OLIMPIA, Dal grembo alla Torre

di Elio Grasso

I “libri della vita” hanno limiti soltanto davanti. Indietro, l’orizzonte cambia per sempre. E la poesia da lì in poi potrebbe farsi sempre più libera. Non si tratta di tempo, ma di spazio in cui bisogna difendersi e tirare alla svolta. Olimpia ha già le sue leggi, trovate in quelle radici che Luigia Sorrentino ha riunito una volta per tutte. De Angelis, nella prefazione, lo conferma puntandosi sul “tema della salvezza”. Anche se lui stesso intuisce che non si tratta di uno scioglimento completo. La pressione mondiale, quando ha a che fare con la vita, non dà per sempre un polo certo. La materia ha salti imprevisti: invadono la lingua del poeta, rinfacciano il dissidio originale, corrugano la poesia fino a che non si comprende che occorre ancora una volta affrontare il “mostro iniziale” (così Montale definiva il big bang della poesia). Ma all’approdo questo libro affida le diverse stazioni dell’umano femminile, dalla giovinetta che annaspa nel vuoto di “milioni di notti” alla visione finale delle città del mondo circondate da sabbie monti e boschi. La dichiarazione di essere “finalmente comprensibile” è come l’originale singolarità da cui tutto inizia. La parola fa debuttare l’antropologia di quanto definiamo vita, comprendendo occhi e bocca e corpo intero. Da lì alle mura, vicine al cielo, il salto è breve. Tutta la prima sezione si attesta sull’abitare quel che improvvisamente esiste: pareti risuonanti, incarnazioni, grembo meraviglioso cui esser grati. Controllo e abbandono rilanciano la natura stessa della poesia come fluttuazione e canto. Nel mezzo la giovinetta schiude tutto lo stupore che l’accresce, dentro la prima lezione di realtà.

Voler creare la corrente – nel governo della poesia – di un soffio inedito, potrebbe concernere rischio di un garbo passivo. In Olimpia i versi spesso sono atti di rottura, rasentano indoli fuorilegge, e lo strappo è adeguato alla sorte prevista. La definizione dell’ingresso prosegue come se le mani brandissero grimaldelli, e le dita fossero comandate direttamente dal tono e dal timbro. Luigia si aggira nelle prime stanze forzando ogni resistenza, fa risuonare il proprio linguaggio lungo i nodi topografici. Li accarezza soltanto per far sentire la sua robustezza ai marmi e ai graniti. Il luogo deve percepire che tornare lì è stato deciso dopo aver affrontato (probabilmente steso) “avversari terribili”. L’architettura è concepita per chi sa incedere veloce, dopo aver ignorato a lungo l’invito. Il poeta decide tralasciando la destrezza, che non si fa vanto di sé ogni volta che ha qualcosa da sostenere. Il vuoto davanti è la prova che la realtà emerge a ogni passo. Prima viene il pensiero, e l’erba sotto i piedi si fa sentire, poi il gesto del passeggio diventa operoso. Ed è giardino. Ogni pagina testimonia e crea, docilmente ma seguendo il proprio precetto faticoso. I punti cardinali sembrano svanire a ogni passo mentre i sensi dell’autrice diventano sostanza, carne esigente. Se indica il luogo dov’è tornata, la parola “difficoltà” muta in amicizia e le parole assumono fierezza. In questo solco la poesia sopravvive a tutto, anche al sonno di chi la produce, poiché è occorrenza delle visioni lambire l’addormentarsi. E mentre accade, lo spazio di Olimpia s’espande in forme vegetative, nutrimento sonoro, mondo tutto intorno.

