Opere Inedite, Nicola Vitale

Opere Inedite
a cura di Luigia Sorrentino

Oggi leggiamo la poesia di Nicola Vitale di cui mi sono già occupata in questo blog in una lunga intervista (vai qui) qui accanto ritratto in una ‘foto domestica’ con la sua cagnolina Dafne, una foto che mette in ombra il poeta, e in luce la cagnetta, accudita e amata.

Nicola mi scrive una nota sulla poesia e sul poeta che pubblico volentieri con sei poesie inedite tratte dal suo testo La natura ride. 
*
«Poesia è il Mondo / l’umanità / la propria vita / fioriti dalla parola / la limpida meraviglia / d’un delirante fermento». Così Ungaretti dava la sua visione, che rimane forse la più concisa, espressiva e convincente di ciò che chiamiamo poesia. Quanto di più corrispondente alla visione che ne abbiamo oggi, in un clima di mitizzazione dell’arte con residui romantici, coscienti della sua inutilità e impotenza in un mondo tecnologico e scientista.
Kafka la descriveva (forse) come un rocchetto, Odradek, che persa la funzione reale rivela proprietà estranee e stranianti. Oggi tutto ciò che si costituisce come cosa “intera”, non parcellizzata dall’analisi, (filosoficamente potremmo dire: che ha a che fare con l’essere) si presenta come oggetto alieno: lo scarafaggio in cui lo stesso Kafka si trasforma per la colpa di non poter vivere nel divenire, nella storia, colpa, nel Processo, punita con la morte.


La poesia è quell’oggetto, quel luogo alieno, la meta finale, la casa di tutti i ritorni dove lo Stalker di Tarkovskij guida gli uomini che vogliono ritrovare il senso della propria vita.

Come nel film quel luogo è dove si compiono i desideri, il luogo onnipresente e onnipotente. Ma al quale si perviene solo attraverso un cammino infido disseminato di trabocchetti; un cammino iniziatico, che pur nella sua assolutezza straniante è riflesso profondo di noi stessi, dei nodi che ci legano a un destino: assoluto e soggettività si sovrappongono. E’ questa l’ambiguità della poesia, la sua pericolosità, la sua insidia.

Le voci frustrate dei poeti ripetono spesso che in Italia tutti scrivono poesie e nessuno le legge. E’ il segno di questa ambiguità: sacralità e tracotanza.

Ora usciamo dalla bella visione ungarettiana e guardiamola in faccia. Pensiamo che sia possibile? Che si faccia guardare così facilmente? Che possa risponderci, dirci qualcosa che non sia ciò che già sappiamo: i nostri pregiudizi idealizzanti?

La poesia, la cui definizione sfugge proprio perché è il luogo indefinibile per eccellenza, non è che il centro del “Potere”. Non quello temporale, materiale (forse anche), ma è il luogo dove si svolgono le sfide più sublimi e le più infami. E’ il punto cospicuo da cui l’uomo, quella cosa piccola, insignificante, domina i mondi senza praticarli.

Perché tutti scrivono e nessuno legge? Cosa cercano? Un momento di intimità con se stessi, di nostalgia, cercano di arricchire la propria vita con un’attività creativa? Forse anche questo, ma in un giro più largo (comprensivo anche di questo) anelano al “potenziamento”. Cercano il dominio e l’immortalità, anche là dove sanno che non c’è speranza, si carezza un sogno, ci si illude, si finge evitando il confronto. Ma in questo sforzo verso il Dominio, ci si deve denudare, si diventa se stessi, come mai si sarebbe diventati, con tutti i rischi che comporta aprire all’ignoto. Lo sforzo immane che un poeta fa per entrare in quel luogo alieno che è la poesia, uno sforzo non di muscoli, ma di mutamento di essenza, è a dir poco disumano. Ma qual è la spinta, il desiderio, la ricompensa? E’ sempre e solo il riscatto di essere valsi a qualcosa, in quel breve sprazzo di luce che ci attraversa, è il desiderio di “passare”, di mettere anche solo per un attimo un piede pericolante là dove il tempo è fermo e dove si compiono tutti i desideri.”

di Nicola Vitale

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LA NATURA RIDE

*

Le piante inibite
da repentina migrazione,
portano con fatica nomi esotici
e cognomi latini
che passando ripetiamo
distratti
insinuando all’orecchio
quel fiore che ti ricorda
in un immaginario Rinascimento
smarrita
in un quadro di figure
su paesaggio
che già ci spinge
a cercarne l’uscita.
Il giardino ci attraversa
come questi anni
che non si contano
per il troppo aspettarti
sulla soglia di una maturità
in incipiente ritardo.
Abbozzi di colore irrisolto
germogli
di un altrove invadente
che ancora
portano tracce di dolore
velano il tuo volto.

