Alperoli/ Bertoni/ Rentocchini, “Come cani alla catena”

dall’introduzione di Marco Santagata

Rieccoli, eccoli di nuovo qui i tre poeti di Recordare. E però, quanto mutati da quelli! Per sei anni – tanti ne sono passati da quella raccolta – ciascuno dei tre ha seguito la sua stella lungo una rotta che non solo lo allontanava dal porto di partenza ma che anche lo divideva sempre più da quella degli altri due. E così, adesso, il loro ritrovarsi in uno stesso porto a tutta prima ha un po’ l’aria di un appuntamento al quale si è voluto mantenere fede, diciamo, un debito pagato all’amicizia, un modo per non perdersi di vista. Tuttavia si sa che le prime impressioni sono quasi sempre ingannevoli.

Dei tre, Roberto Alperoli è quello che sembra aver compiuto la svolta più radicale. In effetti, quell’Alperoli che in Recordare aveva allestito una asciutta e stremata raccolta di scheggie poetiche giocate tutte sul levare, sorrette da un’ascetica ricerca dell’essenza, costruite con versicoli emergenti, programmaticamente, dal vuoto, dal bianco e dal silenzio, ebbene quell’Alperoli, dimentico della sua compulsiva ricerca della parola definitiva, qui pubblica un diario in prosa nel quale sembra quasi non curarsi della forma e dello stile. Un diario privato, non pensato per un pubblico, che racconta e analizza quasi giorno per giorno, per la durata di un mese poco più, le reazioni e i sensi di colpa scatenati dalla tragica morte del cane Nando. Una materia talmente bruciante da rifiutare di ordinarsi in forma letteraria.

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photo © Serena Campanini-Elisabetta Baracchi

Già in Recordare e, ancor più nel Letto vuoto – un libro che, a suo dire, dei testi raccolti in Recordare è il compimento – Alberto Bertoni aveva varcato i confini della liricità sia spingendo sul pedale di una poesia distesa e quasi narrativa sia sperimentando una prosa protesa verso il racconto, e però non aveva spiccato quel salto nel territorio della narrativita che qui caratterizza il suo “diario”. Più che di diario, si potrebbe parlare di avvicinamento in forma di prosimetro al romanzo di formazione. Formazione di figlio che si intreccia a quella di poeta, a partire dal primo ricordo d’infanzia a due anni e dal primo scritto a dodici. Forse non è più vero che lui non voglia scrivere romanzi, cosa che Edmondo Berselli gli rimproverava amichevolmente.

Emilio Rentocchini si conferma il bastian contrario del gruppo. In Recordare mentre Alperoli e Bettini, pur con qualche tensione da parte di quest’ultimo, si mantenevano all’interno di misure tendenzialmente brevi e canoniche, lui, fino ad allora cultore esclusivo, per non dire ossessivo, delle forme chiuse dell’ottava e del sonetto, si abbandonano a una Elegia in veste di poemetto, fatta cioè da una successione di pezzi costituiti da versicoli a cascata; qui invece, dove gli altri due amici o lasciamo il verso o virano comunque in direzione di più distesi andamenti narrativi, ritorna all’ottava, e per di più nella sua configurazione più estrema di contenitore de “La lèngua al gred piò pur, disancoreda/ e nuda, cioè nella sua configurazione di lacerto filosofico. Una scelta, questa, che colpisce in particolare coloro che, seguendo l’attività di Emilio, ricordano bene che solo l’anno scorso lui aveva raccolto in volume la sua intera produzione di ottave e che questo libro non aveva solo l’aspetto di summa di una carriera, ma lasciava quasi intendere di segnare il significativo abbandono di quella forma metrica.

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