Appuntamento
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Lunedì 18 febbraio 2013 alle 18:00 alla Casa delle Letterature di Roma (Piazza dell’Orologio, 3) presentazione del libro di poesie Olimpia di Luigia Sorrentino, Interlinea Edizioni, 2013, (euro 14,00). Prefazione di Milo De Angelis, Postfazione di Mario Benedetti.
Interventi di: Brunella Antomarini, Fabrizio Fantoni e Valentino Zeichen. Sarà presente l’autrice.
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Scrivendo Olimpia, Luigia Sorrentino scrive il libro della sua vita. Olimpia punta all’essenza, tocca in profondità le grandi questioni dell’origine e della morte, dell’umano e del sacro, del nostro incontro con i millenni. Ha uno sguardo lungimirante: sguardo ampio, prospettico, a volo d’aquila. Ma ha anche improvvisi affondi nella fiamma del verso.
E proprio l’intreccio tra l’infinito e il mortale è uno dei motivi centrali di questo percorso. Olimpia riesce ad esprimere un tempo assoluto, e lo fa in modo mirabile, con architetture possenti ma anche con i guizzi fulminei della vera poesia. Tempo assoluto che contiene ogni tempo. E ci getta di volta in volta in una diversa epoca della nostra vita: siamo antichi e adolescenti, certi e smarriti, ci immergiamo in questo giorno carico di attesa e di rivelazione, sempre sulla soglia di una scoperta cruciale. «Siamo colui che sprofonda a un passo da noi», scrive Luigia, «di padre in padre siamo stati / quella tua età sparsa nella casa».
(dalla prefazione di Milo De Angelis)
L’AUTRICE
Luigia Sorrentino è nata a Napoli, ma ha abitato fino al termine degli studi universitari con i genitori a Torre del Greco. Giornalista professionista, vive a Roma e lavora in Rai. Da diversi anni collabora attivamente ai programmi culturali e televisivi di Rainews realizzando interviste con autori italiani e stranieri di calibro internazionale. Attualmente è ideatrice e conduttrice di programmi per Rai Radio Uno tra i quali il settimanale Notti d’autore, viaggio nella vita e nelle opere dei protagonisti del nostro tempo (www.radio1.rai.it). Cura per il sito di Rainews Poesia, di Luigia Sorrentino (http://poesia.blog.rainews.it), il primo blog di poesia della Rai da lei ideato. Ha pubblicato le raccolte di poesia: C’è un padre (Manni, Lecce 2003), La cattedrale (Il ragazzo innocuo, Milano 2008), L’asse del cuore (Almanacco dello specchio, Mondadori, Milano 2008), La nascita, solo la nascita (Manni, Lecce 2009).
UN BRANO DEL LIBRO
tutta la nostra attesa era
in una madre che ritorna
nel regno dei vivi e dei morti
frantumato dinnanzi a lei
tutto si era placato fra i tronchi
dei lecci
senza steli stavamo sulla spianata
trasportati qui dove si tace di gioia,
tace su tutto chi possiede
quello spirito del futuro
sopra le rovine
In bocca al lupo.
La prefazione di De Angelis è un invito a leggerlo. Un saluto
Sono sempre lontana. Sempre non presente. Ma i tempi cambieranno e ci incontreremo. Congratulazioni per Olimpia!
A volte si sentono gli assenti…un mistero palpitante.
Complimenti! Per lo splendido lavoro di poesia, e per le voci che lo accompagnano.
La prefazione di De Angelis é un invito alla lettuta di Olimpia, sicuramente! Ma Luigia Sorrentino, con la forza ‘imponente’ racchiusa nella sua superba poetica, ancora una volta ci condurrà con mano sicura nel suo meraviglioso mondo, con i suoi straordinari versi. Congratulazioni e auguri sinceri alla poetessa.
Andavo un po’ di corsa e magari il primo commento è poco chiaro, ma conoscendo il libro di Luigia Sorrentino che precede questo, e dal piccolo anticipo qui letto penso che la lettura mi confermerà le impressioni che colgo nella prefazione di de Angelis. Conto di leggerlo presto. Di nuovo auguri.
