza all’imbrunire –
i cigni che nidificano ai lati,
il neon che vi sussulta dentro.

Creatore di
luoghi, rimembranze,
narra questi frammenti per me:

Un corpo. Uno spirito.
Un luogo. Un nome.
La città dove sono nata.
Il fiume che la attraversa.
La nazione che mi sfugge.

Frazioni di una vita
che mi ci è voluta una vita intera
per rivendicare.

Arrivai qui un freddo inverno.

Non avevo figli. Né paese.
Non sapevo il nome della mia stessa vita.

Il mio paese mi prese.
Le mie figlie nacquero.

Uscii una sera d’estate
per chiamarle dentro.

Un nome. Poi l’altro.
Le belle vocali riecheggiavano casa.

Fa’ di una nazione ciò che vuoi
fa’ del passato
ciò che puoi –

C’è ora
una donna su un uscio.

C’è voluta
tutta la mia forza per far questo.

Diventare una figura in una poesia.

Usurpare un nome e un tema.

Un fiume non è una donna.
Anche se i nomi che trova,
la storia che fa
e subisce –
le lame dei Vichinghi sulle sponde,
i moschetti delle Giubbe Rosse,
le fiamme delle Quattro Corti
che lo accendono
sono un segno.
Non più di quanto
una donna sia un fiume,
anche se il corso che prende,
tra cigni in amore e salici sconvolti,

la sua pazienza
che è anche la sua impotenza,
da Callary a Islandbridge,
e da sorgente a foce,
ne sono un altro.
E alla soglia dei cinquant’anni
quando ormai non credo più
che l’amore risanerà
ciò che la lingua non riesce a sapere
e ha bisogno di dire –
Ciò che il corpo vuol dire –
io prendo questo segno
e traccio questa immagine:
una donna sull’uscio di casa.
Un fiume nella sua città natale.
La verità di una vita sofferta.
La sua foce.

Gli uccelli marini rientrano dalla costa.
La saggezza popolare vuole che portino pioggia.
Li osservo dall’uscio.
Li vedo come congetture di un’origine –
lasciano una forza aspra all’orizzonte
solo per ritrovarla
che cade obliqua altrove.

Quale acqua –
quella che lasciano o quella che pronunciano –
rievoca l’altra?

Sono convinta
che il corpo di una donna che invecchia
sia un ricordo
e dargli una lingua
è difficile
come piangere e volere
che questi uccelli emettano un grido quasi potessero
riconoscere il loro elemento
rievocato e ridotto a
una singola lacrima.

Una donna che invecchia
non trova rifugio nella lingua.
Trova invece che
singole parole un tempo amate
come “estate” e “giallo”
e “sessuale” e “pronta”
sono all’improvviso diventate dimore
di qualcun’altra –
stanze e tetto sotto i quali un’altra
è benvenuta, non lei. Dimmi,
Anna Liffey,
spirito dell’acqua,
spirito del luogo,
com’è che in questa
piovosa sera d’autunno
il mare d’Irlanda prende
i nomi che tu hai formato, i nomi
che tu hai concesso, e ti restituisce
solo un vuoto di parole?

La pioggia autunnale
si fa sporadica e sgocciola
da tettoie
e siepi potate.
Le gronde sono piene.

Quando arrivai qui
non avevo né
figli né paese.
Gli alberi erano braccia.
Le colline erano sogni.

Ero libera
di immaginare uno spirito
nei blu e nei verdi,
nei colli e nelle nebbie
di una piccola città.

Le mie figlie nacquero.
Il mio paese mi prese.
Una visione in una casa di mattoni.
È soltanto l’amore
che fa un luogo?

Lo sento cambiare.
Le mie figlie
crescono, diventano grandi.
Il mio paese si tiene stretto
alla sua pena.

Spengo
la fastidiosa luce
gialla del portico e
resto nell’ingresso.
Dov’è casa adesso?

Segui la pioggia
verso i colli di Dublino.
Fa’ che diventi il fiume.
Fa’ che lo spirito del luogo sia
ancora una volta un’anima perduta.

Alla fine
non importerà
che io sia stata una donna. Ne sono certa.
Il corpo è una sorgente. Niente più.
C’è il suo momento. C’è una certezza
nel modo in cui cerca la sua dissoluzione.
Pensa ai fiumi.
Sono sempre in viaggio verso
il proprio annullamento. Fin dal primo momento
vanno verso casa. E così
quando la lingua non lo può fare per noi,
non può farci sapere che l’amore non ci diminuirà,
ci sono le frasi
dell’oceano
a consolarci.

Particolari e senza paura del loro compimento.
Alla fine
tutto ciò che mi ha pesato e distinto
si perderà in questo:
sono stata una voce.

Breve bio di Eavan Boland

Nata a Dublino nel 1944, Eavan Boland ha vissuto e studiato in Irlanda, Londra e New York. Ha insegnato a Trinity College, University College e Bowdoin College, Dublino, e all’università di Iowa. Attualmente è Mabury Knapp Professor in the Humanities a Stanford University, California.
Le sue prime raccolte includono The Journey and other poems (1987),e Night Feed (1994), tra le opere successive si citano Outside History (1990), In Time of Violence (1994), Collected Poems (1995), The Lost Land (1998) , Code (2001), Domestic Violence (2007), New Collected Poems (2008).
Una autobiografia e allo stesso tempo il suo manifesto poetico, Object Lessons: the Life of the Woman and the Poet in Our Time (1995), opera in prosa. Tutte le sue opere sono pubblicate da Carcanet , Manchester e Norton & Co, New York.

Breve bio Giorgia Sensi

Giorgia Sensi è traduttrice freelance dall’inglese di fiction, non-fiction e soprattutto poesia. Vive a Ferrara.
Ha tradotto raccolte di Carol Ann Duffy, Jackie Kay, Gillian Clarke, Margaret Atwood, Eavan Boland, Kate Clanchy, Patrick McGuinness, John Barnie, Philip Morre, e altri ancora, e curato diverse antologie.
Fa parte della redazione di «Interno Poesia», blog e casa editrice, per la promozione della poesia.
È collaboratrice del Blog Rai, Poesia di Luigia Sorrentino.
Le sue pubblicazioni più recenti, nel 2018:
La compagnia più bella, (The Bonniest Companie) Kathleen Jamie, Medusa Editore;
Scrutare gli orizzonti, (Sightlines) Kathleen Jamie, narrativa di viaggio, Luciana Tufani Editrice;
una raccolta di poemetti di Natale di Carol Ann Duffy,Un Natale inglese, con Andrea Sirotti, Le Lettere.
Nel 2019:
Déjà-vu, poesie scelte di Patrick McGuinness, IP Editore,
Falco e ombra, (Hawk and Shadow) antologia di poesie e prose di Kathleen Jamie, IP Editore;
La testa di Shakila, poesie e prose di Kate Clanchy, Lietocolle-gialla oro;
8 poesie di Jenny Mitchell per la rivista Versodove, n. 21;
Istantanea di ippopotamo con banane e altre poesie, (Snapshot of Hippo with Bananas and other poems) Philip Morre, IP.

La casa sull’albero, poesie scelte di Kathleen Jamie, Ladolfi Editore, 2016, ha vinto il Premio Marazza 2017 per la traduzione poetica.
Giorgia Sensi ha inoltre ricevuto il ‘Premio Nazionale per la Traduzione’ 2019, conferito da Ministero dei Beni e delle Attività Culturali.

 

 

 

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