Guido Mazzoni, “I mondi”

Riletture Guido Mazzoni
a cura di Luigia Sorrentino

IL LIBRO
Ora so che non ha senso rompere la miopia che ci fa esistere, vedo diversamente le monadi che ci proteggono, le loro trame nel disordine; seguo le macchie di luce che il sole getta sul paesaggio, il cielo puro e indifferente.

Nella poesia di Mazzoni si intrecciano due registri, due sguardi sulla vita. Il primo, tipicamente lirico, racconta un’esistenza individuale, una singolarità qualunque colta in alcuni momenti decisivi, quasi dei lampi, delle epifanie. Ma a questa autobiografia per frammenti si sovrappone una dimensione di respiro più ampio, una prosa poetica che si interroga sul presente del mondo, che tende ad evadere dal solipsismo di una riflessione autocentrata. Mazzoni si sofferma sui processi anonimi di cui sono fatti i nostri destini, sulle strutture sovrapersonali che reggono le nostre vite isolate, spesso così identiche le une alle altre. La sua è una poesia che non distrae il lettore, gli parla piuttosto da adulto, lo tiene in allarme e lo riporta a se stesso, anche quando non risparmia verità offensive o dolorose.

da “I mondi” di Guido Mazzoni, Donzelli, 2010 (euro 13,00)

Prato Est

Era rimasto solo ad ammirare
gli spazi vuoti tra i blocchi delle case
che si riempivano di nuvole al decollo
degli aerei sopra le autostrade come se

si ritrovasse in quelle forme mobili
un sole lento che tramonta tardi
e sopra questa calma che cesce e lo sguardo
degli altri torna tollerabile.

Parcheggio

Benché la vita di queste persone che escono dalle auto parcheggiate fra le strisce degli spazi condominiali gli sembri incomprensibile ora che sta uscendo dall’infanzia, sa bene che il luogo e il tempo in cui è nato lo destinano a diventare come loro, una versione migliorata di loro. Per non posteggiare la propria auto davanti a un palazzo come questo, per non perseguire avanzamenti di carriera fra i quadri intermedi di una gerarchia aziendale, dovrà attraversare dei conflitti invisibili e feroci con gli esseri che oggi formano il suo mondo, con le persone che ama. Appoggiando la fronte al legno degli infissi, studiando la cura insensata con cui i vicini incerano le macchine prima di coprirle con i teli, crede di sentire il peso di quello che sta per accadere. Ha tredici anni; sa che la vita è solo sua; vede solo se stesso.
Non vede invece che è stato il lavoro di queste persone, la fatica che hanno fatto per uscire dai poderi mezzadrili e raggiungere una periferia residenziale, a consegnargli il potere di essere diverso, di coltivare altre mete e altre paure. Nella crudeltà della prima adolescenza può capire solo poche cose degli individui dispersi lungo il piazzale. Vivono per sé; accettano la sfera di relativa sicurezza che questa periferia sembra custodire; non credono in nulla che oltrepassi i destini familiari. Fra pochi mesi forze ignobili gli faranno desiderare di trascendere ciò che vede, di vivere vite più prestigiose o più morali. Cercherà di procurarsi un’altra biografia, proverà passioni per conflitti lontani, soffrirà per ingiustizie che non gli appartengono, finché un giorno, con vergogna e ostinazione, darà a questo desiderio la forma più banale, mettendo su carta il proprio io ingigantito per sperare di sopravvivere più a lungo.
Vent’anni dopo, mentre le stesse strisce ridisegnate brillano sotto gli alberi di Natale e i suoi coetanei ritornano nelle case dove sono cresciuti portando passeggini, crede di capire meglio. Oggi pensa che nulla possa trascendere la nostra sorte singolare, la vita infissa nei lineamenti che la luce bianca sembra cancellare quando tocchiamo i pupazzi appesi sopra i cruscotti o attraversiamo l’aria fra le macchine vuote, seguendo la traiettoria che forze invisibili hanno preparato per noi, l’ellittica di una deriva personale. Oggi crede che non esistano valori ma solo vite, modi di interpretare un destino che rimane solo privato, per tutti. Loro lo sanno da tempo: tutta la loro identità è modellata su questa certezza. Sanno che quanto accade in questo recinto è tutto quello che realisticamente esiste qui e ora, ai margini di una città europea di medie dimensioni; e dentro questo spazio ricavano le loro minime sacche di valore, rimuovendo ciò che li trascende e che un giorno si mostrerà all’improvviso in un prepensionamento, in un divorzio, in un’analisi medica, in un incidente stradale.
Miliardi di uomini che hanno vissuto o vivono in altri tempi o in altri luoghi hanno desiderato e desiderano la vita che la classe media occidentale ha conosciuto nella seconda metà del ventesimo secolo, dopo millenni di violenza e povertà. E se è vero che la sicurezza di queste case nasce sul Guido Mazzoni è nato nel 1967. Ha vissuto e lavorato a Pisa, Parigi, Londra e Chicago. Insegna letteratura all’Università di Siena. Ha scritto i saggi Forma e solitudine (Marcos y Marcos, 2002) e Sulla poesia moderna (il Mulino, 2005). Questo è il suo primo libro di poesia.risvolto di rapporti di forza che infliggono violenza e povertà a miliardi di esseri lontani per i quali sarebbe difficile, sarebbe irrealistico provare qualcosa, è altrettanto vero che pochissimi degli individui che occupano questo luogo e questa epoca ne sono consapevoli o hanno colpe. Oggi capisce la dignità, la complessità delle persone che esistono per sé, senza bisogno di trascendenze, risarcimenti, giustificazioni. Il parcheggio si è coperto di automobili; nelle borse giacciono i regali di Natale. E’ come loro, e non ha nulla da opporre se non il proprio sguardo, la rabbia senza oggetto con cui osserva i volti dei nuovi individui, le sagome delle nuove costruzioni sotto il solito cielo.

L’idea di essere vivo

Era l’idea di essere vivo fra le piante,
fra i mobili nuovi che avevamo comprato,
era la gioia di vedere le proprie cose, come il giardino
col muschio sul muro divisorio, la magnolia e sopra,
oltre le tegole, le macchie delle rondini,
le masse dei viventi nel cielo.

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