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Mi sono accorto in ritardo
della primavera:
è già Pasqua
la città vuota attende
la santificazione dei muri al sole
la litania dei fiori ripercorre
l’anno incidentato,
trova buone sostanze
che riscattano l’inverno
nel dubbio
che forse non è stato tempo
da dimenticare.
L’andirivieni degli insetti
ricuce male al bene
dà agli umori inespressi
speranza di maturità.
E anch’io ho un sogno…
le circostanze dell’ebbrezza
lo incoraggiano,
mi buttano all’aperto
col ricordo spezzato
dei nostri incontri
sfondo
di una nuova attesa.

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Sembra di volare
poi cadi
e la frana dei pensieri
pesa sullo sforzo di rialzarsi.
Ma cosa credevi di vedere
oltre la cortina di ferro…
le possibilità di fuga ridotte
a numeri indecenti
che la folla dei matematici
giura essere probabilità irrisolte.
Vogliamo planare
sul mondo
e dall’alto vedere altre cose
che chissà perché
somigliano alle nostre
ma non lo sono.
Non una scienza appropriata
non un giro di sforzi
sui nostri monitor
possono svegliarci.
Saltato lo steccato
là fuori sentiamo
già svanire le immagini
e per questo le incrementiamo…
ci facciamo coraggio
tra moltitudini di amici
(che non lo sono).

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Non importa la camicia
stirata
per oggi
puoi essere un passante
confuso
sullo sfondo
della città mossa dal rumore.
Puoi vestirti male
non importa
che brillino i tuoi occhi
al sole degli altri
che non si fermano
e non notano quel sottile precipitato
che ti attraversa il sangue in fuga.
Puoi essere te stesso
con l’ansia che ti precede
e apre la strada del domani
quando tutti sapremo
che non era vero…
che non c’era verità
in quanto si credeva
sulla bocca di tutti.

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Nuvole già viste
trecentoventotto anni fa
in quel cielo
che Canaletto aveva fissato
secondo regole ottiche
certezze ortogonali.
Figure magnifiche
che sembrano stare su
predisposte per quest’occhio
che le guarda.
Venezia risorgente
aveva la sua luce
assunta dalla forza del presente:
un mondo ritagliato
tra nobiltà e assenza
che la storia dipinta
ci racconta.
La Serenissima conquistata
dagli sguardi
è allora più incerta
di quella presenziata
dalla legge della prospettiva
nelle scene costrette
dalla grazia dell’arte.
La bellezza
non ci rasserena
ma ci riporta a un unico scopo
quando non credevamo
di dover scegliere
tra questo e quello.

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Metti questa parola
solida che sembra carne
o quella introflessa
verso un cuore dubbio
di sbalzi d’umore.
Metti una parola
buona
per sembrare uno
che canta
di notte.
Metti una parola comunque
per cercare un credito
in un futuro
senza risultato.
Cosa si può scrivere
in permanente ritardo?
Una parola
corre sulle praterie dell’oltralpe
come le ricordo
in quel viaggio nel futuro:
nomi detti senza paura
sul crinale che ci portava
nel mondo:
il bosco, il prato,
le pecore del gregge
che fuggivano allo sguardo.
Oggi tutto si ribalta
a monte
dobbiamo voltarci
smettere di parlare
al vento.

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Essere o non essere
questo è il falso problema.
Non è la punizione del fuoco
che preme alle scoperte
fa temere luce inopportuna
sulle cose.
Ma è l’assurdità delle premesse
rassicuranti
offerte a una vita
che non le merita.
Amleto oggi avrebbe
presentito altro…
venduto le sue quote
per una casa sul mare.
E all’allontanarsi
della linea di fondo
altre considerazioni
presentano
l’impossibilità delle domande.
Non attriti sul mondo
programmi di liberazione
ma l’incoscienza della
connivenza tra le parti.
Anche noi
non abbiamo pulite le mani.

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Nicola Vitale
è nato a Milano dove vive nel 1956. Poeta e pittore, ha pubblicato i libri di poesia: La città interna (Guerini e Associati, 1991); Progresso nelle nostre voci (Mondadori, 1998); La forma innocente (Stampa, 2001), Condomino delle sorprese (Mondadori, 2008) Premio Rhegium Julii 2009, Premio Laurentum 2009. E’ presente nell’antologia Poeti italiani del Secondo Novecento, a cura di Maurizio Cucchi e Stefano Giovanardi (Mondadori, 2004). E’ tradotto in albanese e spagnolo. Ha pubblicato articoli di critica e di estetica, ha tenuto conferenze sull’arte visiva in centri culturali e sedi istituzionali.
I suoi dipinti sono stati esposti dal 1984 in mostre personali e collettive, in gallerie private e in spazi pubblici, in Italia, Svizzera, Stati Uniti e Islanda. E’ stato invito alla 54° edizione della Biennale di Venezia (Padiglione Italia). Dal 1991 è docente dei corsi di Pittura organizzati dall’Unicredit.

 

 

1 pensiero su “Opere Inedite, Nicola Vitale

  1. I ricordi della mia dolce infanzia della primissima giovinezza mi conducono in un luogo che sempre e stato per me incantato. Un luogo dove affondano le mie radici dove per generazioni la mia antica famiglia ha perpetuato la nobile arte della pesca. Persone splendide che della poverta di quei tempi duri hanno fatto virtu.

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