Intervista a Franco Buffoni, “Avrei fatto la fine di Turing”

Franco BuffoniIntervista di Luigia Sorrentino a Franco Buffoni (Nella foto di Dino Ignani)

“Avrei fatto la fine di Turing” (Donzelli, 2015) arriva poco dopo l’uscita di “Jucci” (Mondadori, 2014) vincitore prima del Premio Poesia città di Fiumicino, del  Premio Viareggio-Repaci per la Poesia e poi del Premio Castello di Villalta per la Poesia nel 2015.  La narrazione di Franco Buffoni si concentra sull’elemento della genitorialità vissuta con estrema difficoltà dal punto di vista famigliare e sociale.  In questo libro il lettore si troverà di fronte a una condizione umana privata che aggancia contemporaneità e memoria diventando testimonianza.

Cominciamo ad analizzare questo libro partendo dalla poesia collocata in apertura, una sorta di prologo che anticipa un racconto in versi, scritta per “placare” Monaldo, il padre di Giacomo Leopardi. Perché proprio Monaldo?

“Perché Monaldo è il prototipo del padre autoritario che desidera il bene del proprio figlio; ma si tratta di un ‘bene’ di cui non si può discutere. E’ assoluto: prendere o lasciare. Dunque occorre fingere e poi fuggire, come fa contino Giacomo.”

Poi arriva il personaggio che dà il titolo al libro: Alan Turing,  nato a Londra nel 1912 e morto nel 1954 , uno dei padri dell’informatica e fra i più grandi matematici del XX secolo. La storia dice che Turing, nel 1952, arrestato e condannato per omosessualità, fu sottoposto a castrazione chimica. La depressione legata al trattamento e all’umiliazione subita, lo spinse al suicidio. In che modo Turing salva la vita al suo protagonista?

“Quando Turing si suicidò nel 1954 sedeva già sul trono d’Inghilterra l’attuale regina e io avevo sei anni, ero in prima elementare con una anziana maestra fascista, figlio di due genitori educati dal cattolicesimo nel fascismo e dal fascismo nel cattolicesimo. Turing non mi salvò la vita allora. Come avrebbe potuto? Me la salva però oggi, continuando idealmente a darmi la forza di lottare nell’unico modo che mi sia congeniale: producendo arte.”

Cosa le sarebbe accaduto se da adolescente avesse fatto coming out con un padre Ufficiale dell’Esercito Italiano?

Mi avrebbe fatto ‘curare’, sicuramente. E allora la cura consisteva in elettroshock atti a produrre coma insulinici. Inoltre a quell’epoca si diventava maggiorenni a 21 anni. Dunque capii che dovevo mettere in atto la massima di Cartesio “Bene vixit qui bene latuit” (Bene visse colui che si nascose). Il silenzio, l’astuzia, e poi appena te lo puoi permettere: la vendetta, sotto forma di arte e di militanza.”

Subito dopo aver introdotto la memoria di Turing, lei conduce il lettore a una riflessione su fatti più recenti e ci racconta dello scrittore, drammaturgo, intellettuale antifascista e partigiano, Aldo Braibanti. Negli anni Sessanta Braibanti si lega a Giovanni Sanfratello, un ragazzo molto più giovane di lui, di 23 anni, proveniente da una famiglia fascista e cattolica. Braibanti è, in assoluto, il primo omosessuale condannato in Italia per “plagio” a nove anni di carcere. Un reato inserito nel 1942, in piena epoca fascista, nel Codice Rocco, reato che, dal  punto di vista formale, non intende punire l’omosessualità in quanto tale, ma che di fatto  la punisce,  proprio attraverso “il plagio”…

“E quando Giovanni Sanfratello (che aveva 4 anni più di me) venne rapito dai famigliari, caricato a forza su un’auto e portato in una clinica per malattie psichiatriche (dove venne “curato” e ridotto allo stato vegetale) io avevo 16 anni. Il processo Braibanti me lo ricordo bene. Insieme all’assassinio di Pasolini ebbe in Italia la stessa funzione che in Francia ebbe il colpo di pistola Verlaine/Rimbaud, che in Germania ebbe l’affaire Krupp, che in Spagna ebbe l’assassinio di Lorca. Noi sempre in ritardo, anche nelle situazioni catartiche.”

Buffoni negli anni Sessanta lei aveva meno di vent’anni. Come ricorda quei fatti, e quanto condizionarono la sua vita?

