Giuseppe Conte

giuseppe-conte

 

AUTORITRATTO

Da un’idea di Luigia Sorrentino
A cura di Fabrizio Fantoni

Qualche anno fa, incontrai per la prima volta Umberto Eco di persona, dopo averlo tanto letto e discusso sui libri. Mi prese a braccetto e mi disse, con la sua proverbiale ironia, che per me aveva anche un familiare retroterra piemontese: “Ma tu Conte, che hai scritto un libro come La metafora barocca, com’è che ti sei ridotto così?”. Risposi che era per il mio folle amore per la poesia. E in effetti è per la mia fede nella missione della poesia che mi sento tutt’ora esiliato, insultato, vilipeso dalla società. Come un arabo capitato in un quartiere di razzisti.

In India, a Pondichéry, tenevo una lezione a dei ragazzini di una scuola media: uno, bianco, biondo, figlio di italiani della vicina Auroville, stupito dalla mia affermazione che amavo la poesia più di ogni altra cosa, mi chiese: “Più della sua famiglia?”. Sì, risposi.

Allora, amici, che maledizione rappresenta per me questa poesia alla quale ho sacrificato tutto, carriera , affetti, e mi sono “ridotto così?”. Rappresenta una angoscia del vivere che vuole uscire da se stessa, una ferita iniziale che spinge a domande continue sul linguaggio e l’universo, a varcare, nel linguaggio, i confini del conoscibile, a vedere l’invisibile, a confrontarsi con il continuo metamorfico mistero delle cose. Il gusto peccaminoso ma quasi divino di creare ex nihilo sui et subiecti, Un processo alchemico che trasforma il dolore in una forma, che ha in sé armonia e dà gioia.
Amando la poesia, ho amato la conoscenza e la energia creante. Il mito, la natura. L’eros, di cui la poesia è madre e figlia insieme.

Amo la letteratura, la tradizione, le biblioteche, i dizionari, i simboli, le etimologie. Ma non sono un uomo libresco. Amo la vita nel suo scorrere, i viaggi, la finzione del teatro e del cinema, i caffè più dei Musei, le cattedrali e le moschee più dei centri commerciali e delle banche, lo splendore delle albe, le nuvole in volo e gli aerei che gli passano sopra, la meraviglia di un sorriso, tutti i piaceri della carne. E il vino, e chi mi racconta oscenità, purché allegre. Amo il jazz, credo che ci sia uno swing che bisogna percepire nella quotidianità del vivere. Amo la lotta , avere un ideale politico:un tempo desideravo ardentemente la caduta della civiltà prometeica , del dominio della tecnica e dell’industria. Oggi desidero ardentemente la caduta del primato dell’economia e del potere della finanza globale, che inquina la terra , i mari e l’anima umana. Amo la vera democrazia, carnale, fraterna, quella di Walt Whitman.

Sono un uomo di poche certezze. E anche di poche ossessioni: due mi inseguono da quando ero un bambino, nella mia cittadina alta sul Mar Ligure, dominata da una cattedrale immensa e dal vento: il sesso, e Dio.

Ho avuto una infanzia piena di giochi , di amici, di affetti, di libri d’avventura , e di angosce improvvise e senza perché . Una adolescenza torbida, passata a sognare e a leggere classici. Intorno ai vent’anni, ebbi un esaurimento nervoso, vissi imbottito di Librium e di Niamid. Mi trasferii a Milano, poi a Torino. Poi tornai a vivere in Liguria. Dei suoi poeti, amai subito Sbarbaro, Mario Novaro e Montale. Elessi a maestro D.H.Lawrence. Abbandonai l’insegnamento , mi riproposi di vivere soltanto scrivendo (e leggendo, viaggiando,amando, beninteso).

Dagli anni Settanta, la mia storia è quella dei miei libri. In versi e in prosa, uniti da una stessa visione del mondo. Una visione al cui centro ci sono la riscoperta del mito, una idea panteistica di natura, l’eros, l’anima, il destino, il rapporto della nostra civiltà con le altre, e con l’Islam in particolare.

Mi sento straniero in una Italia da cui non ho avuto nulla. Ho abitato per quindici anni a Nizza, ho fatto lunghi soggiorni in Bretagna e a Bordeaux, a Parigi ho parlato al Beaubourg, al teatro dell’Odéon, al Collège de France. Legato da empatia alla controcultura californiana, ho l’introduzione di una esponente storica della Beat Generation all’edizione americana di un mio libro.

Sin dagli anni novanta, da pioniere, ho tentato di portare in nuove forme la poesia in RAI, anche se nessuno vuole ricordarlo.

Non mi piacciono i bilanci, e non ne faccio. Chi vuole leggere le mie poesie le trova oggi raccolte in un Oscar Mondadori. I miei romanzi attendono di essere ristampati, e ne progetto di nuovi da pubblicare. I miei articoli escono su un giornale di Genova e uno di Milano. Ho un blog sul mio sito www.giuseppeconte.eu, il Diario di Didimo Chierico.
Continuo a viaggiare, ultimi spostamenti in California, in Russia, in India, in Ungheria. In Francia continuo ad avere incontri superlativi, come quello con gli Amici di Giono a Manosque e quello festoso con la nipote di Valéry, durante una lettura a Sète.

Al mattino, faccio spesso colazione in un caffè in riva al mare, e intanto penso a quello che ho ancora da scrivere, e guardo , del mare, il movimento continuo e la luce infinitamente mutevole.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *