Antonio Bux, “Kevlar”

kevlar-coverNota dell’autore

Ho intitolato questo libro Kevlar, una parola conosciuta quasi una quindicina d’anni fa grazie a un omonimo brano musicale di un gruppo rock alternativo originario di Napoli – che ho amato molto – i 24 Grana. Il kevlar è una fibra sintetica con la quale si rinforzano, tra le altre cose, i giubbotti antiproiettile, data la grande resistenza meccanica alla trazione, oltre che al calore e alla fiamma di questa fibra, cinque volte più resistente dell’acciaio. Come si intuisce qui il kevlar diviene una metafora dell’esperienza. Invece, per quanto riguarda la parte interna, il libro si divide in due sezioni. La prima Capitanata e altre poesie, raggruppa una serie di poesie scritte in vari periodi differenti, dove ho annotato riflessioni, spesso metafisiche, partendo il più delle volte proprio dai luoghi della mia infanzia, per poi passare a setaccio le mie impressioni verso altre zone conosciute nel corso degli anni. Proseguendo poi, appunto, con le poesie de L’oppio di Barna, dove faccio riferimento alle reminiscenze sognanti del mio personale e prolungato soggiorno a Barcellona (Barna è il diminutivo di Barcellona in catalano) in un continuo dialogo con i morti e con il “non me stesso migliore di me”, creando questo ipotetico ponte tra le mie radici (riaffioreranno di nuovo verso la fine) e i miei risvolti, sia di scrittura che di vita, più recenti.
Per concludere, aggiungo una postilla sull’aspetto dei testi: spesso le mie poesie prendono una forma “binaria” , di “poesia nella poesia”, alternando versi in corsivo su margine destro ed altrettanti in tondo su margine sinistro, come a formare un vortice poetico, un rimpallo cercando, più che un rifugio in stile horror vacui, una sorta di sfinimento letterario, un continuo corpo a corpo tra testo e respiro, tra significante e significato. Al lettore chiedo anticipatamente venia per questa mia vana lotta.

UN ESTRATTO DAL LIBRO

Herdonia

La materia oscura della vite
sogna una pace eterna
e vive verde, di profumi attenti.
Io ne guardo il sole, la forza
cadere tra i filamenti:
non posso crescere così.
Ma basta un ramo diverso,
conquistato il verme, e la terra
riprende tutto. Conserva serena
il segreto. Dopo scompare.

Un luogo tradito, caduto
capitello epitaffio in litio
irsuto da scimitarre spalle
dietro cunicoli dauni, le ombre
della fanciulla prima greca
poi romana collassate
fra le erbe schiarite a terra.
Non più promontorio ma Sinai
sepolcrale lusso per i formicai
dal vecchio al nuovo il discusso
ora tarlo frizzante bassorilievo.
Nemmeno tragedia, né il verde
se ne frega. Andiamo a sedere
dove altro ha scoperchiato
al tempo, come fosse
stato qualcosa, un odore
forse, l’ilarità delle tombe.

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Antonio Bux (Foggia, 1982), vive tra la Spagna e l’Italia. Suoi testi sono stati tradotti in spagnolo, francese, inglese, catalano, tedesco, rumeno e serbo. Ha curato la traduzione del libro Ventanas a ninguna parte dell’autore spagnolo Javier Vicedo Alós, oltre che la traduzione di testi scelti di autori tra i quali Leopoldo María Panero, Julio Cortázar, Dário Jaramillo, Álvaro García, Antonio Cabrera, Jaime Saenz, Pere Gimferrer, Pedro Salinas, Vicente Aleixandre e tanti altri ancora. È autore dei libri Disgrafie (Poesie 2000-2007 e altre poesie) (Salerno-Milano, Edizioni Oèdipus, 2013; libro vincitore della XXXVII edizione del Premio Minturnae Poesia Giovane “Ornella Valerio”) Trilogia dello zero (Milano, Marco Saya Edizioni, 2012) e Turritopsis (Di Felice Edizioni, Martinsicuro 2014) .

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