La poetica di Kenneth Krabat

Rosso.Niente. (cover)

È appena uscito Rosso.Niente (VEDI QUI), raccolta di versi del poeta danese Kenneth Krabat edita da Kipple Officina Libraria, tradotta dalla versione inglese (l’autore è bilingue) da Giovanni Agnoloni per la collana “Versi Guasti”, curata da Alex Tonelli.

Vita, Amore e Morte, alla ricerca di una consolazione

“Non smettere mai la propagazione del mondo dietro il velo/ Con rassegnazione la vita e i mondi giungono a conclusione/ Nel sangue e nell’ignoranza o in entrambi.”

Kenneth Krabat – Note per una poesia sul valore di una vita risolta

Le poesie che compongono questa nuova uscita di “Versi Guasti” appaiono a una prima lettura fra loro molto eterogenee; diversi gli stili e le metriche con cui il poeta, Kenneth Krabat, ha composto questi suoi testi. Poliedrico poeta danese, che scrive in lingua madre e contemporaneamente in inglese, Krabat è una figura viva dell’underground di Copenaghen – o, come direbbe lui stesso, di København – un performer e un paroliere. Abbiamo scelto di dedicare un volume di “Versi Guasti” a quest’ autore, perché Krabat s’inserisce perfettamente nella ricerca poetica che questa collana sta portando avanti, scovando là fuori tutti quei poeti che prendono la poesia, la strappano dai banchi del Liceo, la scuotono violentemente e la trasformano, quasi magicamente, in un prodotto della contemporaneità. Parole da leggere e attraverso cui comprendere un po’ di più il reale che ci circonda, questo reale, questo “qui e ora” di un 2016 che volge al termine.

Torniamo tuttavia alla poetica di Krabat. Dicevamo che, a una prima lettura, questi testi appaiono tra loro disparati, con lunghe digressioni in forma di prosa ritmica, racconti surreali di uomini volanti, poesie dolcissime ambientate in terre dal vago sapore fantascientifico, testi che sono urla contro il vento e contro tutto e tutti. Ma basta fermarsi un momento, lasciare fluire le parole, le immagini, le grida, i sussurri e i bisbigli che da queste poesie emergono, e allora si comprende che tutte hanno un argomento comune, un topos narrativo fortissimo ed evidente che ricorre. Non è una scelta razionale e filosofica del poeta. Qui Kenneth Krabat non sta ragionando per cercare di indagare il mondo che lo circonda; sta semplicemente vivendo, e nel vivere ci racconta il suo passaggio lungo tutto il cammino che è la vita. Krabat non sta scrivendo poesie: esse sono una sorta di semplice epifenomeno del suo vivere. Quasi un prodotto di scarto del suo andare e camminare per il mondo, per la Danimarca, per le persone che incontra e per i sentimenti che prova.

Tutte le poesie di Krabat raccontano della vita, della morte e dell’amore; apparentemente, la più ripetuta, popolare e consueta tradizione del far poesia. Raccontare della vita che viviamo, della morte e del suo spavento e dell’amore, misterioso sentimento. È dunque Krabat un poeta banale? No, non lo è. Non lo è affatto. Non lo è per come scrive, per come la sua fantasia esplode ogni volta che prende penna e carta e traccia i suoi versi brevissimi o lunghissimi, ma non lo è soprattutto per come reinterpreta il racconto della vita in poesia. Krabat vive la medesima contemporaneità di ogni lettore, quell’insensata vita occidentale frenetica e apparentemente senza alcuno scopo se non l’accumulo, il ripetersi alienato del lavoro e le mille ipocrisie di una non-autenticità, vero paradigma della nostra epoca.

È una vita imposta, quella che Krabat descrive: “Il terribilmente ordinario con un partner imposto della prole imposta una famiglia imposta in una realtà imposta in una cultura imposta ” Una lenta insensata lotta, o come dice lo stesso poeta, una “Lotta, Lotta, Lotta”: “Un’amica mi ha chiesto il resto delle mie pillole di morfina di quando avevo il cancro Quelle le terrò per me ho detto” Un’esistenza che scorre inesorabile verso la vecchiaia, la fine. E il poeta non può che tentare semplicemente di urlare, di opporsi vanamente e inutilmente contrastare ciò che lo attende, ciò per il quale è destinato. “Non voglio invecchiare il mio amore invecchia la mia memoria invecchia la mia andatura e le mie buffonate invecchiano […] invecchiando così tanto tanta tanta crescita ancora da compiere”. Una vita che scivola e che non ha altra destinazione se non la morte. La morte che non è fine e forma di un percorso: non c’è alcuna valenza teleologica nella morte (né tanto meno teologica!), anzi, essa è il trionfo dell’insensato che caratterizza il vivere umano.

