Giovanni Ibello, “Dialoghi con Amin”

Giovanni Ibello, Credits ph. Dino Ignani

Prefazione di Luigia Sorrentino

In questi versi ulcerati di Giovanni Ibello c’è un sopravvissuto che invoca la rivoluzione dal margine dell’abbandono. La città sulla quale riversa lo sguardo il poeta non è patria madre per Amin – figura centrale del poemetto – ma nemmeno per l’altro protagonista di questi versi che condivide con il compagno la frustrazione della cancellazione. Il primo frammento del poemetto è già un avvertimento per il lettore: “La poesia è un lunghissimo addio”. La parola di questa poesia rivela fin da subito la cronicità della separazione, addio, miseria, segregazione si annidano in questi frammenti insurrezionali. I versi sorgono quindi da un grido di addio, dalla rinuncia a “fare alta la vita”, contratti come sono nel loro stato di alienazione, fino allo spasimo dell’ultima variante. Una parola potente che tocca la condizione umana tesa sul cavo di un burrone, una parola folgorante che si fa carico di qualcosa che non riguarda solo la capacita versificatoria di Giovanni Ibello. La lingua del poemetto, ha infatti, una prospettiva ampia, che parla di una generazione disposta a morire e a risorgere con Amin, con versi memorabili come questi: “Ci lega la parola feroce, una giostra di penombre./ L’incanto di una teleferica,/ l’esatto perimetro di un grido,/ tu che muori / in quell’assillo di aranceti / che ritorna.” Il cifrario della poesia di Ibello è uno Yucatan, inteso come luogo irraggiungibile e impenetrabile, che però, alla fine, trova nella cancellazione la tenerezza della visione: “Troveremo il dio delle cose lontane, troveremo una foresta di spine nel buio oltremare.” Ecco che la voce del reietto si fa espressione di una mutazione creaturale e lascia intravedere “un rammendo di secondi luce” che lenisce le ustioni provocate dalla violenza dell’esperienza terrena. Versi che rivelano che la speranza nasce dai disperati, dagli abbandonati: saranno loro a trovare “un altrove di spine e diademi.”

Dialoghi con Amin di Giovanni Ibello (premio Poesia Città di Fiumicino 2018, sezione “Opera inedita).

Parte I: Luogo del frammento

I

La poesia è un lunghissimo addio.

II

Cercava la risacca nelle pinete
fiutava l’ombra di un ago sul fondale,
la panacea di un abbandono.
Conta fino a zero, le dissi
salta nell’arco cinerino.
È tutto calmo
qui è davvero tutto calmo,
il sole è una biglia di benzodiazepina.
C’è ancora un intreccio
di gelsomini carbonizzati sulla pietra.
L’estate,
una valanga di aceto sopra i fiori.
Ma in questo valzer di occhi crociati
non dire una parola,
non parlare.
Troveremo un altro modo per fare alta la vita.

III

La mia estasi rimane
lettera morta sul greto.
Brindo al disamore
al cuore profanato nell’acquaio
agli insetti fulminati nell’insegna.
Ci lega la parola feroce,
una giostra di penombre.
L’incanto di una teleferica,
l’esatto perimetro di un grido,
tu che muori
in quell’assillo di aranceti
che ritorna.
Era l’affanno antico,
l’anemone del giorno
divelto sopra i silos.

IV

Un debole fiammato
l’umore dell’alba sulle gru.
Belve cadenti
questo è il solo nostro arsenale:
il daimon dello spreco
stelle allucinate
frammenti di temporale.
Amin, è quasi giorno,
ecco l’ignota rovina.
Oltre la vetrata
flagelli di margherite:
l’amore è la mia tirannia.

V

Amin, è quasi giorno,
è la resa dei fuochi invernali
l’ectoplasma del divenire.
Dio, gheriglio di stella
insegnaci a svanire
poco a poco
insegnaci il dialogo amoroso
tra i picchi delle braci
e l’arpionata notte.
Adesso è tutta luna nuova
mentre ancora
tiri a sorte la vena
dio anatema,
ti sfiori trasognato le palpebre…
Quanti millimetri ci separano dal buio?

VI

La risacca ci insegna il solo rito possibile: lo smisurato addio.

Parte II : Teorema dei roghi

VII

I fiori di tarassaco sulle rotaie
annunciano il disfacimento.
Questo è il cifrario di dio:
una giostra di tagliola e vento.

VIII

Utero incendio

Amin, il volo a trapezio dei cormorani è un alfabeto senza luna. Avrai una stella di cenere
sul fianco, uno stecco di mezzaluce. Una spilla conficcata nel cuore di neve, la tua parola
sarà l’inganno, la Mesopotamia dell’invisibile: uno che batte furiosamente il viola dei polsi
sulla rena. Fermati, fermati primavera.

IX

La parola era il nostro Yucatan.

X

Sonno pulviscolare

Sei smarrito nel cimitero della sete. Amin, sei solo come la sfinge. Devi scornarti
con l’assoluto, con il rinoceronte nero. Troveremo il dio delle cose lontane, troveremo
una foresta di spine nel buio oltremare. Notte di canicola e di antenne. Sei smarrito
nel santuario delle nebbie. In un rammendo di secondi luce ti pieghi sulle ginocchia,
mescoli il sangue e l’acquavite. Dicevi: “Verrà la fine, verrà… la chiromante delle ustioni.”

XI

Verrà la vergine dei falò
verrà la vergine dai seni ulcerati,
un altrove di baci
al kerosene
un altrove di spine e diademi.
Ma noi
dimenticati relitti
ci amiamo nel buio degli hangar
e ripetiamo giaculatorie
dinanzi a un dio demente
che scalcia
nel grembo della cancellazione.

XII

Ultimo grado di giudizio

La vergine si chiama Xanita. Xanita conosce il teorema dei roghi, sa leggere
il crisma del sangue, il sigillo della fiamma sui covoni. Voleva raggiungere il mare,
lo zenit del diluvio. Disse: “Voglio il mare dei cigni arenati.” Poi attese il segnale,
il moncherino di luna… perché ogni cosa si annuncia solo mentre si sfigura.

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Giovanni Ibello (Napoli, 1989) vive e lavora tra Napoli e Lucca come avvocato. Si occupa di privacy e diritto informatico. Nel 2017 pubblica il suo primo libro, Turbative Siderali (Terra d’Ulivi edizioni, con una postfazione di Francesco Tomada). Nello stesso anno l’opera vince il “Premio internazionale di letteratura Città di Como” come Opera Prima, risulta finalista al “Premio Ponte di Legno Poesia”, al “Premio Poesia Città di Fiumicino” (come Opera Prima) e al “Premio Camaiore Proposta – Vittorio Grotti”. Il lavoro è stato recensito su diverse riviste letterarie e lit-blog italiani. I suoi versi sono stati tradotti in sei lingue tra riviste, blog e volumi antologici di poeti italiani all’estero.

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Giovanni Ibello, con “I dialoghi con Amin”, ha vinto il Premio Poesia Città di Fiumicino 2018 per la sezione “Opera inedita”. Il premio consiste nella pubblicazione delle poesie in una plaquette, per le Edizioni Corte Micina,  con la Prefazione di Luigia Sorrentino.

Vincitori delle passate edizioni del Premio Poesia Città di Fiumicino per la sezione “Opera inedita”:

  • Francesco Guazzo, “13”, (2016)
  • Lorenzo Babini, “La camera di Arnaut”, (2017)
  • Giovanni Ibello, “Dialoghi con Amin”, (2018)
  • Alessandro Santese, “Dimenticate”, (2019)

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