Paolo Febbraro, “Fuori per l’inverno”

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Molti i temi e le soluzioni formali: le cinque sezioni affrontano la Storia, la Natura e l’Io nelle loro varie forme, evocando personaggi e miti del passato o affrontando decisamente il qui e ora.

Febbraro convoca più aspetti del mondo sulla propria pagina sonora e spesso tagliente, spaziando fra il monologo narrativo, la nuda scena e l’elegia, ma sempre riconducendo alla propria cifra stilistica personale, come un regista di teatro, le diverse figure che si presentano alla sua immaginazione.

Dalla quarta di copertina

I versi di Paolo Febbraro hanno da sempre un timbro ben riconoscibile, un elemento costruttivo razionale, un recitativo che si afferma nella forte suggestione ritmica dei suoi accenti. La sua è una vocazione teatrale, in qualche caso romanzesca, che contrastano con gli ideali che attraversano le poetiche del secolo scorso, che miravano a investire liricamente la realtà, o a fondarla nella parola.
PAOLO FEBBRAROFuori per l’inverno è il libro della sua piena maturità. Vasto e articolato, spazia dal rapporto con i classici al mondo della natura, dai suggerimenti della memoria ai fantasmi della storia presente. Febbraro guarda al reale con una limpidezza che affronta anche l’orrore e il pericolo, laicamente. Il suo stile gestuale è per lui una seconda natura, che sa reggere la forma e scatenare nell’intimo la luce della comprensione. Tragico e umoristico, la sua composta oltranza lo iscrive di diritto alla schiera di quegli scrittori “fantastici” che nel verso hanno trovato le profonde radici delle più sensate verità.

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Dalla sezione: Previsioni del tempo

Dice il rettile

La libellula è una lucertola alata
che non si spiega sulla roccia
ma fugge gli anfratti, rade il sole
ferma nell’equilibrio.
La libellula è una lucertola
priva della parete, rettile d’aria
ma retrocessa a insetto,
alta e impossibile
ma preda.

Suite dell’agosto irlandese

1.

“Non tentare con me” dice l’oceano
alla vena d’acqua che per la spiaggia
si dissimula e gli si infligge.
“Rossa di torba e minerale,
non concepisci l’immensità del sale.
ho qui scavato ad arco
una baia in cui non sembro, e lento
rilascio la mia forza. Guàrdati
nell’alga, che ora la sabbia calpesta
e raro il sole disfa. Dunque
non metterti in acqua, non
tentare con me”. E’ il ruscello
che mormora nel sotterfugio
diversamente tenta, e tenta.

2.

Scavate nelle siepi le strade
qui sventano la bellezza,
sprecano meraviglie e mi risparmiano.
La baia è quanto del mare
riesco a concepire.
L’oceano mi lambisce, e solo
di notte in sogno mi viene contro,
immagina i miei peccati.

Al mattino starà a me
farmi golfo, cedimento, più spaziosa
chiusura.

3.

Hog’s Head è perduto, a sud
risiste a stento Horse Island,
al largo di Saint Finan
lo Skellig, pietra e navigante,
si disabilita anche della vista.

E’ nebbia. Assale i fianchi della costa,
salta sul treno del vento,
lo frena alla propria stazione.

Come una rieducazione:
non mareggiate o lamenti,
ma un autunno a scomparsa.
Dichiarazione di resa
e fine di un agosto,
prima dei tormenti.

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Paolo Febbraro Fuori per l’inverno (nottetempo, 2014)
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Paolo Febbraro (1965) vive a Dublino, ma per ragioni affettive e di lavoro trascorre circa trecento giorni l’anno a Roma. Poeta e saggista, ha pubblicato in poesia Disse la voce (1993), Il secondo fine (1999), Il diario di Kaspar Hauser (2003) e Il bene materiale (2008).

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