L’apoteosi del non-senso. “Se questa morte non serve come riprova della fondamentale assenza di scopo dell’esistenza, la partitura deve gettar luce sull’inevitabilità biologica e psicologica. Un orologio che si ferma, così! ” Ma ecco che qui, in questa morte che non ha e che non dà senso, vi è la svolta. Kenneth Krabat lo racconta in modo tremendo e allo stesso tempo dolcissimo in due delle poesie qui raccolte: “Quando dovrò andare” e “Incontrare la morte”. Nella prima, cruda, asettica come il piano di una camera mortuaria, il poeta affronta la sua stessa fine con cinico distacco, un’osservazione prospettica che appare, inizialmente, priva di ogni sentimento, emozione, coinvolgimento. Improvvisamente però, alla fine del componimento, nel suo ultimo, inaspettato verso, Krabat si chiede: “ci sarà qualcuno che si stenderà accanto a me per un po’?” Una domanda fatta a se stesso, una muta preghiera, un’invocazione empatica, una semplice richiesta di aiuto.

Il poeta si chiede: con me ci sarà qualcuno o sarò solo? Quel “qualcuno” non è solo un altro indistinto essere umano, ma è una creatura vivente nel medesimo, insensato reale, un uomo o una donna che offrono e che ricevono consolazione. Quella stessa consolazione che Krabat racconta in una delle sue poesie più struggenti, più dolci, più malinconiche e belle: “Incontrare la morte”, un lungo testo ispirato dalla fotografie di Cathrine Ertmann , in cui il poeta tributa un affettuoso addio al nonno appena scomparso. È come se questa volta fosse il poeta a essere quel qualcuno che si stende accanto a colui che muore per cercare di rendere meno doloroso, meno insensato e meno solitario l’ultimo momento del viaggio. Il poeta presta il proprio corpo al compito della memoria, ed è grazie a questo dono che Krabat riesce a trattenere vivo il nonno scomparso. A renderlo eterno. “Io so che sei qui grazie al tuo corpo e che quando quello viene meno sei qui solo grazie al mio lo so lo so bene non tornerai mai più sotto forma di nuove storie senza che sia io a crearti così ti rendo vivo per sempre ” È qui, nella morte, che questa comunione giunge al livello assoluto di memoria vissuta attraverso il corpo.

Ebbene, questa ricerca della comunione con l’altro, come estremo tentativo di sopravvivenza nel mondo attuale, è presente in tutta la poetica di Krabat: è la tensione all’amore. L’amore, il grande viatico della salvezza dell’uomo. Non s’illuda il lettore: non vi è senso alcuno neppure nell’amore. Esso, come fatto della vita, non può che continuare a essere, quasi ontologicamente, insensato ma – ed è qui che si snoda tutta la poetica di Krabat –è consolazione. Conforto e sollievo, ingannevole felicità, affetto e gioia che ci permette di andare avanti e continuare a sopravvivere. Quest’amore risponde alla prima filosofica domanda di Albert Camus: “Vi è solo un problema filosofico serio: quello del suicidio”.

L’amore di Krabat è un amore sconclusionato, etero\omosessuale, affettivo e anaffettivo, sessuale e platonico: è l’amore che ogni essere umano incrocia lungo il proprio cammino. Non vi è nessuna idealizzazione, nessuna valenza etica o addirittura escatologica. Il mondo non è fatto per l’amore, che non è in programma: “Sono le notizie che vanno per il verso sbagliato dice lei leggi ascolta guarda le notizie nessun redattore osa più sostenere che l’amore sia una risposta a tutto ”.

