Opere Inedite, Andrea Giampietro

Opere Inedite
a cura di Luigia Sorrentino

1)
Queste pareti imbiancate furono Bastiglia
di un’atroce omissione di deliri:
è inutile versare lacrime in un otre
dove non fermenta il silenzio dei santi.
Chiamate l’ombra, e la vedrete alzare
al suono che avvolge le volte notturne,
quando la brezza melodica scompiglia
i floridi dolori dell’uccello smarrito.
Giovinezza apre le porte del sepolcro,
io mi strazio il petto solo ricordando la vita
che si sporse per donarsi
e tu strappasti col morso delle gambe.
di Andrea Giampietro

2)

Finora non sei stata che una schiena:
specchio, miriade di riflessi audaci;
adesso ti volti e mostri la tua fronte
dove si frange in spicchi il cielo.
Dammi il mio giorno! ché mi sveli
l’oziosa trasparenza dei tuoi flutti
da cui non sorge estasi primaverile
ma solo ombre di petali straziati:
facesti a pezzi le pagine dei fiori
perché non vi leggessi la tua storia.

3) Se il Sole sta alto
quando il giorno già muore,
se la Luna geme
quando è spenta la notte,
qualcosa è cambiato
nel fermo svolgersi del giorno,
come i tuoi occhi
dove più non distinguo
il buio e la luce.

4)

Riccioli d’oro ridenti di grigio,
scacchi di passi senza risposta,
cielo stremato da oscure cadenti.

Eppure era bello il tuo sorriso chiuso.

Rigoglio cade, tempesta illumina
le fonti di rocce occluse dall’acqua.
Vanga la terra dove muore il cigno.

Ma non scordo il tuo petto freddo.
Marchio sulla pelle d’ignoto negro,
linea evapora dal macello dei corpi
e dalla serenata sgorga il pantano.

Penso ancora alla terra sui tuoi occhi.

I lupi corrono al richiamo del sangue,
e nel petto cuciture di ferro cantano
come le strette rose di novembre.
Da quando ti persi, imparai a ricordarti.

5)

Aprite le porte del Paradiso…
porte dorate in ferro arrugginito!
Dioniso triste coperto di spine,
Cristo ebbro di vino nell’orgia,
i seni dell’adultera inebriano il santo
e l’ansia si decompone nel sudore
del peccatore ingenuo.
La casta bianca degli angeli
ha intessuto le corone d’alloro
coi capelli bruciati delle streghe.
Sappiate distinguere la cenere dalla cocaina,
ma non camminate sulla croce
come fosse un trampolino…
E allora tuffatevi, nuotate pure
nella vita vuota d’acqua!

6)

Quando i ciottoli di bottiglia fioriscono
e l’afrore del ciarpame leva il suo canto,
l’immondizia diventa sovrana delle strade.
La miseria delle baracche è ricchezza
agli occhi dell’uccello avido di ristoro.
Ciò che fa della sete un chiaro nettare
e della fame un desco colmo di pietanze,
è l’occhio allucinato del viandante
reso dall’arsura un folle Mida.

7)

Infame presenza, con pelle di ragazza
e occhi di meschino adone,
perché poggi il tuo bianco piede
sul mio capo assalito da febbri,
perché lusinghi con odore virile
le narici avide di aromi naturali?…
T’aspetto nel ventre d’una balena sfiatata,
ci nutriremo della sovrana carcassa;
io t’amo come s’ama la medusa amica,
per te m’abbandono nell’abisso ruggente.

8)
Della giovinezza amo i frutti maturi,
dell’inverno amo le fresche primizie:
il Tempo è in frantumi nella mia tasca rotta.
Monello biondo che da me ti scosti,
sono vecchio come la quercia immonda
che s’aggrappa alla terra materna
nell’abbraccio incestuoso dei secoli.
Ma sono tuo coetaneo, forse pianta imberbe,
quando bacio il tuo petto smarrito nei battiti:
allora ritrovo il gusto disperso dei miei giorni
offerti all’altare d’un idolo che ripudia
il lieto peccato dei fiori e delle api.

9)
Dalla crepa del muro gocce cadono
di plasma e vino adulterato,
il gesso che hai sulle mani è il segno
della tua avversione al bianco ostacolo.
Impigliata nelle catene della tua chioma
qualche goccia di saliva seminata
dal morso notturno al tuo profumo.
Senza sguardo e con le braccia inermi
ci ritroviamo a passeggiare seduti
l’uno al cospetto dell’altro,
le labbra protese a ritrovare il suono.

10)

Di me conosco le pareti adombrate,
le stalle scosse da vagiti straziati,
ricordo il fresco stelo della paglia
colto come un fiore esotico:
la mietitura colmava la terra informe
di una ricca strage dorata.
Pure la vendemmia deliziava l’aria
versandole sul labbro gocce di torpore,
e fra le mani, come seni infantili,
le metteva grappoli stillanti sudore.
Di me assaporo le albe disperse,
i tramonti bevuti e le bufere,
ricordo anche le passeggiate nere
condotte dal sole sino a essiccarmi.

Andrea Giampietro è un poeta abruzzese. Nato nel 1985, dopo aver terminato gli studi liceali, ha cominciato un percorso di studio da autodidatta, dapprima avvicinandosi alla psicoanalisi freudiana, e in seguito quasi esclusivamente di letteratura e soprattutto di poesia.
Ha esordito nel 2010 con una raccolta di componimenti letterari, “Il paradiso è in fondo”, presentato dai  poeti Dante Maffia (autore anche della prefazione) e Maria Luisa Spaziani.
Una sua nuova raccolta di poesie è in fase di preparazione. Svolge attività di traduttore, soprattutto di poesia francese (hatradotto Baudelaire, Verlaine, ma soprattutto “Il battello ebbro” di Rimbaud e “Il pomeriggio d’un fauno” di Mallarmé). La sua traduzione della “Ballata del carcere di Reading” di Oscar Wilde, sarà pubblicata all’inizio del prossimo anno dall’editore Fabio Croce di Roma.

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