Johannes Bobrowski, Poesie

bobrowski
di Nadia Agustoni
Poeta intenso, da fare male, e di pochi luminosi libri Johannes Bobrowski, è qui tradotto in modo impeccabile da Davide Racca. “Poesie” raccoglie una serie di testi usciti nei volumi 1 e 2 dell’opera completa edita dalla Deutsche Verlagsanstalt in sei tomi, come dice una nota finale di questo smilzo libretto, il cui peso però si fa sentire.
Bobrowski ha combattuto durante la Seconda Guerra Mondiale nell’esercito tedesco sul fronte orientale e i paesi da lui allora attraversati rivivono nella sua poesia, che con un lirismo rinnovato si propone di rendere una sorta di giustizia della parola ai torti reali inflitti con la guerra ai popoli a est della Germania: “Il vecchio pallido/ nel caftano consunto./ I ricci alle tempie come un tempo. Aronne,/ allora conobbi la tua casa./ Portavi via la cenere nella scarpa.”
Un lirismo che sembra piegarsi sulle cose, toccarle per preservarle in una distanza. Ogni anelito al bene sembra sconfitto in partenza e le immagini s’innervano al suono della lingua e a un mai placato chiedere conto dei disastri, delle stragi. Bobrowski non pone domande direttamente, ma c’è sulla pagina un “perché” non pronunciato sapendo subito che una risposta non è possibile.
Nei versi, di una ricchezza singolarissima e di una perfezione formale che fa capire come il poeta abbia tenuto fede al suo proposito di “elevare il livello della poesia lirica” (p. 9) nel suo paese, rimane aperta infatti la questione cruciale che le guerre del XX secolo hanno lasciato in eredità a tutti: se un mondo viene a mancare e se l’uomo stesso viene meno, cosa ci aiuta a vivere?
(In Qui Libri maggio-giugno 2014 – N. 23)
___
Johannes Bobroski.
Traduzione di Davide Racca 
LETTISCHE LIEDER
Mein Vater der Habicht.
Großvater der Wolf.
Und der Ältervater der räubrische Fisch im Meer.
Ich, unbärtig, ein Narr,
an den Zäunen taumelnd,
mit schwarzen Händen
würgend ein Lamm um das Frühlicht. Ich,
der die Tiere schlug
statt des weißen
Herrn, ich folg auf zerspülten
Wegen dem Rasselzug,
durch der Zigeunerweiber
Blicke geh ich. Dann
am baltischen Ufer treff ich den Uexküll, den Herren.
Er geht unterm Mond.
Ihm redet die Finsternis nach.
[Anmerkung von J. Bobrowski
Ein Herr von Uexküll stand im 17. Jahrhundert wegen Ermordung eines seiner Knechte vor dem Rigaer Rat.]

 

CANTI LETTONI
Mio padre l’astore.
Progenitore il lupo.
E l’antenato il pesce predatore nel mare.
Io, sbarbato, un matto,
barcollante agli steccati,
con mani nere mentre
strangolo un agnello alle prime luci d’alba. Io,
che sferzai le bestie
invece del padrone
bianco, io seguii il corteo
sferragliante su slavati sentieri,
vado attraverso lo sguardo
delle zingare. Poi
sulla riva baltica incontro Uexküll, il padrone.
Lui incede sotto la luna.
Gli fa eco la tenebra.
[Nota di J. Bobrowski
Un nobile von Uexküll fu processato davanti al senato di Riga nel XVII secolo a causa dell’omicidio di un suo servo.]
___

Johannes Bobrowski, “Poesie” Di Felice Edizioni, 2013

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *