“A word for each of us”
Inaugurazione martedì 17 aprile alle 18:30
17 aprile – 25 maggio 2018
mostra collettiva
Dragoş Bădiţă | Răzvan Botiş | Tincuta Marin
Martedì 17 aprile la galleria Richter Fine Art ospita tre giovani talenti dell’arte pittorica transilvana: Dragoş Bădiţă, Răzvan Botiş e Tincuta Marin, nella seconda collettiva di questa stagione “A word for each of us”.
In linea con la ricerca che la galleria Richter Fine Art porta avanti attorno al linguaggio della pittura gli artisti romeni della Şcoala de la Cluj mostrano il loro approccio alla pittura contemporanea: fresco, unico, le cui opere riflettono non solo la società odierna, ma un modo singolare di costruire un discorso sulla pittura.
Tutti e tre gli artisti romeni si sono formati nell’Universitatea de Artă și Design din Cluj-Napoca (UAD), che negli ultimi vent’anni è diventata un punto di riferimento internazionale per l’arte contemporanea, soprattutto per la pittura, artisti di livello internazionale come Victor Man (1974), Radu Comșa (1975), Adrian Ghenie (1977), Mircea Cantor (1977), Ciprian Mureşan (1977), Șerban Savu (1978) e Ioana Nemeş (1979) si sono formati nella stessa Accademia.
Come afferma Antonello Tolve nel testo che accompagna la mostra: «Con esperienze di gusto assai diverse, animate tuttavia da uno stesso background il volto di Cluj-Napoca – una vera miniera di pittori di qualità – è fatto oggi di nuove leve dell’arte, di occhi vigili che guardano, che metabolizzano e, între tradiţii şi inovaţii (tra tradizioni e innovazioni), reinventano, arricchendo le immagini di contenuti sempre più aperti. Munita di grande determinazione e tecnica la generazione dei nati tra la seconda metà degli anni Ottanta e la prima metà degli anni Novanta, presenta infatti un termometro la cui gradazione immaginifica assorbe al suo interno esperienze nazionali e estere, ricerca e di riflessone sulla pittura, luoghi della memoria collettiva e della storia sociale, spazi fisici e metafisici risucchiati spesso nella regione aperta dell’остранение (Šklovskij), di un processo narrativo in cui la realtà viene ribaltata da un punto di vista inconsueto».
Dragoș Bădiță, Răzvan Botiş e Tincuța Marin, il triunvirato radunato in questa mostra che Tommaso Richter dedica alle freschezze della Şcoala de la Cluj, sono campioni che delineano appieno lo scenario plurale di un paese dove la partecipazione collettiva avverte l’importanza della singolarità e dove il manuale e il mentale si intrecciano indissolubilmente per creare piacevoli e accattivanti stordimenti visivi.
Le opere di Dragoş Bădiţă (Horezu, 1987) riflettono sulla natura momentanea dell’esperienza e su come si collega a una più ampia comprensione della realtà, che porta in primo piano il rapporto con la natura, con il corpo, con le persone, con la natura fluttuante del sé, l’inevitabilità della decadenza e della dissoluzione, i limiti della comprensione dei mondi interiori degli altri.
Răzvan Botiş (Brașov, 1984) propone uno spaccato riflessivo senza laccature che ricuce al suo interno strati d’animo differenti: dalla cupezza del capitalismo e della corruzione planetaria all’alienazione dell’uomo contemporaneo, dalla perdita della certezza alla vetrinizzazione sociale, dalle periferie ai residui di una libertà condizionata dal potere.
Infine le opere di Tincuta Marin (Galați, 1995) presentano e incorporano elementi presi dalla street art e dall’espressionismo astratto. L’artista manipola frammenti della realtà, li destruttura e li ricompone per creare combinazioni magiche e dinamiche, completando i collage attraverso le basi del gesto pittorico, della linea, del punto e della forma.
Le sue opere sono piene di magia e immagini oniriche dalla forma alla composizione, alla metamorfosi dei filtri percettivi, ai personaggi deformati, con strani volti atipici.
Dragoş Bădiţă (Horezu, 1987) vive e lavora a Cluj, in Romania.
Dragos si è laureato presso Universitatea de Artă și Design din Cluj-Napoca (UAD) e ha esposto a Bucarest, Cluj, Londra, Copenaghen, Atene, Gand, Maiorca e Berlino.
