Marco Bellini, “Attraverso la tela”

Riletture
Attraverso la tela di Marco Bellini, Edizioni La vita Felice
a cura di Luigia Sorrentino

di Nadia Agustoni
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Leggendo la poesia di Marco Bellini si ha l’impressione che l’impegno che richiede seguirne il dettato sia dovuto ad un “cadere” verticale, un cedere alla profondità della parola. Questa breve raccolta “Attraverso la tela” Edizioni La Vita Felice 2010, con prefazione di Gabriella Fantato e postfazione di Piero Marelli, si apre con un intenso poemetto “…Della linea” in cui si riflette un dire che partendo dalle cose sembra ricordarci con Hofmannsthal che la profondità è nascosta proprio alla superficie. “Credevo di non poterla accettare/ quella linea tesa, annodata all’orizzonte/ e allora ho chiesto di uscire dal tempo/ […] per  avere tutte le età […]”, e non inganni quell’uscire dal tempo perché Marco Bellini non ha tentazioni di fuga dalla storia e dall’epoca, ma piuttosto risponde a un andare oltre, tanto più nei momenti legati al quotidiano e a quella linea tesa iniziale, che se segna un confine, restituisce anche una misura. Se la poesia di Bellini è lontana dal gridato, tuttavia non ha timore di dirsi a partire da un’infanzia ripercorsa nei gesti oltre che nei giorni. E’ qualcosa di segreto il suo mondo perché è lasciato come tra parentesi tutto ciò che eccede ed è significato al di là della descrizione: “Rimane difficile trovare/ poche righe in cui ci siano/ quasi tutte le parole/ quelle che pesano e sanno stare vicine, formando/ con il fango il vaso sul davanzale/ e con i nomi/ un senso che gli cresca dentro/ fino a ricordare che tutto non può essere/ che tra parentesi/ se cambiato in parole che non sono/ ma soltanto dicono.”/ Parola riflessiva quindi, che se scava partendo da cose semplici subito si sofferma dolorosamente in domande ed è con un dolore pacato e nella densità del dire che ci raggiunge. Hofmannsthal ne “Il libro degli amici”, scriveva: ” Chi afferra la massima irrealtà plasmerà la massima realtà”, e nella poesia di Bellini si trovano tracce in tal senso. Il suo mondo sembra a tutta prima solido, ma la lettura ci porta su un piano meno sicuro, che se non rovescia l’aforisma hofmannsthaliano, è perché alla precarietà dei giorni e delle parole fa certezza qualcosa di meno tangibile, ma di reale, che ci arriva con sensibilità priva di sentimentalismo. Non è consolazione quella che Marco Bellini ci propone, ma il senso di una presenza, che ci può rendere nuovi nel nostro accogliere parole e tempo e nel nostro camminare tra umanissime tempeste.

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