Anna Maria Farabbi, poesie

Letture
Anna Maria Farabbi

Nota
Le due opere, Abse (Il ponte del sale 2013) e leièmaria, (Lieto Colle 2013) sono intrecciate e innervate l’una nell’altra. Abse, pur composta da fondamenta poetiche, si irradia in vari registri di scrittura, coniugandosi con la prosa. leièmaria emerge da un piano narrativo, dentro cui sprofonda un bulbo poetico di cinque poesie.

Anche qui, come del resto in tutta la mia ricerca, la parola affonda nell’identità femminile, con prospettive dentro la mistica, l’interiorità, la denuncia civile, il diario di viaggio, il nodo nella relazione con un’altra creatura.
In entrambi i testi, l’uso della lingua si alterna ritmicamente con il dialetto sia in prosa che in poesia: il dialetto proveniente dalla zona di Montelovesco, località nei pressi di Perugia.

Anna Maria Farabbi

 

da Abse, Il Ponte del Sale, 2013

l’inedito

canto drento lpolmone
dua scoltono i morti

canto dentro il polmone
dove ascoltano i morti

oralità

ldialetto ldiceva lmi babbo e lmi babbo
ce lò ncorpo

si fò cadé la lengua nterra
m’esce

il dialetto lo diceva il mio babbo e il mio babbo
ce l’ho in corpo

se faccio cadere la lingua in terra
mi esce

diario di un sogno emorragico
da Gaza al resto del mondo

Le rose esplodono. Con la bambina in corsa
che le stringeva in pugno
portandole ridendo a sua madre.
Nel sogno la ricompongo. Piango.
Divoro i petali e l’intera primavera.
Il soldato mi chiede i documenti del mio pellegrinaggio:
vengo dal petto della madonna del latte
camminando il solstizio d’inverno l’età della pietra
e della mia natività. Passata presente e futura.
Vengo dalla cultura della madre
che soffia polline fosforico dentro il buio di ogni grotta
e riconosce uguali ebrei palestinesi preti di cristo
tu e io nessuno escluso. Il tempio
è il tempo: un’unica cosmica pancia dentro cui nevica.
O sono falde condensate di latte che scendono ora
coprendo per pietà il sangue
tra le rovine e i morti: il soldato mi spara.

Io sono la bimba o sono la rosa del rogo
nella striscia infernale di Gaza
durante questo eterno assassinio di massa:
in nome del padre del nonno del figlio
del profeta rabbino papa o patriarca
lanciando il sasso lo sparo la bomba atomica.
Io sono una piccola poesia femmina di voce o di carta
un palmo laico in offerta contro vento
contro il delirio dell’io del d/io
contro la cultura del lutto e del possesso.

diario di una pellegrina russa

nevica e il vento che ha il corpo di neve
strappa il petto dei lupi

la casa di Andrej Rubliëv è neve non si vede
non si leggono le scritture dei piedi e delle mani
che attraversano la neve
né l’oro ustionato delle icone
l’io è bianco

mi devo concentrare ostinatamente
sulla primavera che avranno i semi

diario di una figlia poeta

A tredici anni sono uscita di casa
perché mio padre
non voleva che scrivessi poesie.
Avrei dovuto essere normale pratica e mite.
Da allora camminando mi sono chiesta
l’utilità se davvero esiste una mandorla atomica
nutriente nella poesia.
E se il mio orto interiore
un solo verso lavorato anni e anni
può barattarsi con l’espressione intima
di una qualunque altra creatura.
Che sia davvero un bene un viaggio sacro un polmone.
Per questo ho studiato tanto le scritture degli esseri
non solo umani l’analfabetismo
anche quello delle ergastolane di San Vittore
il labirinto auricolare e le energie tattili dei ciechi
il linguaggio dei segni e il profondo
ricettivo dei sordi
la notte nelle tempie fosforiche dei matti.

