Bruno Galluccio: Verticali

Un esordio riuscito quello di Bruno Galluccio che pubblica la sua opera prima di poesia Verticali (Einaudi, 2009, pp. 110, euro 12,00).
Già il titolo evoca la perpendicolarità della parola poetica che si adagia su di una superficie bianca e traccia sul piano della pagina la parola che tuttavia non rinuncia allo spazio largo, orizzontale, delle emozioni. Bruno Galluccio, napoletano, laureato in fisica, con trascorsi in un’azienda di telecomunicazioni, partendo da un piano di emersione – che richiama il titolo della prima sezione del libro – si solleva da una ‘ferita’ tenuta nascosta dietro un vetro, insieme alla quale riaffiora, gradatamente, ‘il lato rovescio del pensiero’ radicato, da chissà quanto tempo, nel suo ‘lembo di indicibile’.
Una parola netta, pronunciata con ingegno, che si concentra con estrema precisione sul ritratto del grande matematico russo-tedesco, George Cantor (1845-1918) fondatore della teoria degli insiemi. ‘L’irrazionale ha fatto breccia nella mia vita fino all’osso/ fino a calare tende lungo le pareti/ e attutirmi i clamori troppo fini’, scrive Galluccio nella poesia dedicata a George Cantor. Ed è proprio lì, nella poesia collocata nella parte centrale del libro, che l’io del poeta fonde la precisione del pensiero scientifico allo spaesamento, drammatica espressione di ogni comune esistenza. Il genio matematico perde la sua potenza svelando il proprio isolamento nello scorrere del quotidiano, nel giorno per giorno, ‘calando i maestri giù nell’ombra’, smarrendo i confini della scienza e trasbordando nell’ ‘irrazionale’, nell’emotività della propria condizione umana. Il poeta, adagiandosi ‘sul fianco dentro il freddo/verso le caverne della terra’, dopo aver percorso una progressiva, graduale, emersione dal fondo, in un processo di proiezione-identificazione ‘discende’ nella spina dorsale di un profondo dolore fino a raggiungere una parola poetica scevra dall’esattezza della formula matematica, tutta proiettata verso l’alto, verticale, appunto: ‘Non ho sonno, non so pregare. / Accolgo la solitudine di ogni singola onda./ Questa casa ha guscio di rapina/ e tentazione lunare. Non ha scale/ da scendere, sono nella terra friabile/ la rena scardinata. Mi lascio indietro’. E in questo spazio di linee verticali che si tracciano dal basso verso l’infinito, si erge l’uomo, in tutta la sua sostanza, consapevole e inconsapevole della propria esistenza irrisolta, un io disperatamente dilaniato dalla distanza tra il piccolo sé e l’assoluto.

di Luigia Sorrentino

 

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