Complimenti! Talvolta le parole compiono il miracolo di artigliare un pò di vita e trascenderla.
E così la presentazione c’è stata: una conversazione calda e tranquilla, intervallata dalle poesie di Luigia lette dall’autrice stessa: fuoco che cova sotto la cenere, temperatura alta raggiunta con toni pacati. Interventi appassionanti, sia da parte dei relatori che dei presenti. Valentino Zeichen che ha presentato il libro di Luigia nella sua personalissima lingua fatta di paradossi -generando qualche equivoco perché non tutti in sala hanno colto il suo paradossalismo e la sua ironia. C’è stato nche qualche momento buffo -come quando Luigia ha parlato della “notte arcaica” ed è improvvisamente venuta via la luce. La chiacchierata è continuata al buio per qualche minuto; ma anche questo era nello spirito del libro.
Non ho ancora letto “Olimpia”, solo ascoltato le letture di Luigia e sfogliato le prime pagine. Ma mi son fatto l’idea -ancora da verificare- che Luigia stia andando “in direzione ostinata e contraria” rispetto al suo precedente “La nascita, solo la nascita”. E’ come se Luigia avesse attaccato frontalmente uno dei punti cardine della cultura occidentale: la ricerca dell’essenziale ottenuta astraendo dagli accidenti. Nella sovrabbondanza d’immagini, realistiche e non realistiche, nel verso densissimo, carico di materia anziché spurgato di materia, Luigia sembrava dire che l’essenziale è tutto, che l’essenziale è proprio tutto il resto, ciò che avevamo scartato nel tentativo di arrivare alla quinta essenza. E ne veniva fuori un libro quasi allucinato nella sua sorvegliata concretezza, un libro che, pur essendo squisita opera di letteratura era antiletterario perché sembrava continuamente voler esplodere oltre la scrittura e far implodere il mondo nella scrittura: la scrittura decantatissima di Luigia faceva l’effetto di una totale mancanza di decantazione.
Qui, per quel che ho capito, succede il contrario. Luigia toglie, toglie, toglie. Toglie innanzitutto qualsiasi determinazione di luogo, di tempo, di personalità. Toglie i colori. Sceglie una lingua che è più nuda della sua solita lingua nuda, con versi di una brevità e assertività -è stato notato- quasi temerarie. Dal delirio figurativo di “La nascita, solo la nascita” arriva a un’astrattezza quasi integrale, come un quadro di Mondrian cui avessero tolto financo i colori -un Mondrian in bianco e nero.
Cosa resta? Resta la voce. La voce di Luigia che -e lo intendo come un complimento- non è voce d’arte. Se Luigia fosse una cantante, non avrebbe la voce di una cantante lirica: avrebbe la voce di Anthony Hegarty, caprina, uterina, tellurica: una voce spuria, una voce che tutto ingloba. Ed è qui che il fuoco della passione nasce dal ghiaccio di un’astrazione totale: perché Luigia compie il suo gesto di sottrazione con il suo timbro poetico ch’è invece omni-inclusivo.
Mi chiedo cosa farai dopo questo libro, Luigia, dopo questo gesto così estremo. Ma sicuramente farai qualcosa di molto nuovo.
Scriverò ancora dopo la lettura del libro. Intanto un caloroso saluto, e spero di rivederti anche nella vita.