Appunto capii che dovevo mimetizzarmi: fu un’operazione talmente indotta che quasi non me ne resi conto negli anni dell’adolescenza. D’altro canto se nasci in un contesto catto-fascista ti sembra che quello sia il mondo, che non ce ne sia un altro. Poi, piano piano, grazie ai libri agli studi alle biblioteche, scopri che non è così. E allora cominci ad armarti, a difenderti. Sempre di più, sempre di più. Non ho più smesso.”

Qual è il collegamento poetico-narrativo tra la vita del padre del giovane Sanfratello e il padre del suo protagonista?

E’ un collegamento ideale: si tratta di padri borghesi che hanno mezzi economici e amano i propri figli, se ne fanno carico e vogliono difenderli. Ma non possono ammettere che il mondo possa essere “altro” rispetto a quello da loro concepito.”

La condanna di Aldo Braibanti suscitò ampia eco in tutta Italia. A favore di Braibanti si mobilitarono intellettuali e scrittori, Alberto Moravia, Umberto Eco, Pier Paolo Pasolini e numerosi altri uomini di cultura. Il processo fu definito “di natura politica”. Perché lei ha deciso di raccontare questa storia proprio oggi? Che cosa è necessario far sapere ai giovani nella contemporaneità?

“E’ necessario far sapere loro che i diritti e le libertà non sono mai acquisiti una volta per tutte, che occorre sempre stare in guardia, che il catto-fascio-leghismo sempre rinnovantesi è in agguato. Non ci si può distrarre.”

Nel suo libro entra poi Vittorio Sereni. Qual è la relazione tra il suo vero padre e Vittorio Sereni, quello che sembra essere il suo padre poetico?

In effetti è proprio così: le loro biografie sono perfettamente sovrapponibili: Sereni nacque nel 1913, mio padre nel 14, Sereni morì nel 1983, mio padre nell’80. Entrambi ufficiali dell’Esercito Italiano, entrambi prigionieri dal 43 al 45 (mio padre in Germania, Sereni nel Maghreb). Entrambi autorevoli e anche un po’ autoritari; uomini che indossavano camicia bianca e cravatta anche per andare allo stadio, e pantaloni con la piega… Tanto è vero che in alcuni testi poetici le due figure mi si sovrappongono.” Come in questi:

Virilità anni cinquanta

La bottega del barbiere di domenica mattina
Camicie bianche colletti barbe dure
Fumo. E quelle dita spesse
Quei colpi di tosse quei fegati
All’amaro 18 Isolabella
Al pomeriggio sulla Varesina nello stadio
Con le bestemmie gli urli le fidejussioni
Pronte per domani, lo spintone all’arbitro all’uscita
La cassiera del bar prima di cena.

* * *

Vittorio Sereni ballava benissimo

Vittorio Sereni ballava benissimo
Con sua moglie e non solo.
Era una questione di nodo alla cravatta
E di piega data al pantalone,
Perché quella era l’educazione
Dell’ufficiale di fanteria,
Autorevole e all’occorrenza duro
In famiglia e sul lavoro,
Coi sottoposti da proteggere
E l’obbedienza da ricevere
Assoluta: “E’ un ordine!”,
Riconoscendo i pari con cui stabilire
Rapporti di alleanza o assidua
Belligeranza.
Ordinando per collane la propria libreria.

* * *

Non con la ragione

Non con la ragione, ma con quella
Che in termini di religione militante
E’ la testimonianza: ti dico
Tornerai a San Siro,
Sotto vetro la cravatta a strisce nere
Sul triangolo bianco del colletto
Come nella fotografia del cimitero.

(da: “Avrei fatto la fine di Turing”, Donzelli 2015)

avrei_fatto_la_fine_di_turingLa sua poesia ha un io lirico autobiografico molto concentrato su temi civili : la ricerca, il riconoscimento e l’affermazione della propria identità. “Jucci”, un libro molto importante nella sua produzione poetica, come si collega a “Avrei fatto la fine di Turing” ?

Jucci mi permise di capire più velocemente e fino in fondo la situazione in cui mi trovavo. Lo racconto nel mio nuovo docu-fiction IL RACCONTO DELLO SGUARDO ACCESO (Marcos y Marcos 2016). Perché Jucci, all’inizio del nostro rapporto, mi infuse persino il coraggio di smettere di studiare diritto economia e matematica. Materie che all considered non mi dispiacevano. Riuscivo anche discretamente. Quella, diciamo, era la vita col suo grigio.
Jucci mi fece intravedere la possibilità di vivere una vita a colori smaglianti studiando le lingue e le letterature. E aveva ragione. Dopo più di quattro decenni, per me applicarmi ad esse è ancora e solo fonte di gioia, di vacanza, di fuga dal dovere.
Certo: questo fu anche un modo per tenermi legato. Studiavamo assieme e lei era la maestra.
E qui scatta l’analogia che oggi sono in grado di cogliere razionalmente e che allora misi in atto istintivamente. Quella scelta di studio – e dunque di vita e di lavoro – mi fece capire che potevo osare sempre. Sempre cercando di passare dal grigio ai colori.
Fare sesso con le donne non era una brutta cosa. Era la vita col suo grigio. Ma potevo avere i colori…
Quindi, paradossalmente, proprio il meccanismo che pose Jucci al centro della mia vita, fu lo stesso che mi sottrasse a lei.”