Foto Kenneth

Kenneth Krabat

Il sentimento che il poeta racconta è dunque quello di ogni giorno, quello sporco e sudato, quello doloroso e faticoso, quello dissennato e assoluto, quello di una rosa rossa durante una cena: l’amore più romantico possibile. L’amore della nostra quotidianità vissuto nel suo essere così folle da essere vero, fantasticamente reale. Un po’ come nella poesia “L’aria di ieri notte”, in cui Krabat immagina il giorno dopo il viaggio su un pianeta lontano, sabbioso, popolato da creature mitologiche chiamate tyrenni. Assaporando l’aria (il ricordo) di quella notte fantascientifica appena passata, il poeta incontra una donna. Se ne innamora, immediatamente, perdutamente. Lei non può amarlo ora, perché non lo conosce affatto, è innamorata di un altro, è naturale che sia così. Ma questo sentimento presente, attuale, è destinato a finire, e allora il poeta aspetterà, sommerso dalla sabbia del pianeta lontano, sino a che lei sarà libera, finalmente, di amarlo e allora: “tornerò a vivere per il resto della tua vita ”.

All’inizio di questa introduzione abbiamo sottolineato come l’intento di “Versi Guasti” fosse quello di raggiungere, scovare e pubblicare quei poeti che trasformano costantemente la poesia in espressione attuale della nostra contemporaneità. Abbiamo accennato al fatto che, tramite essi, è possibile vedere ciò che lega, in modo apparente o inapparente, il mondo, le segrete connessioni che serpeggiano in questo reale. C’è un intento epistemologico alla base della poesia che stiamo ricercando, un’indagine, più o meno appassionata, del mondo tutt’intorno; la poesia diventa lo strumento, magico più che scientifico, con cui interrogare l’esistente nel modo più profondo possibile. La poesia come forma più sincera del sapere dell’uomo. Non è così in Kenneth Krabat.

Nelle poesie che qui abbiamo raccolto e in tutta la sua produzione poetica non vi è alcun intento conoscitivo; al poeta non interessa affatto mettersi alla finestra e cercare di trarre senso da ciò che senso in sé non ha e non può avere. Kenneth Krabat apre la finestra, respira l’aria del mondo e si getta fuori. Precipita senza alcun paracadute, senza alcuna protezione, cade e cade, sempre più velocemente e profondamente, nel reale della sua vita, delle sue esperienze, dei suoi sentimenti, del dolore, della morte, dell’amore, di ogni cosa. Non solo osserva e racconta, ma vive.

Kenneth Krabat è un mangiatore di vita, e queste sue poesie non sono altro che il risultato di ciò che lui ha ingurgitato, masticato, digerito e ributtato fuori. È la vita che è passata dentro di lui, dentro il suo corpo, lungo tutto il tubo digerente. E non vi dovete stupire, cari lettori, di quanto queste poesie parlino anche a voi, di quanto raccontino anche di voi, di quanto in esse voi vi riconoscerete. Tutti noi, esseri umani, andiamo avanti, camminiamo, ci nutriamo, digeriamo, mastichiamo, defechiamo la stessa meravigliosa, insensata, dolorosa, sanguinolenta, impossibile, misteriosa e sbraitante vita. E Kenneth vive.

Trieste 03 Novembre 2016 (Giorno di San Giusto)

Alex Tonelli

Nota alla traduzione

Prima di tutto vorrei ringraziare Giovanni Agnoloni per aver scoperto Kenneth Krabat e soprattutto per il suo lavoro di traduzione. Questo Verso Guasto non esisterebbe senza il suo impegno e la sua costante tenacia. Tradurre è, come diceva Gadamer, sempre un po’ tradire, e lo è in modo particolare per la poesia, dove è il suono della parola scelta a dare spesso il senso all’intero componimento. Un suono diverso darebbe un significato altro alle intenzioni del poeta.

Nel tradurre Kenneth Krabat il problema del tradimento rischiava di essere inoltre duplice, al quadrato; infatti, Krabat è danese e la sua madre lingua è appunto il danese. Il passaggio da questo all’inglese, e quindi all’italiano, avrebbe sfilacciato troppo il significato della sua poetica. Fortunatamente Kenneth Krabat possiede una conoscenza da madrelingua dell’inglese e soprattutto pensa e scrive le sue poesie in entrambe le lingue, adottando termini differenti e adattandoli al significato e al suono che vuol dare al componimento. Questo, e il constante confronto con il poeta svolto durante tutto il lavoro di traduzione, ci ha permesso di trattenere gran parte dell’intento poetico di Krabat.

