Franca Mancinelli, “Pasta Madre”

Anticipazione editoriale
Pasta Madre
di Franca Mancinelli (Nino Aragno Editore 2013)
a cura di Luigia Sorrentino

“C’è un filo elettrico che percorre i versi di Franca Mancinelli, uno stato d’allarme, qualcosa che ci costringe all’attenzione. Sono stati scritti alla finestra, in una zona di frontiera e di dogana. E sono stati scritti dopo un difficile cammino tra le parole, con pagine lasciate bianche e silenziose. Di tale cammino portano il peso, la ferita e la tensione, ma anche il sapere. […] Tutto il libro è un sottrarre e un levigare, uno sforzo di purificarsi, di giungere a una nudità che è conoscenza.”
dalla prefazione di Milo De Angelis

 

Franca Mancinelli (nella foto di Enrico Chiaretti) è nata a Fano nel 1981. Ha pubblicato un libro di poesie, Mala kruna (2007; premio opera prima “L’Aquila” e “Giuseppe Giusti”). Suoi testi sono usciti in diverse riviste e antologie. Un’anticipazione di questo suo secondo libro di versi, con il titolo “Pasta madre”, è apparsa in Nuovi poeti italiani 6, a cura di G. Rosadini (Einaudi, 2012) e nel n. 273 di «Poesia» (luglio/agosto 2012) con una nota di M. Raffaeli. Collabora come critica con «Poesia» e con altre riviste e periodici letterari.

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Poesie scelte da: “Pasta madre” di Franca Mancinelli, Nino Aragno Editore, 2013

cucchiaio nel sonno, il corpo
raccoglie la notte. Si alzano sciami
sepolti nel petto, stendono
ali. Quanti animali migrano in noi
passandoci il cuore, sostando
nella piega dell’anca, tra i rami
delle costole, quanti
vorrebbero non essere noi,
non restare impigliati tra i nostri
contorni di umani.

*

lasci la pelle sul lenzuolo
come una biscia al cambio di stagione
e un sacchetto di semi
per il deserto che sta arrivando
oltre le reti, le dighe
colme senza rimedio.
Dovrai seppellirti
tornare calda radice.

*

un colpo di fucile
e torni a respirare. Muso a terra,
senza sangue sparso.
Cose guardate con la coda
di un occhio che frana
mentre l’altro è già sommerso, e tutto
si allontana. Gli alberi
si piegano su un fianco
perdono la voce in ogni foglia
che impara dagli uccelli
e per pochi istanti vola.
*

padre e madre caduti
frutti che non potevano
marcirmi attaccati
mentre nudo imparavo
a reggere il cielo
come un uccello sul dorso, lasciando
campi e case affondare.
L’azzurro torna
a coprire la terra. Trattengo
nel becco il ricordo,
il seme che sono stati.

*

quello che sono è una finestra
il peso che avevo l’ha raccolto
in sacchi scuri l’alba.

Ogni movimento oltre la stanza
ora può trasportarti
e luminoso il traffico rallenta
perché il cappello rovesciato
contenga una moneta.

*

secchi sparsi nella stanza,
quaderni vuoti. Torneranno
a frantumare come infiltrazioni
ma piangi pure e impara
dalle grondaie colme
acquasantiere
sulla porta dove ognuno
si medica le mani.

*

«ho lavorato con la morte
nel cuore per un mese».
E gli occhi le debordano al pensiero
delle notti quando all’altro lato
del letto un fiume si ostruiva
lento di rifiuti. Poi nel sonno
profondo un gran cantiere
riallacciava la vita a quattro ponti.
Sono vent’anni che dormiamo
insieme e solo ora
so che il sangue
va dal mio atrio al suo.

*

darò semplici baci di sutura
verserò saliva a ogni giuntura
sarò sbucciata e dolce ai denti.
Ogni mattino ti coglierò un pugno
di fiori dal selciato.

Per te avrò aghi sempreverdi
e sboccerò ogni inverno per bruciarmi.

*

nella cancrena aperta con i gesti
vedo, e smetto di germogliare
questa resina inutile.

Poi con le labbra mi prendo
e porto a dormire come farebbe
una gatta col figlio.

*

torno a immergermi nel corpo
azzurro e buono di una domenica
mattina, fraterna ad altri
senza capelli e occhi, muti
come in un giorno di lavoro
per corridoi
con altre ombre accanto.
Ma in questo chiaro di saliva
cloro e seme, abbandonata ognuno
la sua scorza, gesto dopo gesto entriamo
bambini con un segno d’acqua in chiesa.

*

dormivo su una pagina ogni notte
bianca. Il mattino
un’ombra del mio peso, alcune pieghe
e subito voltava: proseguire
è questo a capo del principio,
bocca che passa calore
all’aria come potesse svegliarsi
essere ancora salvata.


Franca Mancinelli (Fano, 1981), ha pubblicato un libro di poesie, “Mala kruna” (Manni, San Cesario di Lecce 2007). È inclusa in diverse antologie, tra cui “Il miele del silenzio. Antologia della giovane poesia italiana”, a cura di Giancarlo Pontiggia (interlinea, 2009) e “Nuovi poeti italiani 6”, a cura di Giovanna Rosadini (Einaudi, 2012). Collabora con riviste e periodici letterari tra cui «Poesia». “Pasta madre” è il suo secondo libro di versi edito da Nino Aragno Editore (2013).

3 pensieri su “Franca Mancinelli, “Pasta Madre”

  1. ho letto questi versi al contrario, dalla fine all’inizio, dal basso all’alto. Armonia in ogni stanza, quasi una vita propria. grazie!

  2. Per leggere le poesie di Franca bisogna essere mossi da “un afflato epistemologico come un “inizio che produce iniziazione”
    Bisogna saper pensare alla parola poetica che nella modernità ha dovuto saper cogliere e raccogliere le sonorità e profondità nel fenomeno dell’oralità nel mondo antico e la dimensione della vocalità del logos nella difficile traduzione della scrittura fonetica e musicale greca ad un orecchio poco attento nelle nostre quotidianeità ciarliere.
    L’andamento del pensiero poetico ha un andamento a spirale esogeno il difficile è recperare la spiralità endogena delle parole pensanti greche.
    La logica moderna è lineare non ha gli scarti erotici tra divergenze e continui ritorni in un incessante e infinito cammino di avvicinamento e di distanza….un pensiero appassionato :un atto d’amore vero e proprio non concettuale ma percettivo.
    Il cuore pulsante di vocalità letteraria della parola che si ritrova non in superfice ma nella profondità.

  3. Sono poesie molto profonde e belle, mi hanno colpito e fatto il nido dentro di me. Bravissima, Franca! Grazie di questa scrittura che non conoscevo ancora!
    Un abbraccio, loredana

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