ESTRATTO DALLA PREFAZIONE DI MARCO SANTAGATA
Lette in successione, le cinque sillogi raccolte in questo libro mostrano una impressionante maturazione: in quel bruciare i tempi viene progressivamente incenerito ciò, che, pur essendo significativo, non è essenziale. Emerge con nettezza un percorso che dalla sincerità approda alla verità, percorso non a caso speculare, e quindi in apparente contraddizione, a quello che dalla focalizzazione linguistico-espressiva approda alla apparente facilità comunicativa.
Non è una conquista di autenticità, è l’effetto di un fenomeno più profondo, che quasi con violenza ha imposto al soggetto di rivedere le proprie gerarchie di valore e, nello stesso tempo, lo ha costretto a denudarsi. Questo qualcosa è la malattia.
Da qui parte la seconda stagione poetica di Elena Salibra, caratterizzata da un impietoso cadere di veli, di schermi e di alibi. Il nucleo è la rinuncia, forse più imposta che voluta, alla pretestuosa distinzione fra l’io lirico e l’io biografico, dunque al pudore e alla vergogna.
Chi è consapevole di non avere un futuro, non trova più consolazione nel passato: nutre la sola imperiosa esigenza di comunicare questo suo presente, questa sua condizione, l’unica che riesce a concepire. Lo schermo dell’io letterario cade. La voce di Elena si accampa sola. Sola e straordinariamente limpida, ferma, consapevole, ferocemente sincera, e spudorata.
Da “NORDICHE” (2014)
LEGGENDO STEVENS
calpestavamo la gramigna estiva
dietro la casa mentre esplodevano
nuovi germogli oltre la barriera d’alloro.
il sole era alto già quando la piccola
elena di anni due s’accostò alla panchina
per chiedermi cos’era quel tondo di fuoco
in mezzo al cielo. risposi che serviva
per riscaldare la terra ma lei
non era convinta e m’incalzò
con nuove domande. poi d’un tratto
si mise a inseguire la flottiglia
di colorati velieri dentro la vasca
colma col suo sguardo di seta liscio
come una marina di luglio
NADIR
volevi farmi volare fino al nadir
dei tuoi pensieri con i grafemi
d’enzimi in sequenze di quattro
pezzettini entro le cellule strane
tentando di ritrovarmi
calda ancora di te. ti lascerò
il ricordo d’una sofferenza…
UNA VITA NORMALE
e sempre una domanda mi rimaneva
su come si trasforma l’ossigeno
gassoso in liquido da iniettare
nelle vene. era una scappatoia
senza fondamento – dicevi – giusto
per far tacere le mie paranoie.
buongiorno signora h
povera crista tra liquidi umori
prelievi arteriosi. la storia
sta qui nella cartella cangiante.
fissavo una lama di luce
nel cielo laggiù riprendendo
a battibeccare con te che rischi
la santità – non ne vale la pena –
sappiti guardare da una vita normale
LA CONDANNA
in fila indiana dietro la porta
di radiologia giocavamo a dividerci
l’aria insieme ai dottori respirando
un tempo da riprogrammare ogni giorno.
nessuno parlava. ti avevo incontrato
dove non ero mai stata nell’angolo
a sinistra del corridoio b
– percorso visitatori –
diceva il cartello. c’eri anche tu
– ne ero sicura – nell’ora
spenta. oltre la finestra tra un asfalto
bruno a strapiombo e dei monti in alto
non vedevo orizzonte
(Elena Salibra. Dalla parte dei vivi. Manni Editore. San Cesario di Lecce. 2019)
—
Elena Salibra, nata a Siracusa, ha insegnato Letteratura italiana contemporanea all’Università di Pisa. Studiosa della tradizione poetica italiana tra Otto e Novecento cui ha dedicato saggi e edizioni, è autrice delle raccolte Vers.es (2004, nella Cinquina del Premio Viareggio), Sulla via di Genoard (2007, finalista al Mondello), Il martirio di Ortigia (2010, finalista al Viareggio) e La svista (2011, Premio Contini-Bonacossi 2011). Molti suoi testi sono stati tradotti e pubblicati in tedesco, danese, francese, serbo, romeno, inglese, olandese e sono apparsi in antologie di poesia italiana e straniera contemporanea. Con la raccolta di poesie “Nordiche” Elena Salibra partecipa alla finale del Premio Viareggio Répaci 2014.