Fabrizio Bernini, “Il comune salario”

Fabrizio Bernini

ESTRATTI 

Luca, 22 anni, disoccupato, vive in periferia. magro, barba arricciata, zigomi forti, porta sempre scarpe da ginnastica.

Sono proprio davanti. C’è quasi un conato
nell’aria, un coro che ingombra il silenzio.
E i fischietti, gli striscioni, le bandiere diafane
che si incerano nei denti. Sento gridare.
Un compagno mi parla dei figli e di una moglie
senza pace. Vorrei ascoltarlo. Ma ho ancora
la notte nelle tasche, tutto il resto nel resto
della birra.
Mi incastro più dietro, dove un volto a metà
tira sassi a un’insegna.

***

Anche oggi affondo in una casa limata
nel midollo. Il gioco sembra muto.
Il mio amico sbuffa
e si butta sopra il letto. Suo padre si ferma sulla porta.
Poi mi guarda. E’ un occhio soffocato, cariato
nella posa. Sembra un pesce con le mani.

***

Non è un verbo. Eppure ti resta incastrato
sul labbro. Ti ascolto ripescare un cuore estinto,
scantonato. Allora mi sfibbio oltre la ringhiera
della tua croce e penso che sono anni quelli
che rincagnano sul mio, di cuore.
Poi resto lì. Il tuo sorriso sull’hamburger.
Forse, sguscio in verticale. Forse anche il tempo
ha qualcosa di sghembo
infilato tra i denti e non vuole assaggiarlo.
In fondo, quello che mi scaccia
è la scaltrezza di un dolore. E non paura.

***

Entro in fretta. Sullo schermo esplodono
piazze monumenti, colori epilettici.
La pubblicità è già un viaggio o meglio
l’immagine incalcinata sul pensiero.
Londra, Amsterdam, Barcellona…
Purché sia lontano, lontanissimo
da questo immoto cimitero
senza ali.

***

Tutto appare nell’apparenza senza apparire mai.
Non solo i circuiti, connetto anche
il tempo, la sua indisponenza
attraverso le mie dita.
Affogo, sempre più composto e ordinato.
Ultimo e in silenzio.

DAL RISVOLTO DI COPERTINA

Un’opera di profonda umanità naturale, questa di Fabrizio Bernini, che parte da forme di potente realismo, di attenzione febbrile alla realtà contemporanea, per andare oltre, sorretta e spinta verticalmente da una tensione morale sempre attiva.

Il comune salario si articola in quattro nitidissime parti. Le prime tre impostate su altrettanti personaggi d’invenzione, ancorati a un presente ben riconoscibile. Tre giovani, di condizione sociale diversa, ma in fondo omologati dall’appartenenza a un unico ambiente umano e storico: il figlio del padrone, il disoccupato, l’ambiguo studente attivo nel sociale. La quarta parte è invece una riflessione lirica per frammenti, condotta sull’esterno rispetto ai tre personaggi, con punte di una intensità commossa, come in questi indimenticabili versi: «Anch’io che ti seguo negli anni e nel modo / anch’io ti racconto la strada. / Ci ha toccato il comune salario, / questa comune famiglia / di dolore e bellezza / nel conto semplice e quotidiano / della nostra dolcissima storia». Questi versi ancora di più ci avvicinano al cuore vivo del libro, dove incontriamo la normale quotidianità condotta fino all’orrore. Dove l’individuo anonimo va nel mondo, nella comune battaglia del mondo, magari provvisto di una giusta «pietà per ogni cosa», una umana pietà che pure «non trasforma niente».

Il valore della poesia di Bernini, che raggiunge qui un suo importante apice, è nella capacità di leggere il mondo con emozione e disinganno, con soprassalti di umore e generosa adesione critica, e di renderci l’insieme di queste sue varie e variabili sensazioni nell’esattezza di una lingua e di uno stile sempre in impeccabile equilibrio.
(Maurizio Cucchi)

Fabrizio Bernini, nato a Broni (Pavia) nel 1974, ha pubblicato La stessa razza (LietoColle 2003, premio Orta Opera Prima e premio Giuseppe Piccoli Opera Prima). Nel 2005 è stato tra i vincitori del Cetonaverde Poesia e per L’apprendimento elementare (Mondadori 2011) ha ricevuto il Fogazzaro. Ha tradotto versi di Pietro da Barsegapè in Visioni dell’aldilà prima di Dante (Mondadori 2017).

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