Silvio Raffo, “Al fantastico abisso”

Letture

Prefazione di Maria Ferrario Denna

Ciò che anzitutto colpisce in ogni raccolta poetica di Silvio Raffo è la bellezza del canto, che si “fa ascoltare prima ancora che comprendere, in una assoluta fedeltà ai valori musicali e alla grazia della forma” (D. Menicanti). Questa bellezza si ritrova, intatta, nella presente silloge “Al fantastico abisso”, contraddistinta da una particolare tensione metafisica, da un continuo richiamo all’altrove, quasi sempre a partire dal basso, dall’angustia, dalla solitudine. C’è, infatti, in Silvio Raffo “una capacità notevolissima di cogliere in versi desolati, il disagio e la pena della vita” (G. Barberi Squarotti), ma a questo disagio viene contrapposta una tensione continua all’ascesi, “un mondo alternativo rispetto a quello della realtà banale. La vita di chi veramente non vive, se non di questo miracolo” (E. Gioanola).

All’inesausto turbine dei vivi, al cieco grumo delle passioni, Raffo offre, in controcanto, l’orgoglio della propria solitudine, la sua singolarità di poeta, che non si arrende al quotidiano, alla grigia stazione della resa, perché sente un “altrove”, contrassegnato dalla lucida coscienza della morte, che sempre lo accompagna: Ogni giorno ho pensato alla mia morte /Se Eraclito ha ragione era la vita / che di continuo urgeva alle mie porte. Accettando pienamente il proprio destino, il poeta diventa muto giardiniere di un’alta serra, colui che costantemente va alla ricerca della parola splendida, tremenda, assoluta, capace di brillare sulla pagina da sola, perché il volo della parola poetica è un volo che non ha ritorno, è possibilità di trattare direttamente con l’Eternità, è possibilità della parola di farsi alata Durlindana, che può sfidare e superare le tenebre. Proprio per questo, i versi di Raffo ci restituiscono, ancora una volta, la figura di un “poeta destinato alla perfezione, quella perfezione che non esiste se non, appunto, in poesia” (E. Gioanola).

Tutta questa materia, così profonda e così alta, Raffo la pervade di ironia e di sorriso, alternando testi di grazia quasi infantile a testi più marcatamente filosofici, in un discorso “teso e carico, che profitta di tutti i segni che il visibile, il sensibile, il casuale mettono sulla sua strada, con un totale affidamento al senso di ciò che accade e si manifesta, con una pienezza di adesione ai momenti, ai particolari della circostanza quasi con un eccesso d’ansia” (Mario Luzi), ma anche con la sapienza di renderci visibile ciò che visibile non è, di travalicare le insidie del sembiante, delle maschere quotidiane, che spesso si muovono – inconsapevoli – tra vita e morte, ansia e desiderio, ombre e realtà, abisso e altrove. Anche in questo nuovo libro, Raffo compone “una sorta di autobiografia poetica, in cui la melodia si perde e si diffonde nel silenzio abissale che si stende d’intorno, nel fremito di palpiti segreti e inafferrabili che turbano luoghi ed evocazioni” (C. Mezzasalma). L’uso colto e sapiente della rima, la sonorità calda e precisa dell’endecasillabo e dei settenari giustificano pienamente la conclusione, affidata alla voce di Maria Luisa Spaziani: “Si contano sulle dita diuna mano i poeti contemporanei che ci rimangono impressi, quelli che ci stampano a forza qualche verso nella memoria, che ci nutrono e ci mostrano le sfumature essenziali della sensibilità. Metterei Silvio Raffo tra questi. Un orecchio particolarmente musicale gli permette di riprendere con gusto moderno e con le necessarie spezzature e sprezzature l’onda dell’endecasillabo, questo grande alveo materno della nostra poesia. Lo torce, lo rinnova, lo pimenta e lo alterna con quinari e settenari. Ma tutto fonde il suo discorso di memoria e di grazia… Silvio Raffo, a cui dobbiamo endecasillabi tra i più belli del nostro tempo”.

Da: “Al fantastico abisso” di Silvio Raffo, Nomos Edizioni 2011 (euro 14,00)

Il più forte

Mi fu assegnato in sorte
il ruolo del più forte –
indicare il cammino
al cieco al pellegrino

Ravvivare la scena
sullo sguarnito palco –
soffocare la pena
nell’artiglio del falco

*

Alla notte

Nel tuo grembo m’immergo
notte – o notte –
io che donna non seppi
scosto il lembo
del tuo lenzuolo
o notte – notte fitta, oscuro nembo
di tenebre
confuse ininterrotte
pozzo delle mie brame
linfa liquame folto
annegami dissolto in te pietosa
io t’amo ninfa ascosa
o notte solo mia
vertiginosa

*

La terza luna

La terza luna svelerà l’inganno
che le due prime lune hanno tramato:
che m’avrebbe il tuo amore dall’affanno
e dal tedio per sempre liberato

Ma non sarà temibile sorpresa
per l’anima, disposta già alla resa:
ché di credere avevo solo finto
a quei tuoi lampi di fuoco didinto

luglio duemila

Silvio Raffo, nato nel 1947 a Roma. Vive a Varese, dove dirige il centro di cultura creativa “La Piccola Fenice”, attivo dal 1986. Docente al Liceo Classico “Cairoli” di Varese e all’Università dell’Insubria, è saggista e traduttore dall’inglese (E. Dickinson, C. Rossetti, E. St. Vincent Millay, O. Wilde, Sorelle Brontë, D. Parker) e dal Greco e Latino (Saffo, Stratone, Mimnermo, Catullo), ha collaborato con radio, giornali e televisione svizzeri e italiani, fra cui il mensile «Poesia».
Ha pubblicato in poesia: “Stanchezza di Mnemosyne” (Premio Cardarelli 1983); “Invano un segno”; “Immagini di Eros”; “Da più remote stanze” (Premio David); “Lampi della visione” (Premio Gozzano 1989); “L’equilibrio terrestre” (Premio città di Cariati 1991); “Quel vuoto apparente” (Premio città di Borgomanero 1997); “Il canto silenzioso”; “Maternale” (Premio Salò 2007); “Più che la luce mi seduce l’ombra”. Al suo attivo anche diversi romanzi, tra i quali: “La voce della pietra” (Il Saggiatore – Finalista al Premio Strega 1996); “Virginio” (Il Saggiatore); “Lo specchio attento” (Studio Tesi); “Spiaggia del Paradiso” (Marna); “I figli del Lothar” (Ulivo); “Eros degli inganni” (Bietti).

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