Questa creatura poesia è organica. Direi a mio padre così.
Ha una natura congiuntiva e irrimediabile.
Intensifica e implode. A volte schizza ori.
Gli direi di amarmi
con tenerezza conciliata ormai:
so liquefare un’ascia
assimilando il fiume.
Con l’umiltà di creare niente.

da leièmaria, Lietocolle, 2013

natale: verso il presepe interiore

dice il vento che dovrei seguire l’odore della neve
per trattenere nei polmoni il discorso della montagna
e convocare le lupe attorno al fuoco cantando con loro
quella sciabola lucente che spacca la notte sopra la capanna

dovrei chiudere gli occhi e contare le stelle a cuore nudo
con lentezza esatta e memoria
e non chiedermi perché la morte nella distanza cosmica
diventa fosforica
così come la mia preghiera sciolta ora nel carminio dell’aorta
mentre viaggia interiormente viaggia fino a Betlemme
passando per la striscia di Gaza
piede tra i piedi della gente licenziata terremotata profuga perseguitata

povera povera morta morta
deposta tra le tue braccia

madonna dell’ombelico che crei la nascita
spalancala in me perché io senta
la potenza del mio intimo vagito
la tensione nutriente del cordone ombelicale tra te e me
l’energia della gioia profonda profonda sorgiva
malgrado tutto

prego così mentre cado per terra

madre della tenerezza apri questo guscio di noce
ho mani rovinate e con la lingua non riesco

la polpa chiarissima del gheriglio si mangia
e il mio io profondo profondo nel buio ha fame

preghiera per l’utilità della mia poesia

madonnina del silenzio convoco la mia parola davanti a te
dopo un lungo esercizio interiore
dentro cui ho cantato solo fiato

io so che la tua pancia incinta è silenzio
e il silenzio è un vuoto amniotico dentro cui agisce
la creazione fuoco con cui cuocere l’io e il noi

madonnina mettimi in piazza o tra i fili dell’erba
di un qualunque campo tra gli alberi stesi a carta
rendimi trasparente e sonora sorella al polline nel vento

nascimi energia nelle papille della lingua e parole di pane
necessarie telluriche nude dentro la vocazione dell’intenso
del fulmine che s’interra rendendo fosforica
la coniugazione tra semi e morti
nella forza della primavera

che io abbia il ritmo tenace dell’ape
la sua leggerezza nella tessitura
tra il significato del fiore e quello della madre regina

da lupa o da mula vivo la grazia
il rigore l’umiltà la passione

dentro la mia spina dorsale c’è un anello
che io chiamo poesia

 

nel sonno
il sogno di neve nella notte nera

Sogno di chinarmi per mangiare la neve.
La raccolgo da terra con il palmo.
M’imbianca la lingua, me la trasforma in neve.
Improvvisamente alzo lo sguardo: vengono verso di me centinaia di profughi in fila, uno dietro l’altro, feroci, affamati, scalzi, scheletrici, feriti, con vestiti stracciati. La visione è muta.

Mi guardano. Devo rendere conto.
La neve rimasta sul mio palmo è l’unico punto luce nel buio del sogno.
La neve odora. Io ho narici dentro cui inspiro il loro fiato.
Svengo, cado con la faccia a terra: entro nella pancia della madonna della neve senza più parole né lingua.

06:48
Le bambine dell’asilo di Novgorod hanno composto un rosario di mollica. Giocando, lo hanno lasciato in cortile e le uccelle lo hanno mangiato.
Leggo il cielo, il pane e le uccelle sulla faccia della pozzanghera.
Leggere la scrittura in terra è anche questo.

è l’inizio del giorno.
Il sole si stacca ora, ostia visibile, circolare, ignea.
Sono scalza. Vivo così.

Notizia su Anna Maria Farabbi

Opera edita poesia:
Firmo con una gettata d’inchiostro sulla parete, Scheiwiller,1996 in 7 poeti del premio Montale.
Fioritura notturna del tuorlo, Tracce, 1996, riedita da Blu di Prussia, 2011.
Il segno della femmina, Lietocolle, 2000 con cd.
Adluje’, Il ponte del sale, 2003.
Kite, su portfolio di 9 opere grafiche di Stefano Bicini, Studio Calcografico Urbino, 2005.
La magnifica bestia,Travenbooks/Alphabeta (bilingue in italiano e tedesco) 2007.
Segni, con opere grafiche di Stefano Bicini, Studio Calcografico Urbino, 2008.
In Nomine, con incisione di Simonetta Melani, Due Lire, 2008.
Larosaneltango, canzoniere per musica di Diego Conti, Studio Calcografico Urbino, 2008.
La neve, Il pulcino Elefante, 2008.
La luce esatta dentro il viaggio, Aljon, 2008.
Solo dieci pani, Lietocolle, 2009.
Avemadrìa, Lietocolle, 2011.
Biblioteca in Almanacco dello specchio, Mondadori, 2011.
Abse, Il ponte del sale, 2013

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