Jenny Mitchell, quattro poesie per le donne che furono rese schiave nei Caraibi

Jenny Mitchell

Bending Down to Worship

Church Mary said her God was in the ground,
not Satan but the things that grew, and flowers
were the gems upon His crown.
She made a garden all around her house –
a broken shack she called a palace
where she reigned.

You couldn’t step beyond her door unless
you brought her a bouquet, or something
green and pulsing full of life. She filled
each bowl and glass she found with blooms
she called her jewels, though they were better
as they gave a lovely scent.

She tended to her tiny Eden till the flowers
reached above her head – the colours bold
against dark skin, so filled with shining light.
Her headwraps were like floral wreaths,
and every dress was made of faded flowers,
the age-old shoes like clumps of mud.

The days when she was forced to work out in the
fields she feared the sun might scorch her garden.
She left the cane the moment that the whistle blew
and went to fetch pure water from the stream.
Her flowers had to live as they
were all the freedom that she knew.

On nights when she was grieving she went
outside to kneel amongst the plants
and bend her head to talk to God.
He answered back by showing her another
rock or stone she had to move, revealing yet
more ground on which to grow more buds.

One Sunday as the white priest tried to make her
go to church, she offered him her shining patch
of land with one sweep of her arm. She said:
‘I never saw your Jesus but when I die
I’ll end up in the ground to feed the things I love
to grow, and that is all the heaven I will need.’

He damned her as a Godless slave; but when he left,
she heard the voice of God again. He spoke to her
of flowers as she bent to ornament His crown.

China a pregare

Church Mary diceva che il suo Dio era nella terra,
non Satana ma le cose che crescono, e i fiori
erano le gemme della Sua corona.
Fece un giardino tutt’intorno a casa –
una baracca sbilenca che chiamava palazzo
dove lei regnava.

Non potevi oltrepassare la soglia se
non le portavi un bouquet, o qualcosa
di verde, e pulsante di vita. Riempiva
ogni ciotola e bicchiere di fiori,
i suoi gioielli, diceva, e perfino migliori
perché avevano un buon profumo.

Curava il suo minuscolo Eden finché i fiori
non la superavano in altezza – colori sgargianti
contro la pelle scura, che splendeva di luce.
Le sue acconciature erano come corone floreali,
ogni abito fatto di fiori sbiaditi,
le scarpe decrepite come blocchi di fango.

I giorni in cui era costretta a lavorare nei campi
temeva che il sole le bruciasse il giardino.
Al primo fischio lasciava la piantagione di canna
e andava al ruscello a prendere acqua fresca.
I suoi fiori dovevano vivere perché
erano tutta la libertà che lei conosceva.

Le sere in cui era triste usciva
a inginocchiarsi tra le piante
e chinava la testa per parlare a Dio.
Lui le rispondeva indicandole un’altra
roccia o un sasso da rimuovere, scoprendo
ancor più terra per coltivar germogli.

Una domenica, quando il prete bianco cercò
di farla andare in chiesa, con un ampio gesto del braccio
lei gli mostrò il suo radioso orticello, e disse:
“Il suo Gesù io non l’ho mai visto ma quando muoio
finirò nella terra a nutrire le cose che amo
coltivare, e quello è tutto il paradiso che mi serve”.

Schiava miscredente, la maledisse lui; ma quando
se ne andò lei udì di nuovo la voce di Dio. Le parlava
di fiori mentre lei si chinava a ornare la Sua corona.

Dark Sisterhood

Pressed beneath the dirt so long,
her body turned to glass – clear, shapely
as the burial ground was murky, flat.

We only found her there because a beam of light
appeared last week – a headstone
shining through the barren soil.

We dug to find the source of that strange radiance,
hit upon her luminescent feet,
pointing gently to the sky.

We set aside our implements, used gloved hands,
soft fingertips, to brush away the grime,
reveal the intact form.

The skin was smooth until the sun struck
at a certain slant, showed a trace
of man-made scars on every limb.

The organs should have caused disgust,
visible from brain to sex. But they were packed
so neatly: red-veined jewels.

I knelt to stare into her face – the features scratched,
so imprecise. The eyes appeared to move
though they were deep, dim holes.

The teeth, grey shards – a few knocked out –
began to part. She spoke, so crystal-clear
but in a long-lost tongue.

No one believed me then,
but now the elders weep to hear her voice.
They beg for absolution, pray for light.

Sorellanza nera

Compresso sotto terra tanto a lungo,
il suo corpo diventò vetro – tanto limpido, armonioso
quanto il luogo di sepoltura era torbido, informe.

La trovammo là solo perché un raggio di luce
ci apparve la scorsa settimana – una lapide
brillava dal suolo desolato.

Scavammo per trovare l’origine di quel fulgore strano,
colpimmo i suoi piedi luminosi,
graziosamente rivolti verso il cielo.

Riponemmo gli arnesi per usare mani guantate,
dita cortesi – a spazzare via il terriccio,
rivelare la forma intatta.

La pelle era liscia, finché un raggio
di sole obliquo non mostrò segni
di cicatrici inflitte su ogni arto.

Gli organi, visibili dal cervello al sesso,
potevano provocar disgusto. Ma erano
così ben disposti: gioielli venati di rosso.

Mi inginocchiai a fissarle il viso – i lineamenti
graffiati, indistinti. Gli occhi parevano mobili
benché fossero cavità scure, profonde.

I denti, scheggie grigie – alcuni mancanti –
presero a separarsi. Parlò, in modo cristallino
ma in una lingua da tempo perduta.

Nessuno mi credette allora,
ma a quella voce gli anziani ora piangono.
Chiedono perdono, implorano luce.