Di seguito alcune note sulla traduzione che pensiamo possano essere utili al lettore:

1- Nella poesia “L’aria di ieri notte”, i “tyrenni” sono una traduzione libera di un termine inventato da Krabat, ”tyrons”, ovvero delle creature mitologiche a forma di toro che popolano il pianeta della poesia.

2- Nella poesia “Figli sciocchi, Figli morti”, il termine “umanisti” è l’unica traduzione accettata da Krabat del termine “humanist” che nelle intenzioni del poeta richiama al concetto di filantropia. In italiano il termine “umanisti” si riferisce principalmente ai dotti studiosi dell’Umanesimo (tra il XIV e il XVI secolo), ma chiaramente questo non c’entra con la poesia.

3- Abbiamo sempre utilizzato il termine originale per indicare la città di Copenaghen, ovvero: København. Da ultimo, tutte le virgole, l’assenza di esse, gli a-capo improvvisi, gli enjambement inaspettati, i rientri, i corsivi, tutto questo è minuziosamente voluto dall’autore e in questa edizione italiana completamente rispettato. Così come è voluta dal lettore la scelta del grigio e del nero per separare rigo da rigo, un modo per rappresentare graficamente dove va il respiro, e quindi il suono, del leggere ad alta voce queste poesie.

Leggetele ad alta voce.

___

Any minute now

 

the minute anyone looks

over your shoulder because

that is where it is

the Sun

that minute you will remember you are born

and that you will die

and that you have endless hours

almost

to spend

having fun and to cry over lost love

and impatient hours to wait for

new love

and

you will give yourself totally

to anyone who comes knocking

with a message of hope

be it any hope

any hope

any hope of redemption or

just re-kindling of flame

or re-unification of lost ones

and it is not on TV

all the world takes place around you

and you know that you are at its center

and this is where you need to be

always

and forever

you will never grow old

you have never been young

all this is just illusion and any minute now

you will come into being

and everyone

will see for themselves



Da un momento all’altro

 

il momento in cui tutti guardano

oltre le tue spalle perché

è lì che si trova

il Sole

il momento in cui ricorderai che sei nato

e che morirai

e che hai un numero infinito di ore

o quasi

da trascorrere

divertendoti e per piangere sull’amore perduto

e ore impazienti in cui attendere

un nuovo amore

e

ti darai totalmente

a qualcuno che viene a bussare

con un messaggio di speranza

che sia una qualsiasi speranza

qualunque speranza

una speranza qualsiasi di redenzione

solo un riattizzarsi di fiamma

o la riunificazione di coloro che erano stati perduti

e non è in TV

e tutto il mondo si svolge intorno a te

e tu sai di essere al suo centro

ed è qui che devi stare

sempre

e per sempre

non invecchierai mai

non sei mai stato giovane

tutto questo è solo illusione e da un momento all’altro

inizierai a esistere

e tutti

lo vedranno da soli

 

The air of last night

 

I was breathing the air of last night when I met you

 

You don’t know

what last night means?

 

I was hearding tyrons across the plains

when the sands caught up with me I died in the sand my tyrons died

 

today I live that is what last night is

 

you were not there you say?

no you were not on the plains you were not on the planet

you were not in the loins

of your father inside your mother not

a conscious thought in your ancestry but I met you there

on the plains as I died such is love

 

you don’t love me you say?

but how could you you

only just met me you don’t know who I am you

love somebody else that you love

as you must

 

that will cease

yesterday will have been the beginning of the end or tomorrow will precision

is not important when convergence is at hand look

at constellations

from which point of view are they aligned?

 

maybe now

is the defining moment it is

of no consequence to either of us

 

sand will take me again

and I will wait till you love me and then

I will return to live out the rest of your life

 

my tyrons await

my love

 

 

L’aria di ieri notte

 

Respiravo l’aria di ieri notte quando ti ho incontrata

 

Non sai

che significa ieri notte?

 

Stavo radunando i tyrenni attraverso le pianure

quando le sabbie mi hanno raggiunto sono morto nella sabbia i miei tyrenni sono morti

 

oggi sono vivo è questo che è ieri notte

 

tu dici che non eri lì?

no tu non eri sulle pianure non eri sul pianeta

non eri nei lombi

di tuo padre dentro tua madre non

un pensiero cosciente nella tua ascendenza ma io ti ho incontrata là

sulle pianure quando sono morto questo è l’amore

 

dici che non mi ami?

