Maria Borio


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Maria Borio è nata a Perugia e si è laureata in lettere moderne. Ha scritto su Vittorio Sereni e Eugenio Montale e ha pubblicato la monografia “Satura”. Da Montale alla lirica contemporanea (2013). Sue poesie sono apparse sull’“Almanacco dello specchio” (Mondadori, 2009), su “Poesia” (Crocetti, 2012), sulle riviste “Atelier”, “L’Ulisse”, “Italian Poetry Review”, sul sito “Le parole e le cose”. Una silloge di testi è in uscita nel XII Quaderno italiano di poesia contemporanea a cura di Franco Buffoni (Marcos y Marcos).Svolge un dottorato di ricerca in letteratura italiana con una tesi sulla poesia italiana dell’ultimo quarto del Novecento. E’ redattrice di «Nuovi Argomenti».
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1)
Appena sopra le notizie io so nomi e persone
come era il labirinto dei vetri, al parco, degli specchi
finché sbattendo trovavi l’uscita.
Perché non ho l’uscita adesso –
si chiama rete,
taglia un quadrato
e un luogo che è ovunque.
 
O sono il bianco in fondo
al corridoio degli specchi,
inciso di diagonali e metallico
a terra, stretto intorno al corpo
con i neon che facevano indistinti
la pelle e l’aria come un’ombra trasparente
che segue ognuno, ma a voltarsi non c’è.
E lì il pezzo di vecchia moneta,
il cerchio di bronzo con il delfino
era caduto a terra
quando siamo stati vicini all’uscita,
e per non perderla l’abbiamo lasciato.
Lì, esattamente ho creduto
a una lingua per tutti
identica dall’aria agli specchi,
dall’inventore del labirinto alle nostre mani sudate
che proteggevano la fronte:
errore o deviazione,
ma era solidità
sbattere la fronte a volte
prima di arrivare.
E all’uscita del parco il maestro delle crepes,
la breccia in cerchio come la piattaforma scura
dove tiri e peschi
e perdi, e poi le scarpe da ginnastica
sulla breccia e il mese certo
.
mentre il tempo adesso è filiforme
e i sentimenti certi che tutti possono capire
e vedere nella sola infinita
rete – o, a volte, in equilibrio,
qualcuno che riporta la moneta.
2)
Una verità è riconoscersi.
Ai lati del telefono
nella rabbia per i dieci, venti, trenta anni
noi coetanei su quei dieci, venti, trenta anni
che sono oggi le tacche precise di un barometro.
La storia è maestra livello per livello –
fingere come amare
le forze migliori –
o una gioia che a volte ti coglie
quando trova anche me
schianta e salva.
3)
Passo ancora sulla tratta a nord est,
sopra il filo che separa dieci anni.
Non volevi parole, come ascoltassi
attraverso me la vita comune, non la mia.
Queste persone vorrei che le sentissi
mentre spandono senza pronuncia vera
e le voci che si gonfiano dentro la notte umida,
le sedie vuote che la raccolgono,
una vita che vedo solo io.
Solo io – in questo l’odio,
mentre dico e sdoppio –
tu fai boomerang sulla piazza.
Solo io. Vorrei che tornasse un po’ di mio
adesso a te.
4)
Cerco le tessere per il mosaico in cucina
bianche sulla vernice rossa,
farla sembrare pelle sopra ai muscoli,
la cucina grande e il pranzo sotto due icone.
Sono nelle immagini di una casa che infuria
mentre i volti intorno sbiadiscono
fanatici, alla cieca rientrano.
Sei sceso come portassi
una generazione al vero –
avere bene, avere lavoro, avere il proprio
soggetto che fa bene, fa lavoro, fa
l’amore con me che ti passo le tessere
bianche per la vernice sul muro,
il progetto che dici avrà valore
per i nipoti, avrà molta vita,
Maria, molta vita,
non è invisibile, non disperarla.
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