Nicola Bultrini

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Nicola Bultrini, nella foto di Dino Ignani

AUTORITRATTO
Da un’idea di Luigia Sorrentino
A cura di Fabrizio Fantoni

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Faccio tante cose, a volte troppe, penso, ma non so stare fermo mai e non mi piace sprecare il tempo. Mi stanco raramente e anche quando mi rilasso, la mia mente è comunque in continuo movimento. Non se sia una virtù o meno, non mi interessa, io sono nato così e così sto bene. Mi piace moltissimo la musica, certamente la leggera, ma adoro il jazz (sono un imperdonabile strimpellatore di sassofono). Ancora sogno con Star Wars e non me ne vergogno affatto (e per inciso, mi piace moltissimo giocare, giocare davvero).

Mi affascina la storia e ho pubblicato diversi libri, prevalentemente dedicati alla prima guerra mondiale. In particolare mi interessa la memoria dei “protagonisti anonimi”. Così, per Nordpress Edizioni ho pubblicato vari saggi, tra cui: La grande guerra nel cinema (2008 – prefazione di Mario Monicelli); Pianto di pietra – la grande guerra di Giuseppe Ungaretti (2007 – prefazione di Andrea Zanzotto); Adrian – la storia e il mito dell’elmetto della Grande Guerra (2006); Gli Ultimi – i sopravvissuti ancora in vita raccontano la Grande Guerra (2005); L’ultimo fante – la Grande Guerra sul Carso nelle memorie di Carlo Orelli (2004).

Ma prima di tutto, la poesia. Già, la poesia, che ho cominciato a scrivere ai tempi del liceo. Per la verità scrivevo testi per canzoni per amici musicisti, oppure riscrivevo a modo mio i testi di melodie che ascoltavo e mi piacevano. Poi c’è stata l’università, giurisprudenza. Nessuno dei miei amici leggeva o era minimamente interessato alla poesia. Così ho cominciato a leggere avidamente, da solo e senza criterio. Prima ho saccheggiato la biblioteca di famiglia (in cui la poesia appariva “a caso”), poi ho cominciato ad acquistare libri. Ma essendo sempre senza quattrini attingevo da bancarelle o librerie dell’usato, piegando la scelta a quello che trovavo. Ma ho letto tanto, sempre portando nella borsa con me un libro. Ho un’immagine di me che tra una lezione e l’altra di Sabino Cassese, leggo Antonio Porta e Garcia Lorca. E leggevo voracemente la rivista Poesia (Crocetti Editore), di cui conservo gelosamente tutti numeri (fin dal numero 0) e che considero sia stata per me una vera “palestra”.

La scrittura consapevole è quindi emersa dopo aver tanto letto (tralascio i tentativi dell’infanzia, credo comuni ai più). Ma a quel tempo il mio incontro era con la materia grezza, le parole, le immagini, i suoni, i colori, anche gli odori, tutto mi suggestionava a vista. Così finivo per riempire taccuini e taccuini di testi. Nessuno di quei testi è stato mai pubblicato, ma li conservo ancora tutti gelosamente. Sento che quei quadernetti costituiscono uno scrigno importante. Poi si è fatta strada l’idea che oltre all’entusiasmo, all’energia, l’arte sia anche e soprattutto lavoro.

E con una buona dose di giovanile incoscienza, ho cominciato a far leggere i miei testi ai poeti Maestri. Di alcuni di loro oggi posso dirmi addirittura amico, la vita è una sorpresa! La fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 sono stati per me gli anni dell’apprendistato. Un lavoro paziente, silenzioso, a volte accompagnato dalla guida dei “grandi”. Ricordo ancora con enorme affetto e riconoscenza, i pomeriggi a casa di Franco Loi che con la matita, interveniva sulle mie prime prove. Le regole severe di quell’esercizio, le osservo ancora oggi. E siccome credo che la poesia sia una forma di ascesi, per chi la scrive, la regola principe sta nel mettere a nudo un nervo autentico. A quel tempo non c’erano le email e per far leggere qualcosa a qualcuno dovevi fare le fotocopie. Quante ne ho fatte girare!