Un’ulteriore considerazione (scrivo a caldo e le cose mi vengono un po’ alla volta): ho sentito dire in sala, in un intervento che mi è sembrato il più “centrato” di tutti, che tu stai facendo con la poesia un discorso sulla poesia stessa: che vuoi esplorarla, scoprirne tutte le possibilità: che vuoi, aggiungo io, carnalmente possederla. E che la tua opera d’astrazione ha questo senso: riflettere sulla forma con la forma. Sì. E dico anche che in questa tua meditazione sulla forma che si fa forma, tu sembri porti dinanzi alla poesia piuttosto che al suo interno: la storia degli stili ti è dinanzi e tu la lavori ex post. Ho sentito in sala i nomi -giustissimi- di Rilke e di Savinio. Faccio un altro nome, non letterario: Igor Stravinsky. Come lui, tu lavori sulla tua arte in un costante squilibrio fa partecipazione alla sua storia -vi partecipi nell’atto stesso di produrla- e distacco da essa, in una progressiva rarefazione. Se ho detto che la tua non è voce d’arte, è perché tu entri nella poesia con una voce che mi sembra esterna alla poesia, ed è in questo che trovo la ragione vera del tuo fascino. Tu sei poetessa e giornalista, ed entrambe le Luigie sono vere e partecipi della stessa storia. Si è discusso, in sala, del tema della salvezza, dell’essere “dentro”, “fuori”, “al di sopra” del tempo, su un’idea laica di salvazione (non a caso parli di salvezza ma in un libro che richiama il mondo greco, dove quest’idea non c’era). Sbaglio se dico che la salvezza, per te, consiste nell’equilibrio fra l’essere e il divenire? Che per te il principio aristotelico del terzo escluso è una tragedia, e che l’equilibrio non può realizzarsi se non includendo? E che in questo “voler essere tutto”, quasi un volerti dissolvere, cerchi l’equilibrio fra essere e divenire (in un “tutto” cioè ch’è sia tempo che non-tempo perché ha tutto raccolto, tutto ricompreso, tutto superato)? Che i “due regni” di Rilke per te sono molti di più, e il tuo Orfeo dovrebbe essere un Orfeo che può essere tutto perché non appartiene veramente a nulla?
Carissimo Giorgio,
le tue domande sono pertinenti e importanti, entreranno in una sorta di intervista ideale per me, ma devo riflettere bene, prima di risponderti. Quindi, ti risponderò ora dicendo questo: Olimpia nasce dall’esigenza, dalla necessità, di un’inversione di tendenza in un’epoca in se stessa oscura – quella che stiamo vivendo che ci mostra un mondo avido e senza scrupoli – dove gli esseri umani sono soltanto spettatori. Tutto viene filtrato dalle televisioni, dai giornali, e se vuoi anche dai social network. Comunque, ciò che ci viene continuamente proposto non è il reale in quanto tale… ma l’immagine di una certa realtà, che entra con prepotenza nelle nostre case. Perché nessuno ci chiede qual è il nostro punto di vista? Cosa ne pensiamo noi di quello vediamo quotidianamente? E come questo quotidiano, questo ‘reale’ entra nella nostra vita? come ci cambia? che cosa ci fa diventare? oggi l’uomo non partecipa né emotivamente né affettivamente alla realtà. Siamo spettatori passivi, non attivi. La nostra partecipazione è ‘virtuale’… Non ci sorprendiamo più di nulla, non soffriamo più, siamo anestetizzati… Olimpia quindi, fa un gesto ‘estremo’, se mi concedi questa espressione, fa un’inversione, un ritorno, partecipa e risponde all’avidità e alla sete di potere che caratterizza la nostra epoca ritornando all’origine, al sé sacro, e chiama, affinché venga visto l’umano, per quello che è… in tutta la sua interezza e drammaticità, in tutta la sua fragilità-precarietà. La transitorietà, la riflessione ostinata su questo tema fatta nell’oggi, per riportare tutti noi – nessuno escluso – a una condizione più umana. La voce chiama, e ci chiede che l’umano torni il luogo della poesia. Perché, caro Giorgio, l’umano ha proprio bisogno di essere V I S T O ! Siamo noi che dobbiamo essere visti, Giorgio, noi che osserviamo senza essere visti. Ecco, molto in sintesi ti dico che Olimpia fa un po’ questo: va a guardare l’umano, chiedendogli di tornare il protagonista della STORIA.
Grazie Luigia.
questo è il genere di poesia che piace a me, senza orpelli e pesanti artifizi; pulita eppure profonda e vissuta, che nasce dal sangue per arrivare alla punta delle dita. tra qualche giorno sarà nella mia libreria.
Grazie Blumy, per la tua presenza-essenza