Fabrizio Fantoni su ‘Bestia di gioia’ della Gualtieri

Altre scritture
a cura di Luigia Sorrentino

Oggi ad ‘Altre scritture’  leggiamo la recensione di Fabrizio Fantoni ‘Bestia di gioia’ di Mariangela Gualtieri ” (Einaudi 2010, € 12,00) recentemente apparsa su la rivista ‘Poeti e Poesia’ diretta da Elio Pecora. Fantoni ci parla di una gioia ‘intessuta della fibra di tutte le cose, intesa come forza primordiale e vivificatrice che unisce l’uomo e tutte le cose in un solo organismo universale’.

 

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di Fabrizio Fantoni

“In ‘Bestia di gioia’ Mariangela Gualtieri definisce la tensione positiva che già aveva caratterizzato il suo precedente libro ‘Senza polvere senza peso’  (uscito con Enaudi nel 2006) dando voce, con rinnovata energia, a quella sconosciuta felicità che cova nel fondo dell’anima e che prorompe grazie al ripristino dell’unità fra spirito e natura che secondo Hegel si era realizzata solo nel mondo greco e che ora ‘giaceva fra l’uomo e la sua coscienza come cadavere sconsacrato.’

E’ una gioia, quella descritta dalla Gualtieri, che sin dall’inizio si presenta ‘intessuta della fibra di tutte le cose’ qualificandosi come una forza primordiale e vivificatrice che, respingendo tutto ciò che è contingente e accidentale, legato al tempo e allo spazio, unisce l’uomo e le cose tutte in un solo organismo universale: “Oltre, lo sentiamo/ forma non serve – nome nemmeno/ si lascia qui l’ingombro si depone/ perchè poi si scavalca il mondo/ e un volo si accende/ immenso oltre l’aurora./ Ah! Libertà vorticosa!/ Stare bene profondo./ Essere ogni cosa.”

E così, guidata da un misterioso istinto, l’autrice osserva e registra il manifestarsi della natura nelle sue varie forme, dal lento cadere delle foglie al rapido balenare dei fulmini, dal canto degli uccelli al silenzio dei fiori, rintracciando nella bellezza permanente e atemporale della natura, tra le sue silenziose melodie, il principio infinito e creatore che regola la realtà: “Natura risvegliata/ scatena tutte le forme apprese in sogno./ Ecco la gemma. Ecco la foglia/ Ecco un volo perfetto di ala./ Ecco un canto esperto d’uccello./ Ben istruita ogni creatura/ fa la sua parte di fidanzata./ S’ingravida e si espande./ Ripete l’avventura del venire alla luce/ la traversata grande- fino alla scomparsa.”

In questi componimenti si realizza quell’unità di spirito e natura di cui parla Schelling nella sua “Introduzione alle idee per una filosofia della natura” in cui si legge: ” La Natura deve essere lo Spirito visibile, lo Spirito la Natura invisibile.”

Non si creda, però, che la poesia della Gualtieri si risolva in una semplice trascendenza. La gioia, derivante dal contatto con la natura, non impedisce, infatti, all’autrice di svolgere – nella seconda sezione della raccolta intitolata “un niente più grande” – considerazioni sulla condizione solitaria e transitoria dell’uomo, sul suo essere esposto ad un incombente minaccia che lo getta nella solitudine, nella desolazione. “Un sogno questo essere qui. Una battaglia/ lieta, a volte con inciampo e bastonate./ Questo essere nel mattino/ nell’aperto spazio/ addossato a un infinito./ Questo tremare dentro. Premere il pistone/ centrale per un presagio di perdita- / cadere fra macerie così nostre/ un presagio che distacca dallo scenario/ la figura nostra e la pianta lateralmente/ nelle solitudini. Nello zero./ Questo essere qui ha tutta l’aria/ d’un nasccondimento così perfetto/ che si stacca dai cinque sensi/ e scappa fuori dagli assi./ E quel tacere di morti che non smette.

La raccolta ‘Bestia di gioia’ si definisce, così, come un lungo e articolato percorso in cui l’io dell’autrice si dibatte nella contemplazione di due forze contrastanti: l’inesausto bisogno di assoluto che si contrappone alla percezione dell’intrinseca infelicità dell’uomo (peraltro accentuata dalla fittizia realtà quotidiana): ” Noi tutti non siamo solo/ terrestri. Lo si vede da come/ fa il nido la ghiandaia/ da come il ragno tesse il suo teorema/ da come tu sei triste/ e non sai perché. Noi/ nati, noi forse ritornati,/ portiamo un mancanza/ e ogni voce ha dentro una voce/ sepolta, un lamentoso calco di suono/ che un po’ si duole anche quando/ canta. Te lo dico io/ che ascolto/ il tonfo della pigna e della ghianda/ la lezione del vento/ e il lamento della tua pena/ col suo respiro ammucchiato sul cuscino/ un canto incatenato che non esce./ Ascoltare anche ciò che manca./ L’intesa fra tutto ciò che tace.”

In questa prospettiva Mariangela Gualtieri traccia in ‘Bestia di gioia’ le coordinate di un mondo poetico fondato sulla simmetria degli opposti ed espresso attraverso un rigorosissimo controllo del verso e del ritmo, che la sottrae ad ogni pericolo di letterarietà e di retorica.”

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