Cinzia Marulli, “Percorsi”

cinzia_marulli_2Cinzia Marulli o la sfericità dell’essere

C’è leggerezza nelle poesie di Cinzia Marulli, non quella delle parole, ma del vento, delle nuvole, della nebbia. Ciò apre il cammino alla chiarezza. Al biancore. Sgretola l’oscurità, la rinchiude nell’ombra. Invita al viaggio. Ci mette in cammino sul sentiero. E riabilita, non la strada percorsa, ma, dopo di essa, il ritorno. Mi viene da pensare al poeta Piere Joris quando scrive “se ritorni, riporta il cammino con te”. Questo è un libro del ritorno, dunque, del ritorno eterno, Ma verso dove? Verso che cosa? Verso chi?
La poesia, secondo definizione, quasi, pone delle domande. E, soprattutto, è circolare. Su qualsiasi punto della sua circonferenza, essa è unita a un centro che non abbandona mai, poiché dimenticarlo sarebbe come dimenticare se stessa, divenire sciame di parole nell’eclissi delle nuvole. Queste poesie, questi “Percorsi” sono come aquiloni. Volano, si avvicinano alle nuvole, ma nessuna mano le abbandona. Ed è così, la mano del poeta, distribuisce i fili dal centro dell’esistenza. Il labirinto è lì, ma Icaro è lontano. Il poeta ha appreso la lezione della cera.

In questo senso, “Percorsi” è il libro dei bilanci, e il ritorno è un viaggio intimo verso il centro dell’”io”. Basta poi affondare la zappa e smuovere la terra intorno ai piedi. Scavare. Per sotterrare il male di ciò che è stato. Per dissotterrare i ricordi, così, che come i petali di un fiore esistenziale assorbono la clorofilla che un sole nascosto gli invia. Poi, ricominciare a mettere un passo dopo l’altro per riannodarsi con il ciclo della vita e della morte. Rinascere fiore. Con i colori del desiderio. E morire in quei stessi colori. Morire, ultimo ritorno alla terra, alla cenere, a quelli – il padre e gli altri – che, prima, hanno preso in prestito l’ultimo percorso.

C’è del sacrificale in questo movimento. Ritualizzazione del ciclo. Del cerchio. La poesia gira intorno al suo nocciolo come la vita gira intorno al sole. E, girando, rifà il cammino che dalla radice va alla spiga e poi ritorna alla radice. E’ così che si rispondono il futuro e il passato. Grano dopo grano. Grano di rosario. Grano di sabbia. Poiché anche lì il cerchio domina. Addormentarsi nel mare per risvegliarsi nella pietra. Con, al risveglio, la domanda della chiave. Una chiave a portata di mano, ma chissà a quale serratura è destinata? Mare, pietra. Chiave, serratura. Il cerchio. Ombra, luce. Il cerchio. Come l’”io” uguale all’acqua che evapora, sale verso le nuvole, poi la pioggia che scende, divenuta acqua, sulla terra.

percorsiAttenzione però: la poesia di Cinzia Marulli non è una poesia esistenzialista, ma esistenziale. Nel senso che, piantato nella terra, l’essere tende verso l’alto come l’albatros di Baudelaire. Là dove la speranza ha grandi ali. Ma sente, l’essere, al tempo stesso il bisogno di radicamento nella terra, unica garante affinché non si perda ciò che è stato. L’alto e il basso non si escludono. C’è di fatto, in queste poesie, una tensione estrema, un dilaniarsi, uno strappo, sì una sofferenza tra il bisogno d’immobilità e il desiderio di ampiezza. Tra i piedi con i loro piccoli passi e la testa creatrice di spazio e di lontananza.

Scrivere è, insomma dice Cinzia Marulli, cercare il percorso. Cercare il “tra”. La poesia si fa allora messaggero di una scienza ben particolare che chiamerei “tralogia”. La scienza del sentiero.

E’ questo “tra”, che dà alla scrittura il suo territorio. Territorio che offre, attraverso il setaccio dei ricordi e dei desideri, i suoi temi alla poesia: il tempo che passa, l’evanescenza dei ricordi, con, dall’uomo all’altro, tutto quello che la vita promette e tradisce. Temi universali divenuti atomi dell’intimo. Ciò non impedisce il grido di dolore quando colpisce il male che l’Uomo infligge all’umanità. Quindi il poeta è come te e me, conclude Cinzia Marulli, egli si fa la doccia, va al bagno, fa la spesa, in breve, egli vive. E vede fino a che punto il cerchio della vita è torturato dalla mano umana. Con la bocca ferita costantemente da una domanda: come tanto male è possibile nel bene?

Jean Portante

Traduzione di Jean Portante e Cinzia Marulli

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Viandante sono le tue impronte
la via e nulla più;
Viandante non esiste un sentiero
il sentiero si crea camminando.