Il tempo della violenza, unito all’esperimento spirituale, all’origine del classico, attraversa con tenacia lo schieramento poetico di Hölderlin. Ecco la temerarietà di questo libro. Dove viene abbandonata la lingua del terzo millennio, in favore di quella che un tempo ci accolse e che oggi è del tutto dimenticata. Il sentimento della discordia, sotto le volute sonore dei Cori, s’intreccia a una materia che ingoia chi trova sconveniente queste scritture, e giammai ha propensione per coloro che, sperimentando, volgono indietro lo sguardo. Dove c’è la storia di un passato futuro. Luigia sa che non avremmo scampo se perdessimo l’origine della tragedia. Così avanza senza tregua fra i marmi dell’uomo e i ventri gonfi della donna, pietra e cellule che tentano d’ignorare la morte. Un modo intimo di scrivere, e di fermarsi un attimo, dove sembra che la natura diventi imperfetta soltanto alle nostre anime. Ma è l’incontro con ciò che è minimo, il vero esordio. L’assalto al primo mattino, quando l’odore dell’alba unito al caffè rende geniali. Il poeta di Tubinga sapeva come contrastare la colpa primordiale, e sebbene non ci sia proporzione fra l’oscurità arcaica e l’esilio della Torre, la congiunzione tra quell’epoca e il tempo di Olimpia ha un effetto di nuova perseveranza. Assomiglia all’esperimento senza sosta della natura, che mai risparmia l’agonismo. Se mai sono gli attuali “sensibili” a estorcere cose sbagliate alla sbagliata dirigenza della poesia (se così può definirsi) contemporanea.

Frammento dopo frammento, l’opera avanza in un’unica lingua, e sembra incoraggiare l’avvenire dopo l’approdo dove le sabbie mutano in rena e mare aperto. Ci sono ancora pericoli carnali nello spazio che si amplia, ogni pagina ci parla di pesi e congiungimenti, di respiri necessari fra vivi e morti, di grumi soffocanti e tocchi conoscitivi, di soglie più forti di aurore, di cavità ispide, di scogli urticanti, di braccia abbandonate e padri scomparsi, infine di varco ampissimo. La torre personale di Luigia, in Olimpia, è il monte assoluto dove il suolo non sembra più suolo, dove la madre perduta ritrova fiato, dove poggiando l’orecchio a terra il sonno non fa perdere il senno, dove una seconda nascita è possibile senza che appaia come supremo inganno, dove il sentiero per la discesa conduce al ponte in vista dell’orizzonte. Il suo filo inventa l’ultima sorgente, ed è semplice questione per l’autrice convincere che da lì il congiungimento porta inequivocabilmente al mare.

Luigia Sorrentino, Olimpia, Interlinea Edizioni 2013, pagg 112, Euro 14

(La recensione di Elio Grasso è uscita su Poeti e Poesia Rivista diretta da Elio Pecora nel settembre 2016)

  • Elio Grasso è nato a Genova nel 1951. Fra i suoi libri: Avvicinamenti (Ripostes, Roma-Salerno 1983), L’angelo delle distanze (Edizioni del laboratorio, Modena 1990), Nel soffio della terra (Guardamagna, Varzi 1993), La prima cenere/Conservatori del mare (Edizioni del laboratorio, Modena 1994), La soglia a te nota (Book, Castel Maggiore 1997), L’acqua del tempo (Caramanica, Marina di Minturno 2001), Tre capitoli di fedeltà (Campanotto, Pasian di Prato 2004), E giorno si ostina (puntoacapo editrice, Novi Ligure 2012), Varco di respiro (Campanotto, Pasian di Prato 2014), Il cibo dei venti (Effigie, Pavia 2015). Ha tradotto T.S. Eliot, W. Shakespeare, E. Carnevali, e curato un’antologia dallo Zibaldone di pensieri di G. Leopardi.

 

  • Luigia Sorrentino è nata a Napoli, vive a Roma e lavora alla Rai.
    In poesia ha pubblicato: C’è un padre, (Manni, 2003), Prefazione di R. Cappuccio; La cattedrale, (Il ragazzo innocuo, 2008), L’asse del cuore («Almanacco dello specchio» Mondadori, 2008), La nascita, solo la nascita, (Manni, 2009), Prefazione di M. Cucchi; Olimpia (Interlinea, 2013), Prefazione di M. De Angelis, Postfazione M. Benedetti; La necessità in: Quadernario di Poesia a cura di M. Cucchi, (LietoColle, 2015); Olimpia, (Recours au Poème Editeur, 2015), Trad. A. Paoli; Inizio e Fine, Prefazione di M. Cucchi, (I quaderni della Collana Stampa2009, Varese, 2016), Figure de l’eau, con acquerelli e inchiostri di Caroline François Rubino, Trad. A. Paoli, (Edizioni Al Manar, Paris, 2017).

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