La percezione tragica dell’umanità

Nel centenario della storica antologia degli Espressionisti, Crepuscolo dell’umanità, vi proponiamo come primo contributo, la nota introduttiva di Alessandro Bellasio che ci immerge, in modo rapido e scorrevole, in una  panoramica del senso e dell’attualità di quella esperienza estetica (ma anche esistenziale) e dei poeti che le diedero voce e più spesso la vita stessa.

CENTO ANNI DI CREPUSCOLO

NOTA DI ALESSANDRO BELLASIO

1919. Fra le macerie di un’Europa appena uscita dalla Grande Guerra, il giornalista e scrittore Kurt Pinthus dà alle stampe presso la propria, semisconosciuta casa editrice una raccolta di liriche dall’eloquente titolo Menschheitsdämmerung. Crepuscolo dell’umanità.
Si tratta della prima, unica antologia organica delle molte voci che diedero vita e parola a un periodo tragico, ma incredibilmente fecondo, per le lettere germaniche, quello dell’Espressionismo.
Tre dei maggiori poeti pubblicati nell’antologia sono infatti, nel 1919, già morti, giovanissimi – Georg Trakl (27 anni), Georg Heym (24), Ernst Stadler (31) – altri dispersi o in esilio (Else Lasker-Schüler), mentre alcuni, emigrati in una doppia vita interiore, avrebbero portato alle estreme conseguenze quella avventura esistenziale ed estetica, tentandone un superamento e una sintesi (Gottfried Benn).

L’Espressionismo – paradossalmente, tragicamente – nasce nell’istante stesso in cui muore.
Ma da quell’esperienza bruciante si irradia, per tutto il secolo, una forza segreta che informa di sé nei modi più svariati (per discendenza, ibridazione, contrasto) il novecento non solo letterario, ma anche artistico, teatrale, musicale: dada (e quindi in certa misura surrealismo), Neue Sachlichkeit, musica atonale e dodecafonica, astrattismo, per citare i casi più noti, ma basta pensare a quanto sia conseguente il passaggio che unisce la costellazione del migliore espressionismo – Urschrei; privilegio accordato alla realtà interiore; estremo sforzo di sintesi gestuale e formale – con i maggiori risultati di artisti cronologicamente più vicini a noi: Francis Bacon, Jackson Pollock, Franz Kline, fino a un Alberto Burri, per limitarsi a qualche esempio sparso. Quasi che l’espressionismo recasse in sé dei semi, delle linfe segrete e vitali, chiamate a nutrire a lungo i cervelli e le menti europee – e non solo – a patto però che quei semi e quelle linfe venissero prima sacrificati sull’altare della storia, non importa se personale o collettiva.

A cento anni esatti da quella prima, storica edizione di Menschheitsdämmerung, proponiamo una scelta degli autori che più profondamente hanno inciso il loro nome sul vertice artistico della parabola espressionista, assurgendo al rango di veri classici. Una parabola, quella dell’espressionismo, il cui tragitto si compie– come ebbe modo di osservare ex post lo stesso Gottfried Benn – «tra mondo storico e mondo nichilistico» e che, dunque, ci riguarda da vicino: perché se del mondo storico non conserviamo più molto altro che lo stanco sbadiglio della compilazione storiografica, del secondo invece, quello nichilistico, non possiamo in alcun modo già considerarci i superstiti.

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