Antonio Machado, Cantares

Il senso bianco delle nuvole

È la mia strada
che non conosco

ma non mi importa
mi piace il vento
e il suo trasporto.

Tu mi guardi come fossi nebbia
eppure sento una voce
una voce chiara
e la tua risposta
che fulmina il pensiero.

Dimmi.
Copri questa domanda disperata.
«Dov’è il senso del sentiero?»
Lo chiedo a te che stai lì
con le mani nella terra
e i piedi in aria come radici celesti.

«Il senso del sentiero» mi dici
«non è nel percorso
e neanche nell’arrivo.»
Poi la certezza:
«È nel ritorno.»

* * *

Ditemi, ombre
dove posso trovare una zappa
per dissodare il terreno?
Non voglio che le zolle diventino aride.
Indicatemi la sorgente dell’acqua
dove immergere le radici.

Ditemi, ombre
a che ora fa giorno?
Quando potrò schiudere i petali
alla luce e respirare nella clorofilla della follia?

Lasciatemi ora, lasciatemi riposare
in un sonno rigenerante di vigore e di quiete:
all’alba sorgerò per dissodare il mio terreno.

* * *

Forse è nel silenzio che si ascolta
la musica più sublime
in quel vuoto che avvolge
tra la sospensione ansante del respiro
e l’attimo incerto sul bordo del destino.

Nell’apparente conclusione di un percorso
si sfiorano i sentieri del domani.

* * *

Mi sono sempre chiesta dove vanno le nuvole
a chi porteranno l’acqua della loro pioggia.

Non ci sono orme
nessuno che calpesti questa terra umida
eppure sento un sorriso avvicinarsi
l’abbraccio invisibile della luce a trafiggere il buio.

* * *

Mi sono sempre chiesta dove vanno le nuvole
a chi porteranno l’acqua della loro pioggia.

Non ci sono orme
nessuno che calpesti questa terra umida
eppure sento un sorriso avvicinarsi
l’abbraccio invisibile della luce a trafiggere il buio.

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Il paradosso del cerchio

È bello il cerchio
perché non finisce mai
perché ogni punto sulla circonferenza
è equidistante dal centro
perché è tondo come il ventre
pregno di una madre.

S’è fatto mare il pensiero
e m’ha immersa nel sogno

nella sua frescura mi piace restare

non la voglio l’afa del vero
quel suo essere pietra dura
mi scheggia il dolore

ma c’è luce alla finestra
m’acceca
e la sveglia continua a suonare
la monotonia dell’apparenza.

* * *

Te lo ricordi
il caffè alle quattro di mattina
quando il buio ancora penetrava nelle ossa?
Qualche straccio addosso,
il vecchio cappotto nero e uno scialle intorno alla testa
per affrontare il freddo
e poi, tu e papà
lungo via del Tritone a camminare silenziosi
fianco a fianco
con la testa bassa e il sonno negli occhi
l’ufficio sempre lo stesso
le stesse cose da pulire
con le ginocchia sul parquet lucido
e le mani sante nelle latrine
io invece ancora a casa
con i libri sulle ginocchia
e poi a scuola
a lavare lo straccio sporco di miseria.

* * *

Eppure c’è un sentiero
che porta in alto
in quel luogo di sole
dove l’ombra è amica

un luogo piccino
che affaccenda il respiro
e il riposo saluta
come farebbe un amico

e questa chiave
che giace a terra sconsolata
sa che non ci sono serrature
in quella porta

il varco è aperto
e attende
attende il passo
lentamente sorridere
perché giocano i bambini
e loro non hanno segreti

e nulla è chiuso.

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Cinzia Marulli è nata a Roma il 6 marzo 1965 dove tuttora risiede.
Ha studiato all’università La sapienza di Roma sino-indologia e sta traducendo alcuni tra i principali poeti cinesi contemporanei e in particolare i poeti brumosi (Bei Dao, Mang Ke ecc..)
È curatrice della collezione di quaderni di poesia Le gemme (Ed. Progetto Cultura) e ha pubblicato note critiche su varie riviste di settore (La mosca, Atelier, I fiori del male ecc…)
Ha realizzato progetti di videoarte in collaborazione con il Gatestudio Records (www.gatestudio.eu).
E’ promotrice culturale e cura rassegne di poesia.
Le sue poesie sono state tradotte in cinese, greco, inglese e spagnolo e pubblicate in Cina, Bolivia, Colombia, Ecuador, Messico e Spagna.
Ha partecipato a vari festival internazionali di poesia all’estero.
Ha pubblicato la raccolta di poesia Agave (LietoColle 2011) con l’introduzione di Maria Grazia Calandrone e nota critica di Plinio e, nel 2013, il quaderno di poesia Las Mantas de Dios-Le coperte di Dio (Ed. Progetto Cultura) in versione bilingue italiano- spagnolo con traduzione del Prof. Emilio Coco e introduzione di Mario Meléndez.

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