Giancarlo Pontiggia, la purezza della poesia

PREFAZIONE DI MAURIZIO CUCCHI

Giancarlo Pontiggia, dopo l’eccellente esito di un libro come Il moto delle
cose
, ci regala ora un testo in doppia direzione, nel quale è bello lasciarsi
andare, immergersi coinvolti, in piena adesione empatica con il soggetto, prima
narrante e poi lirico. Il camion e la notte è un poemetto che si articola su
un’idea senza tempo di possibile avventura, che parte da un semplice cortile,
dalla povertà estrema dei mezzi di chi vi si rannicchia nella sua innocenza
inerme. Ma di umana, quotidiana avventura semplice si tratta, il che non è
un ossimoro, ma il concreto realizzarsi di un rapporto diretto e insieme onirico
col reale. E in sogno il protagonista entra, stupito, compiendo un suo viaggio,
attratto dalle varie presenze del mondo e dalla gioia inquieta d’esserci e
d’esserne in qualche modo parte. Pur nel buio, nella notte che si insinua
ovunque insieme alla meraviglia, viaggiando «nell’inerzia delle cose»,
Pontiggia riesce a cogliere e a esprimere, in questo percorso, il senso di una vita
in un irriducibile «fiotto di sensi», tra opacità e improvviso accendersi di lumi.
Ma riesce poi a sorprenderci con una seconda sezione, Animula, che sembra
porsi come l’apparente contrario sul piano del registro e della forma, rispetto
al poemetto d’apertura, trattandosi di una sottile meditazione lirica sull’esserci,
tra immobilità e mutamento, che agisce e si compone la trama aperta del testo
in un classico, luziano, “travaglio di pensieri”. E nella duplicità, pur molto
coerente, della proposta, è un carattere essenziale e un evidente pregio di Voci,
fiamme, salti nel buio.

ESTRATTI DA “Il camion e la notte” di Giancarlo Pontiggia, a cura di Maurizio Cucchi, I Quaderni de La Collana Stampa (2019)

Al tempo dei tempi, quando
il miele colava dalle cortecce degli alberi,
e i camion correvano liberi per le strade del mondo,
prima ancora
che avessi coscienza della mia felicità,

me ne stavo tutto solo, al riparo dal vento,
in un vecchio cortile lastricato di beole grige,
entrava

così poco il sole, in quel cortile, che a volte
rabbrividivo dal freddo

*

E quando
pioveva a dirotto, me ne stavo lì,
in quel cortile di beole e di fango,
coperto con un gran telo, a sentire
l’acqua che franava giù dal cielo,
la sentivo
picchiettare, urtare, a gran folate,
fiondava

la notte, improvvisa,
con il suo mantello di nuvole scure, io
avrei voluto guardare in su, tirar fuori
gli occhi dal gran telo che mi copriva,
sentivo

tutto quel buio che mi correva intorno,
e i rivoli dell’acqua che scorrevano nei tombini,
e lo sgrondare di un platano altissimo,
che sormontava il mio corpo. E a sentirlo,
mentre frusciava e si raggricciava,
come se volesse rintanarsi in se stesso,
nascondersi nei cunicoli delle sue radici,
mi pareva di esser fortunato, con quel gran telo
che mi proteggeva dalle intemperie,
nel quale finivo a poco a poco per raggomitolarmi,
dormire. Sognavo

*

Sognavo che un giorno
sarei salito sul ponte di una nave,
e mi sarei specchiato nell’acqua, gonfia,
del mare

com’era gonfio il mare, come spumava
contro le murate della nave, io
raccoglievo gli spruzzi del suo rigoglio,
piangevo di gioia
nel lasciarmi invadere da quelle gocce,
era sempre sole in quel sogno, aspiravo
le gocce che il vento mi sbatteva addosso,
s’intrudeva
nelle feritoie del mio corpo,
ero così leggero, aereo,
in quel sogno, mi pareva
di volare su, in alto, in alto
sopra la nave stessa, di precederla, anzi,
come un delfino dei cieli,
poi

*

Mi risvegliavo, era l’alba, lo sentivo dalle chiazze
rosa che si spalmavano sulle beole del cortile, il cielo
aveva smesso di spiovere, qualcuno
tirava via il mio telo grondante
di acqua, mi stropicciavo
dal peso della notte
come un uccello che si appresta a volare, e si gonfia
di tutte le sue piume, beve
l’aria che lo impregna.

E partimmo

Giancarlo Pontiggia (Seregno 1952) ha pubblicato le raccolte poetiche Con parole remote (Guanda 1998, Premio Montale) e Bosco del tempo (Guanda 2005), poi riedite nel volume complessivo Origini (Interlinea 2015). Per il teatro ha scritto Stazioni (Magenta 2010) e Ades. Tetralogia del sottosuolo (Neos 2017). Saggi di poetica e riflessioni sulla letteratura si trovano raccolti nei volumi Contro il Romanticismo (Medusa 2002), Lo stadio di Nemea (Moretti&Vitali 2013) e Undici dialoghi sulla poesia (La Vita Felice 2014), Il moto delle cose (Mondadori, 2017).

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