Song for a Former Slave

Her dress is made of music
humming through the hem,
high notes in the seams.

A rousing hymn
adorns the bodice
with sheer lace.

The heart is stitched with loud amens,
the back a curving shape
of hallelujahs.

She’s proud enough to hold
her own applause
tucked in a pleated waist.

The skirt sways freely
when she walks
to show there are no chains.

Her dress is made of music.

Canzone per una ex-schiava

Ha un abito fatto di musica
modulata lungo l’orlo,
le note alte nelle cuciture.

Un inno esaltante
adorna il corpetto
di puro pizzo.

Il cuore è cucito con amen altisonanti,
il dorso una linea curva
di alleluia.

È fiera a sufficienza per tenere
il proprio applauso
infilato in una piega della vita.

La gonna oscilla libera
quando lei cammina
a mostrare l’assenza di catene.

Ha un abito fatto di musica.

The Seamstress
for my grandmother

I’ll be the dress she never owned –
immaculate for special days,
the only burden heavy frills,
and English lace along the hem.

I’ll never trail in dirt
or suffer dust from cane fields.

My heart will burst to make a bodice
stitched with bold Jamaican flowers:
yellow orchids, red hibiscus.

There will be a giant fern appliqued on the back:
my ribcage opened to its full extent.

I’ll raise my chin to make the high, firm collar –
a throat so elegant, with space to hold my voice.

I’ll ask her what she really wants –
plain cuffs or golden buttons.

Underneath the dress,
I’ll make myself silk underwear;
a soft and pretty petticoat.
Its one equivalent will be her newly-coddled skin.

My feet will make such dainty shoes,
and she will go like Cinderella to the ball.
But if she doesn’t want the prince this time
she’ll dance away without a care.

The English lace will shimmer as she moves.

La sarta
per mia nonna

Sarò io il vestito che non ha mai avuto –
immacolato per giorni speciali,
ornato solo di pesanti balze,
e di pizzo inglese lungo l’orlo.

Non lo trascinerò mai per terra,
non lo coprirò di polvere nei campi di canna.

Il cuore mi scoppierà per fare un corpetto
cucito con superbi fiori giamaicani:
orchidee gialle, ibisco rossi.

Applicata alla schiena una felce gigante:
la mia cassa toracica sarà spalancata.

Alzerò il mento per formare il colletto alto, rigido –
una gola elegante, che dia spazio alla mia voce.

Le chiederò quel che preferisce –
semplici polsini o bottoni dorati.

Sotto il vestito,
io sarò biancheria di seta;
una sottoveste leggera, graziosa.
Al pari della sua pelle or ora carezzata.

I miei piedi saranno leggiadre scarpine,
e come Cenerentola si recherà al ballo.
Ma se non vuole il principe stavolta
ballerà e ballerà senza un pensiero.

Il pizzo inglese brillerà mentre lei si muove.

Nota

‘Bending Down to Worship’ è pubblicata su Versodove, rivista di letteratura, n.21, 2019 con traduzione di Giorgia Sensi

Le tre poesie ‘Dark Sisterhood’, ‘Song for a Former Slave’, ‘The Seamstress’ sono tratte da Jenny Mitchell, Her Lost Language, Indigo Dreams Publishing, 2019

Le traduzioni di Giorgia Sensi sono inedite in Italia

Jenny Mitchell

è nata a Londra da famiglia di origini giamaicane.
La sua prima raccolta Her Lost Language, pubblicata da Indigo Dreams Publishing nel 2019, ha vinto, ex-aequo, il Geoff Steven’s Memorial Poetry Prize.

Le sue poesie sono apparse in diverse antologie, sia cartacee sia online. Una sua poesia e un suo radio play sono stati trasmessi da BBC Television e Radio4.

Partecipa regolarmente a festival ed eventi di poesia a Londra e nel resto del Regno Unito; nel 2019 è stata ospite del festival pordenonelegge.

Otto delle sue poesie sono state pubblicate con traduzione di Giorgia Sensi a fronte nella rivista letteraria Versodove, N° 21, 2019.

Nel 2020 sue nuove poesie usciranno in diverse pubblicazioni nel Regno Unito e sarà ospite del Cheltenham Poetry Festival.

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Giorgia Sensi

E’ traduttrice free lance. Ha tradotto fiction, non-fiction e soprattutto poesia. Tra i poeti da lei tradotti si segnalano in particolare: Carol Ann Duffy, Kate Clanchy, Jackie Kay, Vicki Feaver, Eavan Boland, Liz Lochhead, Margaret Atwood, Patrick McGuinness, John Barnie, Gillian Clarke. La raccolta da lei curata e tradotta, La casa sull’albero, Kathleen Jamie, Ladolfi Editore, 2016, ha vinto il Premio Marazza 2017 per la traduzione poetica. Sue pubblicazioni nel 2018:
La compagnia più bella, Kathleen Jamie, Medusa Editore; Scrutare gli orizzonti, Kathleen Jamie, narrativa di viaggio, Luciana Tufani Editrice; una raccolta di poemetti di Natale di Carol Ann Duffy,Un Natale inglese, con Andrea Sirotti, Le Lettere.
Sue pubblicazioni nel 2019: Déjà-vu, poesie scelte di Patrick McGuinness, IP Editore, Falco e ombra, antologia di poesie e prose di Kathleen Jamie, IP Editore; La testa di Shakila, poesie e prose di Kate Clanchy, Lietocolle-gialla oro; 8 poesie di Jenny Mitchell per la rivista Versodove, n. 21;
Istantanea di ippopotamo con banane e altre poesie, Philip Morre, IP.

Giorgia Sensi ha vinto il ‘Premio nazionale di traduzione’ 2020 conferito dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali.

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