Răzvan Botiş (Brașov, 1984) vive e lavora a Cluj. Si è laureato Universitatea de Artă și Design din Cluj-Napoca (UAD) e ha partecipato a mostre personali e collettive a Berlino, Mosca, Chicago, Venezia, Vienna, Bucarest, Timişoara e Cluj. Nel 2017 il suo lavoro è stato esposto ad Art Encounters, la biennale d’arte di Timişoara.
Tincuta Marin (Galați, 1995) vive e lavora a Cluj, in Romania.
Si è laureata presso l’Universitatea de Artă și Design din Cluj-Napoca (UAD)
Nella muta volta del cielo
di Antonello Tolve
Vadär det som skett under molntäcket?
Jesper Svenbro
L’atmosfera che si respira a Cluj-Napoca da qualche decennio a questa parte, e precisamente da quando si è instaurato un sistema democratico, mostra tutta l’allegria di una nuova forza produttiva che ha trasformato la soffocante ideologia in analogia al fantastico, in libera apertura al sogno, alla visione, all’immaginazione. Illuminata da una primavera intellettuale, dal desiderio di riprendere in mano la storia e la memoria con la consapevolezza di leggere tra le linee della tradizione le condizioni necessarie a edificare la piattaforma del presente, la culla creativa di Cluj e della sua scuola pittorica delinea un itinerario che fa i conti con il circuito internazionale dell’arte, ma con una cintura di sicurezza stabile perché la realtà locale è un mondo ben protetto (lontano dalle spicciole regole del mercato), un luogo che trattiene la purezza dello sguardo sulle cose, che incanta il viaggiatore, che ha la capacità di far scorgere la leggerezza dell’istante infinito.
Dopo la riorganizzazione scolastica che ha convertito nel 2001 l’Institut de Artă Ion Andreescu nella più accattivante UAD – Universitatea de Artă și Design Cluj-Napoca, la vita artistica e il dibattito culturale della città si sono animate: e non solo grazie a una offerta educativa che ha consolidato il territorio sotto il segno dell’arte, ma anche perché il contributo cruciale è stato quello di aprire le porte a un «liberalismlu comportamental, intelectual şi moral» che ha assunto tutto un potenziale di idee e di energie ponendo luce sulla possibilità incondizionata di sviluppo, di ampliamento, di crescita.
Accanto alle generazioni di artisti nati nella prima metà del Novecento che si sono impegnati a edificare l’odierno giardino culturale, i nomi più recenti – Victor Man (1974), Radu Comșa (1975), Adrian Ghenie (1977), Mircea Cantor (1977), Ciprian Mureşan (1977), Șerban Savu (1978) e Ioana Nemeş (1979) – hanno aperto una breccia verso l’esterno portando all’attenzione generale il fenomeno della Şcoala de la Cluj il cui vocabolario linguistico si nutre del fascino che offre l’antropogeografia atavica di una terra (come non pensare al lato gotico e misterioso delle case con gli occhi che guardano a Sibiu o al cimitirul vesel di Săpânța, nel distretto di Maramureș), la Romania, che è crogiolo di culture, teatro di conservazione del passato, territorio intatto che ricorda e mostra il suo lato estremamente primitivo (Cioran), luogo silvano, umbratile, arcano, ospitale.
Se oggi nell’ambito del Departamentului Pictură (ubicato nel Parcul Central) è possibile guardare ragazzi che osano, che rischiano, che si mettono in gioco, che si osservano e osservandosi crescono insieme e attuano una loro propria selezione naturale, nel panorama cittadino troviamo ambienti di aggregazione e trampolini di lancio come la Galeria Sabot, la recente Blue Air o la Fabrica de Pensule, un centro culturale indipendente dove ci sono studi d’artista e importanti luoghi espositivi (la Plan B Gallery e lo spazio Pilot), che vivacizzano fortemente la sfera culturale del territorio.