Ma come potresti tu tu

mi hai appena incontrato non sai chi sono tu

ami qualcun altro che ami

perché questa è la tua natura

 

questo finirà

ieri sarà stato l’inizio della fine o lo sarà domani la precisione

non è importante quando la convergenza è imminente guarda

le costellazioni

da quale punto di vista sono allineate?

 

forse adesso

è il momento decisivo è

insignificante per ciascuno di noi

 

la sabbia mi riprenderà

e aspetterò finché mi amerai e poi

tornerò a vivere per il resto della tua vita

 

i miei tyrenni aspettano

il mio amore

___

Kenneth Krabat è nato a Copenaghen nel 1963. Elettricista qualificato fin dal 1983, da allora ha sempre lavorato con la poesia. È tradotto in inglese, croato e italiano.

È stato un pioniere delle pubblicazioni digitali, il che ha portato a dividere la sua carriera tra le pubblicazioni gratuite online e quelle cartacee con case editrici affermate.

Ha pubblicato 19 opere principali, tra cui libri, e-book, DVD di improvvisazione poetica, un sito di poesia parlata, due opere annuali di poesia in rete e una composizione per musicisti che lavorano coi rumori.

È stato per diciotto mesi presidente dell’Unione degli Autori Danesi, cercando di costruire dei ponti tra i poeti, distribuendo 47 newsletter in quel periodo e curando un libro in pdf lungo 1045 pagine con opere di 122 poeti affiliati.

Lavora molto col respiro, e si adopera per promuovere un sistema di scrittura notazionale per la poesia, chiamato “Musica delle pause”, tale da indicare le relative lunghezze delle pause in un testo, onde renderlo riproducibile in modo simile a una partitura musicale. Tale sistema l’ha portato a combattere per far sì che i programmatori riproducessero le poesie nell’allora (2010) formato privilegiato nell’industria dell’e-book (EPUB3), sì che i lettori, nonostante il sistema automatico di interruzione delle righe, potessero interpretare il ritmo intrinseco del testo poetico.

Con la sua ultima raccolta poetica in italiano, ha ideato un sistema funzionale, che colora i versi delle poesie alternando nero e grigio, informando così il lettore di dove le righe finiscono, indipendentemente dalla quantità di testo – così da mantenere il respiro musicale dei versi. Al momento sta improvvisando con il suo tamburo sciamanico insieme ad altri poeti che suonano sassofono e violino.

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Kenneth Krabat, œuvre 2017:

2017 poesia ROSSO.NIENTE, (Italia)

2016 opere teatrali Hårdt omtalte fjerkræ, sytten enaktere, cirka

2016 libro illustrato per bambini: Od kraja prema početku, Priča o Kennuju i Kalleu (Croazia)

2015 calligrafia poetica >< DRAMATIS PERSONAE, Universal Storyline 1, (e-book)

2014 audio-poesia ISBN 978-87-92851-04-8 Kenneth Krabat, Lydfladen, læsninger og sange, 400 indlæsninger

2013 foto-poesia>< DRAMATIS PERSONAE, Universal Storyline 1, (su carta)

2013 poesia, TId • Tidens Kælven 1 (su carta)

2012 composizione audio CD, Alarm112 og KK, “Vintermenneske” (registrato nel 2001)

2011 poesia, best-of Den stort set samlede Manden i den Hvide Kittel 1987-2004

2011 poesia TId • Tidens Kælven 1

2007 poesia audio CDTSUK, tidløse samlinger uden kobber

digtsamling, DagensDigt2006 (320 poesie, html)

2003 poesia, elskede elskede

2002 improvvisazione, audio-CD poetico, KALK 2 år (118 poesie)

2000 improvvisazione, audio-CD poetico, KALK Et ganske særligt hjerte

1999-2000 poesia, Et digt om dagen (374 poesie, html)

1998 poesia, SMÅTEKSTER 1997-98

1996 poesia, & (fotos af Anja Laub Methling)

1994 poesia, alle veje fører til Magtenbølle

1988 poesia, Dragens tab af hovedet

1987 poesia, Naiv? sagde det nøgne barn

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