Le ultime sette sezioni di “Avrei fatto la fine di Turing“, sono un canto d’amore, profondamente lirico, dedicato alla madre. Questo fa pensare che il rapporto del suo protagonista con la madre è stato diverso da quello vissuto con il padre. E’ così?

“Certamente, e per più ragioni. Anzitutto quella anagrafica: mia madre fu sposata per 33 anni con mio padre, poi lui morì e lei che era più giovane di 9 anni visse per altri 30 anni appoggiandosi sempre di più a me. Io fui sempre protettivo nei confronti di mia madre, come per altro lei fu con me. Ma la sua educazione di fondo (pur nell’estrema bontà e mitezza) era pur sempre catto-fascista. L’amore certo vinceva su tutto, ma mia madre non riuscì mai a fare lo scatto razionale dell’affrancamento dall’eduzione ricevuta. Comunque questi sono i versi che le dedico alla fine del libro.”


Perché io che per te da bambino

Perché io che per te da bambino
Un piccolo dio ero stato
E crescendo Cristo-Mercurio
Con te Venere-Maria,
Poi divenni il tuo
Padre e marito
Pur restandoti figlio,
Nella nostra costellazione famigliare
Per trent’anni al sole giocando
Sorgente
Con te luna calante.

Con “Avrei fatto la fine di Turing” lei fa riflettere anche sulla drammatica sorte di Luisa Ferida, una delle più note attrici del cinema italiano nel decennio 1935-1945. E’ noto che la Ferida aderì al fascismo e poi, accusata di collaborazionismo, venne fucilata dai partigiani con il marito, l’attore Osvaldo Valenti.
Perché la madre del suo protagonista la nomina? Qual è la relazione fra queste due donne?

buffoni_covee_lo_sguardoC’era una negoziante nei pressi della casa di mia madre che si chiamava Luisa. E mia madre diceva “Vado dalla Luisa Ferida a provarmi una gonna”. Così, quelle cose cretine del lessico famigliare. Poi certo, erano state coetanee, la fine violenta nobilitò l’attrice; mia madre per altro aveva assistito – come racconto nel mio precedente docu-fiction La casa di via Palestro (Marcos y Marcos 2014) – a un massacro di partigiani da parte dei fascisti. Qui è il contrario: si tratta di due fascisti uccisi da partigiani. Mia madre raccontava tutto con la stessa intonazione nella voce: pietà e fatalismo. Nessuna presa di coscienza politica. Solo misericordia.”

La poesia conclusiva del libro che abbiamo riportato per intero, riflette molto la condizione attuale del protagonista. C’è come una presa di coscienza… ed è come se attraverso un movimento circolare, questo io, cioè Franco Buffoni, chiudesse il cerchio per diventare Padre e Madre per mettere la parola “fine” all’era della genitorialità…

Sì, è come se all’inizio del libro uscissi dal padre e alla fine rientrassi nella madre, purificato, però, pronto a continuare nel mondo dopo aver ucciso la genitorialità, dopo essermi liberato. Anche dell’amore, stavo per scrivere. Ma so che in fondo così non è. Come non lo è stato con Jucci.”

Prima di termionare l’intervista, è necessario un accenno al libro appena uscito: “Il racconto dello sguardo atteso” (Marcos y Marcos, 2016).
Qui, però, siamo di fronte a una narrazione vera e propria.
Perché ha scelto questo titolo?

“E’ un libro dove si parla di sesso e di politica, di letteratura poesia e amore: tutti i miei temi, insomma, in una sequenza di 14 racconti dai titoli semplici, espliciti.”

I Parte

1 Il racconto dello sguardo acceso

2 Il racconto del sesso e dei mali

3 Il racconto della poesia

4 Il racconto della traduzione

5 Il racconto del tomboy

6 Il racconto dei treni

7 Il racconto di segni e segnali

II Parte

8 Il racconto di Pasolini

9 Il racconto della giustizia

10 Il racconto della politica

11 Il racconto di date e guerra

12 Il racconto della Svizzera

13 Il racconto di Babel

14 Il racconto dell’Europa

 

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