Con esperienze di gusto assai diverse, animate tuttavia da uno stesso background che possiamo cogliere rileggendo anche le immagini che sfilano in importanti musei nazionali, il volto di Cluj-Napoca – una vera miniera di pittori di qualità – è fatto oggi di nuove leve dell’arte, di occhi vigili che guardano, che metabolizzano e, între tradiţii şi inovaţii (tra tradizioni e innovazioni), reinventano, arricchendo le immagini di contenuti sempre più aperti. Munita di grande determinazione e tecnica la generazione dei nati tra la seconda metà degli anni Ottanta e la prima metà degli anni Novanta, presenta infatti un termometro la cui gradazione immaginifica assorbe al suo interno esperienze nazionali e estere, ricerca e di riflessone sulla pittura, luoghi della memoria collettiva e della storia sociale, spazi fisici e metafisici risucchiati spesso nella regione aperta dell’остранение (Šklovskij), di un processo narrativo in cui la realtà viene ribaltata da un punto di vista inconsueto.
Dragoș Bădiță, Răzvan Botiş e Tincuța Marin, il triunvirato radunato in questa mostra che Tommaso Richter dedica alle freschezze della Şcoala de la Cluj, sono campioni che delineano appieno lo scenario plurale di un paese dove la partecipazione collettiva avverte l’importanza della singolarità e dove il manuale e il mentale si intrecciano indissolubilmente per creare piacevoli e accattivanti stordimenti visivi.
Quasi a rileggere una piccola vita dolorosa dentro la vita, a disegnare il volto smagliato della quotidianità, a rielaborare la evocazione nostalgica del tempo, Dragoș Bădiță (Horezu, 1987) presenta un cosmo dall’aura magica e mitica che sovrastoricizza, sovratemporalizza luoghi e occasioni. Decisamente lontana dalla sfera neo-pop, la sua pittura presenta una fluidità composta e allucinata, una visionarietà intermittente – resa in alcuni casi da un buio giallognolo che si insinua negli occhi dello spettatore fino a togliergli il respiro – che è in grado di richiamare alla memoria Magritte ma anche di discostarsene piacevolmente per creare una personal cosmology, both spiritual and profane, dove fluttuano immagini, corpi, segni e tracce provenienti da diverse declinazioni del sapere umano.
Concentrandosi sull’idea e sul procedimento che porta alla realizzazione dell’opera, Răzvan Botiş (Brașov, 1984) propone uno spaccato riflessivo senza laccature che ricuce al suo interno strati d’animo differenti: dalla cupezza del capitalismo e della corruzione planetaria all’alienazione dell’uomo contemporaneo, dalla perdita della certezza alla vetrinizzazione sociale, dalle periferie ai residui di una libertà condizionata dal potere. Figure sospese, sorprese da una pennellata veloce, ironica, croccante e in alcuni casi malinconica, sembrano inghiottite, nel suo territorio, da una pasta cromatica che si apre costantemente alla muta volta del cielo e che invita il pubblico a interrogarsi sul malcontento generale dove tutto è controllato, studiato a tavolino, addomesticato.
A un passo dalla street art e dall’espressionismo astratto, Tincuța Marin (Galați, 1995) concepisce scenari che decodificano la realtà investendola di suffissi magici, ludici e traumatici per dar vita a una favola per adulti dove la deformazione, il mescolamento dinamico e il colpo di scena trascinano in un mondo ansioso, vivace, alienante, senza falsi miti e senza eroi. Partendo dal riconoscimento della polimorfia dei giochi linguistici (quei giochi che, manipolati, orientano la vita delle società) che Lyotrad individua partendo dalle Philosophische Untersuchungen di Wittgenstein, Marin plasma una quotidianità distorta, erotica e grottesca in cui si sommano ingredienti visivi presi a prestito dalla tradizione pittorica e rimodulati come fa il Ludi magister col giuoco dei giuochi nel Glasperlenspiel (1943) di Hermann Hesse.
* Il titolo del testo è tratto da un racconto (Il villaggio rivisitato, 1951) di Heinrich Böll.
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Vademecum:
Titolo: “A word for each of us”
Artisti: Dragoş Bădiţă | Răzvan Botiş | Tincuta Marin
Testo critico di: Antonello Tolve
Luogo: galleria Richter Fine Art, vicolo del Curato, 3 – Roma
Inaugurazione: martedì 17 aprile dalle ore 18.30, ingresso libero
Durata mostra: 17 aprile – 25 maggio 2018
Orari: da mercoledì 18 aprile a venerdì 25 maggio: dalle 13.00 alle 19.00 dal martedì al sabato
Sito internet: http://www.galleriarichter.com/
Email: tommaso.richter.85@gmail.com
Fb account: Galleria Richter Fine Art