Poi, pian piano sono arrivate le pubblicazioni. Prima la gavetta delle riviste (tra cui “Poesia”, “Nuovi Argomenti”, “Galleria”). Ho vinto il Premio Montale, sezione “Inediti”, edizione 2002. E finalmente ho pubblicato quella che considero la mia prima vera raccolta Occidente della sera, nell’VIII° Quaderno Italiano di Poesia Contemporanea (Marcos y Marcos, 2004), con prefazione di Claudio Damiani. Seguono I fatti salienti (Nordpress, 2007), con prefazione di Davide Rondoni, La coda dell’occhio (Marietti, 2011), e La specie dominante (Aragno 2014), prefazione di Franco Loi. Infine, sono presente nell’antologia Sulla scia dei piovaschi – poeti italiani tra due millenni (Archinto, 2015).

Negli anni i miei versi hanno assunto un dettato sempre più diretto, schietto. Ma c’è sempre una matrice profonda, che è la memoria. Dove però non c’è nostalgia o rimpianto, ma consapevolezza del vissuto, che è parte imprescindibile di noi e componente fondante del nostro destino. Potrei definire la mia una poesia di sguardo e di pensiero, se ogni cosa che vedo mi riporta una voce. È certamente una poesia radicalmente legata alla realtà, ma credo che nell’arte (quindi a maggior ragione nella poesia) sia sempre presente una fortissima componente di spiritualità. Anzi, credo proprio che nell’arte (che a mio avviso è sempre una forma di ascesi) la spiritualità sia essenziale. Se questo è vero per la musica, la pittura, eccetera, ancor più è vero per la poesia. Naturalmente penso ad una poesia in cui il poeta si spoglia completamente, si espone alla furia degli elementi, attraversa la gioia e il dolore, abbandonandosi al senso del mistero che permea la nostra esistenza. Va da sé che in questa mia idea non trova alcuno spazio l’ideologia. Mentre la poesia nella vita dell’uomo educa alla bellezza, riscatta dall’oblio, rivendica la vita.

Non sono un maratoneta della scrittura, piuttosto un passeggiatore (passeggiare, preferibilmente in montagna, è una cosa che adoro). Non scrivo moltissimo, un mio libro si forma nell’arco di almeno tre o quattro anni. Anni di silenzio (raramente pubblico inediti), in cui accumulo appunti, foglietti sparsi, contenenti, frasi, strofe, o anche solo singole parole. Poi, improvvisamente, questi elementi cominciano a raggrumarsi, si associano quasi spontaneamente e si rivela a me una scrittura imprevedibile, un’epifania. Quello è un momento straordinario che mi affascina e mi coinvolge e mi sorprende ogni volta di più.

Così è per il libro su cui ora sto lavorando, con una severissima selezione dei testi (i miei libri sono sempre piuttosto esili, essenziali) e rifinitura delle parole.
Nel frattempo ho in cantiere (nel senso che sono già quasi terminati) una Graphic Novel sulla poesia (miei i testi e il soggetto, la grafica è di Mauro Cicarè) e uno studio sull’arte e in particolare la poesia nei lager (con particolare attenzione alla Divina Commedia). Nel cassetto ho ovviamente tanti altri progetti che non so se e come vedranno mai la luce, ma è stimolante anche solo saperli lì, in attesa.

Intanto ho curato con mia moglie Chiara alcune traduzioni di poeti iraniani contemporanei, che sono state pubblicate su “Poesia” e “Testo a fronte”, alcuni racconti sono stati pubblicati su “Il Racconto” e scrivo da anni per il quotidiano “Il Tempo” e saltuariamente per “L’Avvenire” e “Poesia”.
Infine, da anni organizzo e animo numerosi eventi culturali, tra cui mi piace citare gli attuali (vanno avanti già da diversi anni ormai) “VIVA – una rivista in carne ed ossa” (con Claudio Damiani, Stas’ Gawronski e Pino Salvatori) e “VERSI DI NOTE” – jazz e poesia all’ospedale Gemelli di Roma (con Luisa Mazza).

Dimenticavo, sono nato nel 1965 a Civitanova Marche, cui sono legatissimo (e rivendico con orgoglio le mie origini marchigiane), ma da 47 anni vivo a Roma. Sono sposato e ho due figli. A proposito, ho anche un lavoro, faccio l’avvocato.

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