Lucio Piccolo, “Gioco a nascondere”

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Gioacchino Lanza Tomasi, Lucio Piccolo e suo cugino Giuseppe Tomasi di LampedusaFu

di Luigia Sorrentino

 

Eugenio Montale, com’è noto, fu il primo poeta a comprendere l’immenso valore della poesia di Lucio Piccolo di Calanovella.

Luigia Sorrentino legge da: “Gioco a nascondere” di Lucio Piccolo

Nella lettera che accompagnava la raccolta privata contenente 9 liriche, scritta da Piccolo (o, secondo altri, vergata a mano dal cugino, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, allora totalmente sconosciuto perché non aveva ancora pubblicato il suo capolavoro, “Il Gattopardo” – pubblicato postumo, nel 1958 – con il quale vinse il Premio Strega), l’autore dei “Canti barocchi” insisteva nell’affermare di voler “rievocare” nella sua poesia, “e fissare il mondo siciliano, anzi più precisamente palermitano, che si trova adesso sulla soglia della propria scomparsa senza avere avuto la ventura di essere fermato da un’espressione d’arte.”

Piccolo sottolineò nella lettera un’intenzione precisa e al tempo stesso, fuorviante: quella di voler “parlare di quel mondo di chiese barocche, di vecchi conventi, di anime adeguate a questi luoghi, qui trascorse senza lasciare traccia.”

Ma se questa era l’intenzione del poeta, il risultato della sua poesia, com’ è stato riconosciuto dalla critica, va ben oltre la terra della Sicilia, essendo egli un uomo profondamente colto. Aveva trascorso gran parte della sua esistenza a Capo d’Orlando a leggere in lingua originale, i più grandi poeti del mondo: Rilke, Yeats, Keats, Hölderlin e molti altri, oltre allo stesso Montale, naturalmente, al quale si rivolgeva.

Il canto di Lucio Piccolo che ha scelto di leggere Luigia Sorrentino, è tratto dalla raccolta “Gioco a nascondere” pubblicata nel 1960. In questo poema si nota la maggiore libertà formale del poeta, vissuto nella sua casa, quasi nascosto dal mondo, e rivelato solo dalla poesia che legge e che poi scrive. Una poesia qui, libera da ogni forma di rima, e intimamente legata al luogo dell’infanzia del poeta: la casa di Capo d’Orlando dove tutto è rimasto immobile, polveroso, come “le gonne appese nel sonno di canfora” a cui non è concesso più il corpo “che le fa increspare”.

Eppure Piccolo trova, nonostante l’assenza di tutto il mondo antico, nella sua casa “un senso familiare di oltre il limite”, un’emozione fissata indelebilmente nello spazio e nel tempo, che svela e riflette, ciò che fummo, ciò che saremo. E’ una poesia che viene da un mondo che sente, che vede, e che dialoga con i morti – quelli che non ci sono più – che convergono negli occhi di un vuoto in cui brucia ancora una “dolce lampada sul promontorio”.

Qui potete leggere, vedere, ascoltare, tutto ciò che riguarda la storia e la vita di uno dei più grandi poeti del Novecento: Lucio Piccolo.

www.fondazionepiccolo.it

 

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